Chiede denaro a un prete e mostra di avere con sé un bastone: condannato per rapina

Impossibile, nonostante le obiezioni difensive, ridimensionare l’episodio e catalogarlo come mero furto. Irrilevante il fatto che il bastone non fu utilizzato palese, comunque, l’intimidazione esercitata sul sacerdote.

Per parlare di rapina è sufficiente chiedere denaro con insistenza a una persona e, al contempo, mostrare di avere chiaramente in mano un bastone. Proprio ragionando in questa ottica, difatti, i Giudici hanno condannato un uomo che ha costretto un sacerdote a dargli soldi. Scenario dell'episodio sottoposto all'esame dei giudici è la provincia lombarda. A finire sotto processo è un uomo, accusato di avere rapinato un sacerdote e di avere dato maggiore forza alla propria richiesta di denaro presentandosi con un bastone in mano. Per i giudici di merito è sacrosanta la condanna dell'uomo, ritenuto colpevole di rapina aggravata dall'uso di un bastone. Nel contesto della Cassazione, però, il difensore prova a ridimensionare le condotte contestate al suo cliente. In questa ottica egli sostiene sia palese «il difetto di minaccia e di dolo», poiché «l'iniziale proposito fu abbandonato e la somma fu sottratta» sì ma «senza costrizione». Di conseguenza, secondo il legale, la condotta tenuta dall'uomo sotto processo va qualificata «in termini di furto», e ciò comporta «l'improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela». Per i Giudici di terzo grado, però, il contenuto delle prove acquisite, con particolare riferimento alle dichiarazioni del prete, depotenzia totalmente la linea difensiva, poiché tra primo e secondo grado si è appurato che «l'uomo pretese una somma di denaro» dal sacerdote e lo fece «armato di bastone , oggetto che certamente costituisce un'arma, ancorché impropria, in quanto idonea ad offendere». Assolutamente irrilevante, checché ne dica la difesa, che «l'arma non fu adoperata», precisano i magistrati. Ciò anche perché non si può ignorare «l'intimidazione esercitata sul prete, ragionevolmente persuaso dell'utilizzo del bastone» ai suoi danni «se la pretesa non fosse stata soddisfatta». Per quanto concerne l' aggravante prevista in caso di uso di un' arma , «è necessario», precisano i Giudici, che «il rapinatore sia palesemente armato, ma non che l'arma sia addirittura impugnata per minacciare, essendo sufficiente che essa sia portata in modo da poter intimidire, cioè in modo da lasciare ragionevolmente prevedere e temere un suo impiego quale mezzo di violenza o minaccia per costringere la vittima a subire quanto intimatole», cioè, in questo caso, la richiesta di denaro.

Presidente Verga – Relatore Agostinacchio Fatto e diritto 1. Con sentenza del 15/12/2020 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pavia del 12/09/2018, esclusa l'aggravante del travisamento, confermava la condanna di S.F. per il reato di rapina aggravato dall'uso di un bastone, in danno di un sacerdote presso la parrocchia di riferimento. 2. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il S. tramite il difensore di fiducia, eccependo la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla condanna per il delitto di rapina, in difetto di minaccia e di dolo, atteso che l'iniziale proposito fu abbandonato e la somma fu sottratta senza costrizione, con conseguente qualificazione della condotta in termini di furto ed improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela al giudizio di bilanciamento fra circostanze di sogno opposto in termini di equivalenza anziché di prevalenza. 3. Il ricorso è inammissibile per genericità dei motivi che costituiscono reiterazione di censure prospettate in appello, adeguatamente definite dalla corte territoriale. Ribadito che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito ex multis, di recente, Cass. sez. 6, sent. numero 5465 del 04/11/2020 - dep. 11/02/2021 - Rv. 280601 , i giudici di merito hanno evidenziato, con circostanziati riferimenti al contenuto delle prove acquisite - e, in particolare, alle dichiarazioni della persona offesa - che l'imputato pretese la somma di denaro in questione armato di bastone, oggetto che certamente costituisce un'arma, ancorché impropria, in quanto idonea ad offendere. Risulta irrilevante che l'arma non fu adoperata, circostanza sulla quale la difesa ha insistito, dovendosi avere riguardo all'intimidazione esercitata sulla vittima, ragionevolmente persuasa dell'utilizzo se la pretesa non fosse stata riscontrata. In tema di delitto circostanziato, infatti, ai fini della configurabilità dell'aggravante dell'arma, è necessario che il reo sia palesemente armato, ma non che l'arma sia addirittura impugnata per minacciare, essendo sufficiente che essa sia portata in modo da poter intimidire, cioè in modo da lasciare ragionevolmente prevedere e temere un suo impiego quale mezzo di violenza o minaccia per costringere il soggetto passivo a subire quanto intimatogli Cass., Sez. 3, Sentenza numero 7754 del 21/01/2021 , Rv. 281006-02 . 4. I rilievi sul trattamento sanzionatorio sono generici. In tema di circostanze, il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall' articolo 133 c.p. , senza che occorra un'analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati Sez. 5, Sentenza numero 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838-02 . La corte territoriale, con motivazione adeguata, ha ritenuto l'equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e le contestate aggravanti valorizzando alcuni dei parametri indicati dall' articolo 133 c.p. quali la gravità della condotta e la sussistenza di precedenti a carico dell'imputato, sintomatici della sua capacità a delinquere. 5. All'inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell' articolo 616 c.p.p. , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di. colpa emergenti dal ricorso, si determina. equitativamente in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Sentenza a motivazione semplificata.