Visibili le molteplici sconnessioni del manto stradale: niente risarcimento per l’uomo finito a terra

Inutile l’azione giudiziaria mirata a porre sotto accusa il Comune per le precarie condizioni del manto stradale. Decisiva, secondo i Giudici, la constatazione che le sconnessioni erano facilmente percepibili con un minimo di attenzione.

Niente risarcimento per l'uomo che passeggiando in una zona centrale della città finisce rovinosamente a terra a causa delle gravi sconnessioni del manto stradale. A inchiodarlo alle sue responsabilità, liberando il Comune da ogni addebito, è la constatazione che le sconnessioni presenti sul manto stradale erano sì molteplici ma visibili e, soprattutto, facilmente percepibili, anche considerando che il capitombolo si è verificato in orario diurno. Scenario della vicenda è Rieti, città del Lazio. A finire sotto accusa è il Comune, che si ritrova sul groppone una corposa richiesta di risarcimento, avanzata da un uomo che, passeggiando lungo una strada cittadina, è rimasto vittima di una caduta addebitabile, a suo parere, ad «una grave sconnessione del manto stradale». Il racconto fatto dall'uomo è abbastanza dettagliato egli sostiene che «mentre camminava lungo il marciapiede di una strada cittadina» è «inciampato in corrispondenza di una grave sconnessione del manto pedonale , riportando gravi lesioni personali , con periodi di invalidità temporanea e postumi permanenti». Consequenziale la sua richiesta di risarcimento , quantificato in 60mila euro, avanzata nei confronti del Comune, colpevole, a suo dire, del capitombolo. Per i giudici di merito, però, non vi sono i presupposti per addossare una pur minima colpa al Comune. Ciò perché «la condotta della persona danneggiata ha interrotto», secondo i Giudici, «il nesso eziologico tra il fatto e l'evento dannoso». Più precisamente, i Giudici d'appello sottolineano che «le molteplici e visibili sconnessioni del manto stradale erano percepibili con una minima attenzione , data l'ora diurna» con conseguente « situazione di piena visibilità ». Inutile il ricorso in Cassazione proposto dall'uomo. I Giudici di terzo grado condividono la visione tracciata in appello mancano, in sostanza, le prove sul «nesso di causalità tra l'insidia», ossia le sconnessioni del manto stradale, «e la caduta». Al contrario, è acclarato che «la condotta della persona danneggiata» ha interrotto «il nesso di causalità», anche perché «la situazione di possibile danno era percepibile ». In sostanza, «in presenza di molteplici e visibili sconnessioni, percepibili con minima attenzione, date l'ora diurna e la piena visibilità», è palese, secondo i Giudici, l'inadeguata condotta tenuta dall'uomo, che, perciò, non può pretendere dal Comune alcun ristoro economico».

Presidente Travaglino – Relatore Di Florio Rilevato che 1. Nel 2012, P.R. conveniva in giudizio il Comune di Rieti al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di una caduta dovuta ad una grave sconnessione del manto stradale. A fondamento della propria pretesa l'attore deduceva che, mentre camminava lungo il marciapiede della strada cittadina di via omissis , era inciampato in corrispondenza di una grave sconnessione del manto pedonale, riportando gravi lesioni personali, con periodi di invalidità temporanea e postumi permanenti. Chiedeva, quindi, che venisse accertata la responsabilità del Comune di Rieti, ai sensi dell' articolo 2051 c.c. , con consequenziale condanna al risarcimento dei danni nella misura di 60.000,00 Euro o quella, inferiore o superiore, che sarebbe risultata nel corso del giudizio. Il Tribunale di Rieti, con la sentenza numero 446/2017, ritenendo non provata la sussistenza del nesso causale tra evento e danno, rigettava la domanda di parte attrice. 2. La Corte d'appello di Roma, con la sentenza numero 2476/2021, pubblicata in data 6 aprile 2021, confermando la decisione di primo grado, rigettava il gravame e condannava l'appellante alla rifusione delle spese processuali. In particolare, il Giudice Territoriale precisava come la condotta del danneggiato fosse idonea ad interrompere il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, essendo le molteplici e visibili sconnessioni del manto stradale percepibili con una minima attenzione data l'ora diurna e la situazione di piena visibilità. 3. Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione P.R. sulla base di due motivi di ricorso. 3.1. Resiste con controricorso il Comune di Rieti. Considerato che 4.1. Con il primo motivo di ricorso, il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta, ai sensi dell' articolo 360 c.p.c. , numero 4, la violazione dell' articolo 132 c.p.c. , comma 2, numero 4. La Corte d'appello avrebbe emesso una sentenza con una motivazione meramente apparente non essendosi pronunciata sulle censure dedotte dall'appellante. A giudizio del ricorrente, infatti, non può ritenersi idoneo il richiamo fatto dal Giudice territoriale alla sentenza di prime cure mancando sia l'indicazione delle tesi in essa sostenute sia le relative ragioni della condivisione. 4.2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione, ai sensi dell' articolo 360 c.p.c. , numero 3, dell' articolo 2051 c.c. La Corte d'Appello di Roma, affermando l'insussistenza del nesso di causalità tra l'insidia e la caduta, avrebbe applicato il principio di cui all' articolo 2051 c.c. in modo non conforme al diritto. A giudizio del ricorrente, infatti, la condotta del danneggiato non sarebbe idonea ad integrare la nozione di caso fortuito, mancando sia il tratto della prevedibilità che quello della prevenibilità. 5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché la denuncia di motivazione apparente è effettuata non sulla base della intima contraddittorietà della motivazione che renderebbe non percepibile la ratio decidendi ma sulla base della comparazione con il dato esterno costituito dai motivi di appello. È appena il caso di ricordare che la motivazione per relationem della sentenza di appello è legittima quando il giudice di secondo grado, pur richiamando nella sua pronuncia gli elementi essenziali della motivazione della sentenza di primo grado, si faccia comunque carico di confutare le censure contro di essa formulate con il gravame, essendo immune da critiche il modo di dar conto della soluzione adottata ove l'iter argomentativo risulti corretto. Nel caso in esame poi, la Corte d'Appello di Roma, dopo aver richiamato la motivazione della sentenza di primo grado, ha dichiarato assorbente la questione relativa all'insussistenza del nesso causale fra l'asserita insidia e la condotta del danneggiato. 5.1. È inammissibile, altresì, il secondo motivo di ricorso perché non intercetta la ratio decidendi. Quest'ultima è nel senso che la condotta del danneggiato è interruttiva del nesso di causalità sulla base della premessa che quanto più la situazione di possibile danno è percepibile tanto più incidente deve considerarsi la condotta del danneggiato, in presenza di molteplici e visibili sconnessioni, percepibili con minima attenzione data l'ora diurna e la piena visibilità. Non cogliendo la ratio decidendi, la censura è priva di decisività. Per il resto il motivo impinge nel giudizio di fatto, che è profilo non censurabile nella presente sede di legittimità. 6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. 7. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte Cass. Sez. U. 20/02/2020, numero 4315 per dare atto ai sensi della L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, il comma 1-quater e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali tra le prime Cass. 14/03/2014, numero 5955 tra le innumerevoli altre successive Cass. Sez. U. 27/11/2015, numero 24245 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione. P.Q.M. la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore del Comune controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.000 oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater, inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1 , comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato articolo 13, comma 1-bis.