Fallimento dell’appaltatore: il curatore è l’unico legittimato a ricevere il compenso per le prestazioni svolte

Il meccanismo delineato dall'articolo 118, comma 3, d. lgs. numero 163/2006, che consente alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell'appaltatore in attesa delle fatture di quelli effettuati da quest'ultimo al subappaltatore, deve ritenersi riferito alla sola ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un'impresa in bonis.

Tale meccanismo non può quindi essere applicato al caso in cui il contratto di appalto si sciolga in ragione della dichiarazione di fallimento dell'appaltatore, giacché in questa ipotesi, da un lato, il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all'intervenuto scioglimento del contratto è dovuto dalla stazione appaltante al curatore fallimentare dell'appaltatore dall'altro lato, contestualmente, il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell'appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell'ordine delle cause di prelazione, senza che rilevi a suo vantaggio l'istituto della prededuzione ex articolo 111, comma 2, l. fall. Con la pronuncia numero 23477/2022, il S.C. definisce le conseguenze del fallimento dell'appaltatore nell'ambito di un contratto di appalto, precisando che spetta solo al curatore, in conseguenza dello scioglimento del contratto di appalto, richiedere e incassare le somme relative alle prestazioni svolte dall'appaltatore in bonis, dovendo i subappaltatori procedere – al contrario - quali creditori concorsuali. Il caso La vicenda descritta e decisa nell'ordinanza in commento ha origine, nell'ambito di un contratto di appalto pubblico, dal fallimento dell'appaltatore. La peculiarità di tale contratto di appalto risiedeva in una clausola, inserita successiva alla stipula, per la quale l'appaltante – in questo caso, il Comune di Pordenone – si impegna ad effettuare direttamente i pagamenti in favore dei subappaltatori. All'esito del fallimento dell'appaltatore, il Comune provvedeva al pagamento in favore di quest'ultimo delle spettanze relative al lavoro svolto. Nelle more, i subappaltatori ottenevano in separati giudizi la condanna del Comune al pagamento di quanto loro dovuto sulla base dell'addendum sopra richiamato. Il Comune, quindi, riteneva di promuovere istanza tardiva di insinuazione nel fallimento del consorzio appaltatore, che viene rigettata sul rilevo che – in effetti – era proprio quest'ultimo ad essere legittimato, una volta sciolto il contratto ex articolo 81 l. fall. a ricevere il pagamento relativo alle prestazioni già svolte e non, invece, i subappaltatori, in quanto anche l'accordo in deroga relativo alla loro posizione deve ritenersi sciolto in conseguenza del fallimento dell'appaltatore. Appaltante, appaltatore, subappaltatore le conseguenze in tema di fallimento La massima in epigrafe ben definisce l'orientamento della Cassazione che, riprendendo alcune pregresse decisioni, conferma che, a seguito dello scioglimento del contratto di appalto per fallimento dell'appaltatore, spetta solo al curatore la legittimazione per ottenere il pagamento delle prestazioni svolte. Analogamente, può aversi il pagamento diretto del subappaltatore - parimenti contemplato dall'articolo 118, comma 3, d.lgs.numero 163/2006 e nel caso di specie oggetto di uno specifico accordo - solo nell'ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con l'impresa in bonis, e non lo è quando il contratto di appalto si sciolga ipso iure a seguito della dichiarazione di fallimento dell'appaltatore, ai sensi dell'articolo 81 l.fall. e dell'articolo 140, comma 1, Codice appalti. Scioglimento dell'appalto e ATI Analogamente, in caso di appalto di opere pubbliche stipulato da imprese riunite in associazione temporanea, il fallimento della società capogruppo, costituita mandataria dell'altra, ai sensi dell'articolo 23, comma 8, del d.lgs. numero 406/1991, determina lo scioglimento del rapporto di mandato, ai sensi dell'articolo 78 l. fall., sicché l'impresa mandante