Confermata in via definitiva la condanna di un cittadino italiano. Pena fissata in tre anni e sei mesi di reclusione. Palese la gravità dei comportamenti aggressivi da lui tenuti nei confronti di un giovane ivoriano. Impossibile catalogarli come reazione per gli apprezzamenti sgradevoli fatti dallo straniero nei confronti della fidanzata del cittadino italiano.
Frase inequivocabile – “Negro, tornatene al tuo paese” – ad accompagnare i comportamenti minacciosi, aggressivi e violenti tenuti da un uomo, di nazionalità italiana, nei confronti di un giovane ivoriano. Inevitabile la condanna del cittadino italiano, condanna resa più grave dall' odio razziale che, sanciscono i Giudici, ha caratterizzato palesemente le azioni da lui compiute verso lo straniero. Ricostruita la bruttissima storia, ambientata in un piccolo paese, i giudici di merito condannano, sia in primo che in secondo grado, l'uomo sotto processo, ritenendolo colpevole, tra l'altro, di «violazione di domicilio, lesioni, danneggiamento, tentativo d'incendio e atti persecutori» ai danni di un cittadino ivoriano, condotte, queste, accomunate da «motivi di odio razziale», e sanzionandolo con «tre anni e sei mesi di reclusione». Per i giudici di merito è solido il quadro probatorio a sostegno dell'accusa, poiché si è appurato che «il cittadino italiano ha commesso, anche per motivi di odio razziale, atti persecutori nei confronti della persona offesa, un giovane ivoriano, non solo aggredendolo e minacciandolo, ma pure violandone ripetutamente il domicilio, anche al fine incendiarne l'abitazione». Nel contesto della Cassazione, però, l'avvocato che difende il cittadino italiano prova a mettere in discussione l'aggravante dell'odio razziale, sostenendo che il suo cliente aveva in passato trattato con rispetto lo straniero, offrendogli anche da bere, e che i problemi erano cominciati quando il giovane ivoriano aveva fatto apprezzamenti poco eleganti nei confronti della fidanzata dell'uomo. Per i Giudici di terzo grado, però, questi dettagli non possono ridimensionare la gravità delle azioni compiute dal cittadino italiano. Anche perché, viene evidenziato, «l'odio razziale» che lo ha spinto a tenere condotte aggressive nei confronti dello straniero è «reso palese dalla pronuncia di frasi come “negro, tornatene al tuo paese” e dal contesto in cui esse venivano pronunciate, cioè ripetute aggressioni e violazioni di domicilio, commesse anche al fine incendiare l'abitazione del cittadino ivoriano». Impossibile, poi, accogliere la tesi difensiva secondo cui l'uomo ha reagito alla provocazione compiuta dallo straniero e consistita in apprezzamenti sgradevoli rivolti alla fidanzata dell'uomo. Su questo fronte i Giudici annotano che «l'offesa» rivolta allo straniero è «avvenuta a distanza di tempo dalla presunta provocazione» e sottolineano «la sproporzione tra il presunto atteggiamento dello straniero verso la fidanzata del cittadino italiano, da un lato, e la serie di violente aggressioni, la pluralità di violazioni di domicilio e il tentativo di incendio , dall'altro». Logico, quindi, «escludere il nesso causale tra il presunto fatto ingiusto» attribuito allo straniero e «l'ira» manifestata dal cittadino italiano.