è legittimata ad agire direttamente nei confronti del committente per la riscossione della quota dei crediti nascenti dall'appalto ad essa imputabile e la curatela è legittimata a riscuotere dall'amministrazione appaltatrice il corrispettivo per l'esecuzione dell'appalto solo per la quota corrispondente a quella parte dei lavori appaltati la cui realizzazione, in base all'accordo di associazione temporanea, era di sua spettanza. Scioglimento del contratto e pagamento parziale Lo scioglimento del contratto di appalto in conseguenza del fallimento dell'appaltatore, a norma dell'articolo 81 l. fall., costituisce un effetto legale ex nunc della sentenza dichiarativa e non è, quindi, causa di responsabilità della procedura nei confronti del committente, il quale, pertanto, è tenuto, a norma dell'articolo 1672 c.c., al pagamento in proporzione, nei limiti in cui è per lui utile, del prezzo pattuito per l'intera opera. Mandato in rem propriam nozione e funzioni Il S.C. definisce la questione in esame anche sotto la disciplina, prospetta dal ricorrente, del mandato in rem propriam. Si ha tale tipologia di mandato quando viene conferito anche nell'interesse del mandatario, in quanto l'interesse di quest'ultimo risulta assicurato da un rapporto sinallagmatico fra mandante e mandatario con contenuto bilaterale. Tale è la ragione per cui il mandato resta irrevocabile, e sottratto alla unilaterale disposizione del mandante stesso. Ad esempio, si ha mandato in rem propriam  - all'incasso - quando vi sia stata l'attribuzione a mandatario della facoltà di utilizzare le somme incassate per estinguere un debito del mandante nei suoi confronti. Mandato in rem propriam e fallimento dell'appaltatore Parte ricorrente, infatti, sosteneva il mancato scioglimento del contratto di appalto, richiamando quindi l'articolo 1723, comma 2, c.c. per il quale il mandato non si estingue per revoca da parte del mandante, né per morte o incapacità del mandante, così sostenendo un'applicazione analogica di tale disciplina alla sede fallimentare. Secondo il S.C., per contro, non trova applicazione la normativa sopra richiamata nel caso di specie, dovendo per contro,  in ragione della sua specialità, applicarsi l'apposita disciplina dettata dalla legge fallimentare articolo 78 e 72 l.fall. , la quale attinge a categorie diverse da quelle utilizzate nel codice civile p.es. estinzione, in luogo di scioglimento interdizione o inabilitazione, in luogo di fallimento articolo 1722 e 1724 c.c Scioglimento del contratto di appalto ed eccezione di inadempimento Fermo quanto precisato nella massima, deve però osservarsi che, intervenuto lo scioglimento del contratto di appalto - anche di opera pubblica - per effetto della dichiarazione di fallimento dell'appaltatore, ai sensi della l. fall., articolo 81, l'appaltante può rifiutarsi di procedere al pagamento dei lavori eseguiti se fondata l'eccezione d'inadempimento ai sensi dell'articolo 1460 c.c. Contratto di mandato le conseguenze in caso di fallimento In ogni caso, la previsione del mandato in rem propriam non trova applicazione in sede fallimentare, risultando decisivo il fatto che l'articolo 64 del d.lgs. numero 5/2006 ha modificato l'articolo 78 l. fall., dettando una disciplina specifica per il contratto di mandato, ove si distingue tra fallimento del mandatario, che comporta lo scioglimento automatico del contratto comma 2 , e fallimento del mandante, che comporta l'applicazione della regola generale della sospensione del rapporto pendente, in attesa della decisione del curatore di sciogliersi o subentrare, ai sensi dell'articolo 72 l. fall., e prevedendo nel secondo caso la prededucibilità dei crediti del mandatario sorti dopo il fallimento comma 3 .