Presidente Catena – Relatore Cirillo Ritenuto in fatto 1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 25 febbraio 2021 dalla Corte di appello di Bologna, che ha confermato la sentenza dal Tribunale di Piacenza, che aveva condannato C.L. alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, per i reati di violazione di domicilio, di lesioni, di danneggiamento, di porto di armi, di tentativo di incendio e di atti persecutori. Secondo l'ipotesi accusatoria, il C. , anche per motivi di odio razziale, avrebbe commesso atti persecutori nei confronti della persona offesa, D.S. , non solo aggredendolo e minacciandolo, ma pure violandone ripetutamente il domicilio, anche al fine incendiarne l'abitazione. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia. 2.1 Con un primo motivo, deduce la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione. La parte sostiene che le dichiarazioni della persona offesa sarebbero inattendibili perché confuse e incoerenti. La Corte di appello sarebbe caduta in evidente contraddizione e vizio logico nel superare l'inattendibilità della testimonianza del D. , facendo riferimento alle sue difficoltà linguistiche ponendosi così in contrasto anche con la valutazione del giudice di primo grado, che aveva escusso la persona offesa senza l'ausilio di un interprete, ritenendo che comprendesse e parlasse l'italiano. 2.2 Con un secondo motivo, deduce il vizio di motivazione con specifico riferimento al riconoscimento dell'aggravante dell'odio razziale e al mancato riconoscimento dell'attenuante della provocazione. Riguardo al riconoscimento dell'aggravante, sostiene che la Corte di appello non avrebbe considerato quella parte della deposizione del D. , nella quale egli riconosce che, prima delle vicende oggetto di giudizio, l'imputato si era dimostrato gentile con lui, offrendogli anche un bicchiere d'acqua. Con riferimento al mancato riconoscimento dell'attenuante, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che le vicende oggetto di processo sarebbero scaturite da un atteggiamento del D. verso la fidanzata dell'imputato . 3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso. Considerato in diritto 1. Entrambi i motivi di ricorso sono inammissibili. Il ricorrente, invero, ha articolato censure che, pur essendo state da lui riferite alla categoria del vizio di motivazione, ai sensi dell' articolo 606 c.p.p. , sono all'evidenza dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte di appello. 1.1 Inammissibile è il primo motivo di ricorso, relativo alla presunta inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa. Con esso, il ricorrente non censura la manifesta illogicità della motivazione o il travisamento di una prova decisiva, ma contesta la valutazione dei giudici di merito in ordine all'attendibilità della testimonianza. Al riguardo, va ricordato che il controllo di legittimità concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione. Ne consegue che sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento cfr. Sez. 6, numero 13809 del 17 marzo 2015, 0., Rv. 262965 . Va, in ogni caso, rilevato che la Corte di appello ha valutato in maniera rigorosa la deposizione della persona offesa, senza cadere in alcun vizio logico. Va, inoltre, evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non ha smentito affatto il giudice di primo grado, sostenendo che il D. non parlasse l'italiano. Essa, infatti, si è limitata ad affermare che un pò di confusione, manifestata a tratti dalla vittima, era comprensibile in una persona che, sebbene parlasse l'italiano, aveva sviluppato una capacità ancora limitata di esprimersi nella nuova lingua. Va, peraltro, rilevato che i giudici di merito hanno ricostruito i fatti, facendo riferimento anche ad altre prove documenti e dichiarazioni rese da testi presenti ai fatti. 1.2 Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso, relativo al riconoscimento dell'aggravante dell'odio razziale e al mancato riconoscimento dell'attenuante della provocazione. Anche con tale motivo, il ricorrente articola delle censure che, pur essendo state da lui riferite alla categoria del vizio di motivazione, sono all'evidenza dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte di appello. Anche in tale caso, il ricorrente non evidenzia un vizio logico testuale nè un travisamento della prova, ma pone in rilievo alcuni profili che dovrebbero indurre a rivalutare la decisione dei giudici di merito in ordine alle circostanze del reato. La Corte territoriale, in ogni caso, ha adeguatamente motivato su entrambi i punti. In ordine alla ritenuta aggravante, ha evidenziato che l'odio razziale era reso palese dalla pronuncia di frasi come negro tornatene al tuo paese e dal contesto nel quale venivano pronunciate ripetute aggressioni e violazioni di domicilio, commesse anche al fine incendiare l'abitazione della persona offesa. Quanto al mancato riconoscimento dell'attenuante, ha evidenziato che l'offesa non solo era palesemente sproporzionata, ma era anche avvenuta a distanza di tempo dalla presunta provocazione. Al riguardo, occorre ricordare che La circostanza attenuante della provocazione, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, non sussiste ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d'ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l'ira Sez. 5, numero 604 del 14/11/2013, D'Ambrogi, Rv. 258678 . Ebbene, nel caso in esame, la sproporzione tra il presunto atteggiamento del D. verso la fidanzata dell'imputato , da un lato, e la serie di violente aggressioni, la pluralità di violazioni di domicilio e il tentativo di incendio, dall'altro, appare davvero macroscopica e sicuramente tale da portare ad escludere anche in considerazione del lasso di tempo trascorso il nesso causale tra il presunto fatto ingiusto e l'ira. 2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell' articolo 616 c.p.p. , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, che deve determinarsi in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003 articolo 52 , in quanto imposto dalla legge.