Presidente Scaldaferri – Relatore Vella Fatti di causa 1. - La vicenda trae origine dal contratto di appalto di opera pubblica costruzione di una palestra comunale stipulato in data 11/12/2007 tra il Comune di Pordenone stazione appaltante, di seguito Comune e il omissis appaltatore, di seguito Consorzio , con affidamento dei lavori alla consorziata omissis S.r.l. di seguito omissis e successivo subappalto alle società omissis S.r.l. contratto del 23/03/2009 e omissis S.p.a. contratto del 25/09/2009 . 1.1. - Su richiesta del Consorzio, con atto aggiuntivo al contratto del 11/12/2007 , sottoscritto dalle parti in data 23/11/2009, venne modificato l'articolo 51 del capitolato speciale di appalto parte integrante del contratto di appalto - in base al quale la stazione appaltante non provvede al pagamento dei subappaltatori - prevedendosi invece il pagamento diretto del subappaltatore da parte del Comune, su presentazione di fattura vistata, per conformità, dall'appaltatore e dal direttore dei lavori presentata insieme allo stato di avanzamento dei lavori cui si riferiscono . 1.2. - In data 17/03/2010 il Tribunale di Treviso dichiarò il fallimento del Consorzio e il curatore, con lettera del 1 aprile 2010, invitò il Comune di Pordenone a sospendere i pagamenti in favore dei subappaltatori, che gliene avevano fatto richiesta. 1.3. - Con determina dirigenziale del 16 aprile 2010 il Comune diede atto che il contratto d'appalto e l'atto aggiuntivo dovevano ritenersi sciolti ai sensi della L. Fall., articolo 81 quindi, approvato il collaudo tecnico-amministrativo e liquidato il credito residuo, al netto di detrazioni, in Euro 306.340,92, autorizzò il pagamento in favore del Fallimento del Consorzio per Euro 256.468,23, fatto salvo ogni diritto alla ripetizione di quanto corrisposto in tutto o in parte nel caso di sentenze che dichiarino che la titolarità del credito è in capo a soggetti diversi dal curatore del fallimento del consorzio e condannino, conseguentemente, il Comune al pagamento di somme in favore di soggetti terzi . 1.4. - In data 23/03/2011 il curatore confermò il proprio scioglimento dal contratto di delega/mandato di pagamento di cui all'atto aggiuntivo al contratto di appalto, ai sensi della L. Fall., articolo 72. 1.5. - Stante la pendenza dei giudizi promossi da omissis s.r.l. e omissis S.p.a. entrambe poi fallite in corso di causa nei quali, rispettivamente, la Corte d'appello di Trieste e il Tribunale di Pordenone lo avevano condannato al pagamento del corrispettivo ai subappaltatori, il Comune presentò domanda ultratardiva di insinuazione al passivo del fallimento del Consorzio, in prededuzione, a titolo di indebito, per la restituzione della somma versata di Euro 256.468,23 eventualmente anche condizionata al deposito di pronunce definitive nei giudizi promossi dai subappaltatori. 1.6. - Il giudice delegato rigettò la domanda, ritenendo che il fallimento del Consorzio avesse determinato, ai sensi della L. Fall., articolo 81, lo scioglimento del contratto di appalto e dell'atto integrativo con cui il Consorzio medesimo aveva delegato il Comune al pagamento diretto dei subappaltatori, i quali avrebbero perciò dovuto rivolgere le loro pretese nei confronti del Fallimento del Consorzio. 1.7. - Con il decreto indicato in epigrafe, il Tribunale di Treviso ha respinto l'opposizione proposta dal Comune di Pordenone, rigettando tanto la domanda di ammissione, anche condizionata, quanto la richiesta di sospensione del giudizio ex articolo 295 c.p.c., in attesa della definizione dei giudizi pendenti contro i subappaltatori. 2. - Il Comune di Pordenone ha proposto quattro motivi di ricorso per cassazione, cui il Fallimento del Consorzio ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. La Procura generale ha concluso per il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 2.1. - Con il primo motivo, rubricato violazione e/o falsa applicazione degli articolo 1324,1326,1362,1363,1173,1175,1375 e 2033 c.c., si deduce che la riserva di ripetizione apposta dal Comune al pagamento effettuato al Fallimento del Consorzio qualificabile come negozio unilaterale recettizio, con conseguente applicazione delle norme sui contratti, ex articolo 1324 c.c. e il silenzio circostanziato della curatela fallimentare consapevole dei giudizi promossi dai subappaltatori avrebbero generato a carico del Fallimento l'obbligazione di restituire le somme ricevute, al verificarsi della condizione della pronuncia di sentenza di condanna del Comune al pagamento in favore dei subappaltatori, anche se non opponibile al fallimento e non definitiva a fronte di questa sorta di patto di restituzione, il curatore avrebbe violato le regole di correttezza e buona fede. 2.2. - Il secondo mezzo denuncia la violazione dell'articolo 295 c.p.c., finalizzato a prevenire il contrasto tra giudicati, come sarebbe avvenuto nel caso di specie, in cui lo stesso bene della vita, e cioè il pagamento dei lavori eseguiti dal subappaltatore, viene preteso da due soggetti e cioè il subappaltatore e l'appaltatore , senza che rilevi il fatto che il Fallimento del Consorzio non fosse stato parte dei giudizi promossi dai subappaltatori, tanto più che il Comune lo aveva chiamato in causa ed esso aveva chiesto di esserne estromesso di qui anche la violazione dei principi di correttezza e buone fede . 2.3. - Con il terzo si lamenta la violazione della L. Fall., articolo 55, e articolo 96, numero 1 , poiché il credito del Comune andava ammesso al passivo quale credito condizionato all'esito definitivo dei giudizi promossi dai subappaltatori. 2.4. - Il quarto mezzo, rubricato violazione del L. Fall., articolo 72 e 78, nonché 1723 e 2033 c.c., censura l'affermazione del tribunale per cui l'unico titolare del diritto di credito relativo ai lavori eseguiti da subappaltatori è la curatela fallimentare”, sul rilievo che l'atto aggiuntivo del 23/11/2009, in quanto integrante un mandato in rem propriam, non si sarebbe sciolto con il fallimento del mandante. 3. - Il ricorso presenta profili di inammissibilità e infondatezza. 4. - Il primo motivo, sotto l'apparente deduzione di un vizio di violazione di legge, mira ad una ricostruzione della vicenda negoziale diversa da quella operata dai giudici di merito, impingendo perciò stesso in valutazioni meritali, non sindacabili in questa sede. Al riguardo soccorre il costante insegnamento di questa Corte per cui l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto , come tale incensurabile in sede di legittimità Cass. 873/2019, 10333/2018, 27136/2017, 29111/2017 , non potendo il motivo di ricorso per cassazione risolversi nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest'ultima non deve essere l'unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni Cass. 16987/2018, 28319/2017 , non integrando di per sé una simile evenienza la violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale Cass. 11254/2018 . Deve quindi ribadirsi che l'accertamento della reale volontà delle parti costituisce una valutazione di fatto, rientrante nella discrezionalità del giudice di merito e come tale insindacabile in sede di legittimità, ove non risultino specificamente violati i criteri dettati dall'articolo 1362 c.c. e ss., e non emergano vizi logico-giuridici Cass. 7945/2020, 8810/2020, 21576/2019, 1547/2019 . Detti vizi non ricorrono nella decisione impugnata, che contiene a pag. 4 una ricostruzione del comportamento delle parti tale da escludere che il silenzio serbato dal curatore fallimentare sulla riserva di ripetizione formulata dal Comune all'atto del pagamento del corrispettivo dell'appalto in favore del Fallimento del Consorzio, ovvero la mancata contestazione di detta riserva, avesse dato luogo alla conclusione di un patto da cui sarebbe originata la pretesa obbligazione a carico della curatela fallimentare di corrispondere al Comune di Pordenone le somme che questi fosse chiamato a pagare ai subappaltatori in forza di separati giudizi intentati dai subappaltatori come si sostiene a pag. 23 del ricorso . 4.1. - L'accertata esclusione di un'obbligazione di tal fatta lascia impregiudicata la valutazione dei presupposti della domanda proposta dal Comune, espressamente qualificata come domanda di ripetizione di indebito . In effetti, il pagamento di un debito oggettivamente esistente, ma effettuato, in tesi, a persona diversa dal creditore cosiddetto indebito ex latere accipientis è assimilabile al c.d. indebito oggettivo - che ricorre quando manchi una originaria causa, contrattuale giustificativa del pagamento o quando la causa, originariamente esistente, sia venuta meno - e ne segue le regole, dettate dall'articolo 2033 c.c. Cass. 470/1998 . Sotto questo profilo, eventuali riserve manifestate dal debitore all'atto del pagamento non ne fanno venir meno il carattere satisfattorio, in quanto l'adempimento del debitore viene preso in considerazione dal legislatore per la sua idoneità obiettiva a soddisfare l'interesse del creditore, a prescindere dall'elemento intenzionale che lo accompagni, ovvero dalla concreta volontà del solvens Cass. 7217/2009, 7357/1998 . Di conseguenza, la proponibilità dell'azione di ripetizione d'indebito oggettivo non è esclusa dall'avere il solvens effettuato il pagamento non già nell'erronea consapevolezza dell'esistenza, dell'obbligazione, ma, al contrario, nella convinzione di non essere debitore e, quindi, senza l' animus solvendi , nemmeno quando tale convinzione sia stata enunciata, appunto, in una espressa riserva formulata in sede di pagamento Cass. 3894/2020, 9624/1994, 2525/1987, 1690/1984 . In altri termini, ai fini della ripetizione dell'indebito oggettivo, non è necessario che il solvens versi in errore circa l'esistenza dell'obbligazione, posto che - diversamente dall'indebito soggettivo ex persona debitoris , in cui l'errore scusabile è previsto dalla legge come condizione della ripetibilità, ricorrendo l'esigenza di tutelare l'affidamento dell' accipiens , il quale riceve ciò che gli spetta, sia pure da persona diversa dal vero debitore - nell'ipotesi di cui all'articolo 2033 c.c., non vi è un affidamento da tutelare, in quanto l' accipiens non ha alcun diritto di conseguire, nè dal solvens nè da altri, la prestazione ricevuta, sicché la sua buona o mala fede rileva solo ai fini della decorrenza degli interessi Cass. 7066/2019 . 4.2. - Tuttavia, nel caso di specie è dirimente che il tribunale abbia escluso in radice che il pagamento de quo integrasse un indebito, affermando che l'unico titolare del diritto di credito relativo ai lavori eseguiti dai subappaltatori è la curatela fallimentare , per le motivazioni censurate dal ricorrente con il quarto mezzo, il cui esame viene quindi anticipato per ragioni logiche. 5. - Il quarto motivo è infondato. 5.1. - Il tribunale, muovendo dal rilievo pacifico che il fallimento del Consorzio determinò lo scioglimento del contratto di appalto ai sensi della L. Fall., articolo 81, e che l'atto aggiuntivo del 23/11/2009 aveva integrato il contenuto del predetto contratto sostituendo l'originario articolo 51 del capitolato speciale di appalto per cui la stazione appaltante non provvede al pagamento dei subappaltatori con una clausola qualificata dalle parti come delegazione o mandato di pagamento del Consorzio per il pagamento diretto dei subappaltatori da parte del Comune su fattura vistata per conformità dall'appaltatore e dal direttore dei lavori, presentata insieme allo stato di avanzamento dei lavori - ha ritenuto che anche il predetto mandato si sia sciolto, ai sensi della L. Fall., articolo 72 e 78, nonostante il prospettato inquadramento come mandato in rem propriam ex articolo 1723 c.c., in quanto conferito dal Consorzio anche nell'interesse dei subappaltatori. 5.2. - Va subito evidenziato che, sul punto, la decisione impugnata risulta sintonica con i principi di recente stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte, in base ai quali, in caso di fallimento dell'appaltatore di opera pubblica, il meccanismo delineato dal D.Lgs. numero 163 del 2006, articolo 118, comma 3 – che consente alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell'appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti effettuati da quest'ultimo al subappaltatore - deve ritenersi riferito all'ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un'impresa in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si scioglie di conseguenza, il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all'intervenuto scioglimento del contratto è dovuto dalla stazione appaltante al curatore fallimentare dell'appaltatore, mentre il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell'appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell'ordine delle cause di prelazione, senza che rilevi a suo vantaggio l'istituto della prededuzione L. Fall., ex articolo 111, comma 2, Cass. Sez. U, 5685/2020 cfr. anche Cass. 16708/2020, 24472/2021 . 5.3. - Dal citato arresto è desumibile il principio, applicabile alla fattispecie in esame, che anche il pagamento diretto del subappaltatore - parimenti contemplato dal D.Lgs. numero 163 del 2006, articolo 118, comma 3 - è compatibile solo con l'ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con l'impresa in bonis, e non lo è quando il contratto di appalto si sciolga ipso iure a seguito della dichiarazione di fallimento dell'appaltatore, ai sensi della L. Fall., articolo 81, e dell'articolo 140, comma 1, Codice appalti 2006, come è avvenuto nel caso di specie. In cui l'articolo 51, comma 1, del capitolato speciale facente parte integrante del contratto di appalto dell'11 dicembre 2007 era stato modificato con l'atto aggiuntivo del 23/11/2009, che prevedeva appunto il pagamento diretto del subappaltatore da parte del Comune ciò che già di per sé comporterebbe l'estensione dello scioglimento del contratto alla clausola di pagamento diretto dei subappaltatori in esso contenuta. 5.4. – Ma anche valorizzando la qualificazione della suddetta clausola come delegazione o mandato di pagamento, si previene al medesimo risultato. Invero, premesso che nella specie ricorre una delegazione “doppiamente” titolata, avuto riguardo al rapporto di provvista delegante/delegato, i.e. appaltatore/committente e di valuta delegato/delegatario, i.e. committente/subappaltatore - con conseguente rilevanza dell'inefficacia sopravvenuta del rapporto sottostante arg. ex articolo 1271 c.c. - occorre considerare che si tratta di un negozio comunque privo di autonomia rispetto al contratto di appalto cui accede, del quale segue pertanto la sorte dello scioglimento, ai sensi della L. Fall., articolo 78 e 72. 5.5. - A diverse conclusioni non induce nemmeno la riconduzione di siffatta delegazione alla categoria del mandato in rem propriam - o meglio mandato nell'interessi anche di terzi, segnatamente del subappaltatore - che, ai sensi dell'articolo 1723 c.c., comma 2, non si estingue per revoca da parte del mandante, salvo che sia diversamente stabilito o ricorra una giusta causa di revoca , nè per la morte o per la sopravvenuta incapacità del mandante . Sulle predette regole civilistiche prevale infatti, in ragione della sua specialità, l'apposita disciplina dettata dalla legge fallimentare L. Fall., articolo 78 e 72 , la quale attinge a categorie diverse da quelle utilizzate nel codice civile p.es. estinzione, in luogo di scioglimento interdizione o inabilitazione, in luogo di fallimento cfr. articolo 1722 e 1724 c.c. , ove peraltro non è nemmeno espressamente contemplata l'ipotesi del fallimento del mandante o del mandatario. 5.6. - Non si ignora come, prima della riforma fallimentare del 2006, dottrina e giurisprudenza fossero divise circa l'applicabilità al contratto di mandato in rem propriam in particolare il mandato all'incasso della L. Fall., articolo 78, che prevedeva allora lo scioglimento automatico del contratto di mandato in caso di fallimento tanto del mandatario quanto del mandante, aderendo, per lo più, la prima alla soluzione positiva, e la seconda a quella negativa, quest'ultima proprio in applicazione analogica dell'articolo 1723 c.c., comma 2, Cass. 11966/1992, 11988/1990 contra Cass. 4282/1981 v. Cass. 13243/2011, favorevole alla sua applicazione solo in caso di fallimento del mandante, non anche del mandatario . Peraltro, quest'ultima posizione finiva per ammettere lo scioglimento del curatore ai sensi della L. Fall., articolo 78, anche dal mandato in rem propriam, in applicazione dello stesso articolo 1723 c.c., comma 2, revoca espressa per giusta causa Cass. 8806/1993 cfr. Cass. 18316/2014 ovvero dell'articolo 1724 c.c. revoca tacita per compimento dell'affare Cass. 13676/2004 , volendosi così evitare che la prosecuzione del mandato avesse ricadute negative sulla massa attiva fallimentare, specie in caso di fallimento del mandante. Più di recente, questa Corte ha avuto modo di precisare, in materia di A.T.I., che il fallimento della società mandante, pur non comportando lo scioglimento del contratto d'appalto – alla cui esecuzione resta obbligata l'impresa capogruppo, a norma del D.Lgs. numero 406 del 1991, articolo 25, comma 2, – comporta però, ai sensi della L. Fall., articolo 78, nel testo anteriore al D.Lgs. numero 5 del 2006, applicabile ratione temporis , lo scioglimento del rapporto di mandato conferito alla capogruppo, che perde la legittimazione ad agire in nome e per conto della mandante fallita, per far valere i crediti vantati nei confronti del committente Cass. 5145/2020, 34116/2019 cfr. Cass. 20558/2015, 29737/2011, 17926/2010 . Ciò è stato affermato nonostante la qualifica della capogruppo come mandataria in rem propriam in favore di un soggetto terzo la stazione appaltante , grazie alla perspicua distinzione operata tra la fase di esecuzione delle opere e quella dei pagamenti, ove “l'interesse della stazione appaltante ad avere un unico centro di imputazione al fine di una più agevole e sollecita esecuzione delle opere viene meno e l'interesse, residuo, della prima a definire in un unico contesto processuale le ragioni di dare ed avere con le imprese riunite in una a.t.i. è recessivo rispetto alle ragioni del fallimento della mandante e, in genere, delle imprese già riunite” Cass. 5145/2020 cfr. Cass. 973/2017 . 5.7. – Risulta in ogni caso decisivo che il D.Lgs. numero 5 del 2006, articolo 64, ha modificato l'articolo 78 l.fall., dettando una disciplina specifica per il contratto di mandato, ove si distingue tra fallimento del mandatario, che comporta lo scioglimento automatico del contratto comma 2 , e fallimento del mandante, che comporta l'applicazione della regola generale della sospensione del rapporto pendente, in attesa della decisione del curatore di sciogliersi o subentrare, ai sensi della L. Fall., articolo 72, e prevedendo nel secondo caso la prededucibilità dei crediti del mandatario sorti dopo il fallimento comma 3 . L'ordinamento concorsuale ha quindi trovato una sua più compiuta ed autonoma disciplina, che consente di assorbire anche le divisate ipotesi di revoca tacita o per giusta causa, riportandole nell'alveo proprio della gestione del patrimonio fallimentare affidata al curatore, sotto la vigilanza e il controllo del comitato dei creditori, del giudice delegato e del tribunale. Tale assetto trova indiretta conferma nella L. Fall., articolo 83 bis se il contratto in cui è contenuta una clausola compromissoria è sciolto a norma delle disposizioni della presente sezione, il procedimento arbitrale pendente non può essere proseguito , poiché anche il compromesso per arbitrato - atto negoziale riconducibile all'istituto del mandato collettivo ex articolo 1726 c.c., o di quello conferito nell'interesse anche di terzi ex articolo 1723 c.c., comma 2, v. Cass. 3803/2010, 21836/2009, 19298/2006, che pure nel regime vigente ante riforma 2006 ne traggono l'inoperatività dello scioglimento L. Fall., ex articolo 78 - se contenuto, come apposita clausola, in un contratto che viene sciolto, ne subisce le sorti v. Cass. Sez. U, 10800/2015 . 6. - Anche il secondo motivo è infondato. 6.1. - La ratio dell'articolo 295 c.p.c., che prevede la sospensione necessaria del giudizio civile quando la decisione dipende dalla definizione di altra causa, è quella di evitare un conflitto di giudicati, sicché fra le due emanande decisioni deve sussistere un vincolo di stretta ed effettiva consequenzialità, non già un mero collegamento in fatto o in diritto. Occorre altresì che i giudizi, oltre ad implicare una questione di carattere pregiudiziale cioè un indispensabile antecedente logico-giuridico, la cui soluzione pregiudichi in tutto o in parte l'esito della causa da sospendere siano pendenti tra le stesse parti, non essendo configurabile un rapporto di pregiudizialità necessaria tra cause che, quand'anche legate fra loro da pregiudizialità logica, coinvolgano - come nel caso in esame soggetti anche solo parzialmente diversi, giacché la parte rimasta estranea ad uno di essi può sempre eccepire l'inopponibilità, nei propri confronti, della relativa decisione Cass. 4343/2022, 12996/2018, 20072/2017, 17235/2014 . 6.2.- Più in generale, è stata evidenziata la scarsa compatibilità della sospensione necessaria ex articolo 295 c.p.c., con i principi che presiedono all'accertamento del passivo fallimentare Cass. 10394/2021, 2991/2020, 7547/2018, 5255/2017 Cass. Sez. U, 21499/04 , ivi compresa la natura endofallimentare del giudicato L. Fall., ex articolo 96, comma 5, Cass. 11808/2022 , non destinato a far stato tra le parti fuori dal fallimento, essendo la domanda di insinuazione al passivo fallimentare strettamente legata alla prospettiva del riparto Cass. 27709/2020 . 6.3. - Infine, sotto il profilo più squisitamente processuale, questa Corte ha avuto occasione di precisare che, qualora tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, la sospensione ex articolo 295 c.p.c. della causa dipendente permane fintanto che la causa pregiudicante penda in primo grado, mentre, una volta che questa sia definita con sentenza non passata in giudicato, spetta al giudice della causa dipendente scegliere se conformarsi alla predetta decisione, sciogliendo il vincolo necessario della sospensione, ove una parte del giudizio pregiudicato si attivi per riassumerlo, ovvero attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato, mantenendo lo stato di sospensione ovvero di quiescenza , però attraverso il ricorso all'esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall'articolo 337 c.p.c., comma 2, v. Cass. Sez. U, 21763/2021, in ipotesi di pregiudizialità tecnica , o ancora decidere in senso difforme, quando, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, ritenga che tale sentenza possa essere riformata o cassata Cass. 9470/2022, di conferma della pronuncia di merito che aveva escluso la ricorrenza di una ipotesi di sospensione obbligatoria ex articolo 295 c.p.c., tra un giudizio di divisione ereditaria e un giudizio pendente in Cassazione diretto a escludere dalla divisione un bene mantenuto in comunione . 7. – Parimenti infondato è il terzo motivo al di là del suo assorbimento nel rigetto del quarto , poiché il credito restitutorio azionato dal Comune risulta, piuttosto che condizionato, eventuale. 7.1. – Invero la L. Fall., articolo 55, comma 3, nel prevedere l'ammissione al passivo con riserva dei crediti soggetti a condizione, è norma eccezionale, che devia dal principio generale della cristallizzazione operata dalla dichiarazione di fallimento sulla situazione del passivo dell'imprenditore, e, come tale, non è suscettibile di applicazione analogica a diritti i cui elementi costitutivi non si siano integralmente realizzati anteriormente alla detta dichiarazione, in tal caso versandosi in ipotesi, non già di mera inesigibilità della pretesa, ma di credito non ancora sorto ed eventuale Cass. 8765/2011 . 7.2. – Inoltre, L'ammissione con riserva L. Fall., ex articolo 96, comma 2, numero 1 , riguarda i diritti condizionati e non anche le azioni, non potendo la domanda essere subordinata all'esito di altra domanda proposta in diversa sede Cass. 7297/2015 . 8. – Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano come in dispositivo. 9. – Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto Cass. Sez. U, 20867/2020, 4315/2020 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi in Euro 200,00 ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.