Nel valutare la domanda volta ad ottenere iure proprio il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale per la morte di un fratello, il giudice non può inferire dalla mera lontananza geografica l’assenza di un effettivo legame tra i fratelli.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 22397/2022, depositata il 15 luglio 2022. Il caso. La corte d'Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, riconosce la responsabilità concorrente del conducente e della vittima nella causazione di un sinistro stradale e provvede alla liquidazione dei danni ai prossimi congiunti che ne hanno fatto domanda. I giudici riconoscono in via presuntiva il danno non patrimoniale da sofferenza interiore in capo al coniuge, ai figli e alla madre, che risiedono in India, e invece lo negano ai tre fratelli, sostenendo che in ragione della lontananza geografica “non possono presumersi rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà tra i fratelli e il familiare defunto”. Avverso tale sentenza viene proposto ricorso in Cassazione i fratelli due residenti in India, il terzo in una diversa città italiana propongono ricorso incidentale, lamentando la violazione dell'articolo 2727 c.c. per avere i giudici fatto discendere automaticamente dalla lontananza geografica l'assenza del danno. La terza sezione civile, dichiarato inammissibile il ricorso principale, accoglie invece il ricorso incidentale, cassando la sentenza con rinvio. Il danno non patrimoniale da perdita del rapporto di fratellanza. Il diritto della responsabilità civile ha conosciuto un ampliamento dei propri confini anche per il caso in cui – a seguito di un illecito – si verifichi la morte della vittima, sia sotto il profilo del novero dei soggetti ai quali è stata riconosciuta la legittimazione ad agire per il risarcimento dei danni subiti le c.d. vittime secondarie o di rimbalzo , sia sotto il profilo dei danni risarcibili. Questa traiettoria ha riguardato anche il danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale, che viene in rilievo nella sentenza in commento. Secondo gli ordinari principi relativi all'onere della prova, spetta ai congiunti provare l'effettività e la consistenza della relazione parentale, la cui lesione è fonte di danno tale prova può però essere fornita anche tramite presunzioni o invocando massime di esperienza e l'id quod plerumque accidit, facilitando così l'onere probatorio della vittima e trasferendo sulla controparte l'onere della prova contraria. Sotto tale profilo i giudici di merito avevano considerato diversamente la situazione della moglie, dei genitori e dei figli del defunto, da un lato, e dei fratelli dall'altro solo per i primi, infatti, il danno da sofferenza interiore veniva presunto in virtù dello stretto legame di parentela con l'affermazione che la mancata convivenza poteva eventualmente incidere sul quantum debeatur , non per i secondi, per i quali, invece – a causa della lontananza – non potevano presumersi costanti rapporti affettivi. Il Supremo Collegio richiama una precedente pronuncia del 2018 Cass. ord. 29784/2018 , che accomuna genitori e fratelli del defunto nell'ambito della famiglia nucleare, per i cui membri il rapporto di stretta parentela con il congiunto perito costituisce fatto noto dal quale può desumersi ex articolo 2727 c.c. il danno non patrimoniale per la perdita parentale la presunzione può essere in tal caso superata dal danneggiante, cui spetta allegare e provare specifici fatti che escludono l'esistenza in concreto del legame affettivo tra parenti stretti. Discende da tale impostazione che viene dato rilievo «all'esistenza del rapporto come tale, rovesciando sul preteso danneggiante la prova della sua svalutazione nel caso concreto» in senso conforme Cass. 3767/2018 . Viene peraltro ricordato come la giurisprudenza oramai consolidata, superando una lettura restrittiva dell'articolo 29 Cost., afferma che la norma costituzionale non tutela solo la famiglia nucleare, ma anche rapporti parentali meno stretti perché possa ritenersi leso il rapporto parentale di soggetti non appartenenti allo stretto nucleo familiare deve essere provata «l'effettività e la consistenza di tale relazione e in particolare l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto». La convivenza, se può essere un elemento di prova a sostegno del vincolo affettivo e venire in rilievo nella quantificazione del danno, non è più considerata una condizione indispensabile. Se dunque, ai fini del riconoscimento del danno sofferto per la morte del parente, il problema che si pone, anche per i fratelli, è quello della effettività e della consistenza del rapporto, al di là della convivenza, non solo la mancata convivenza, ma neppure la lontananza geografica possono valere ad escludere l'intensità della relazione affettiva e a superare la presunzione fondata sul rapporto di fratellanza. I Giudici di legittimità osservano come la protratta lontananza geografica poteva forse in tempi remoti comportare uno sfilacciamento dei rapporti, ma tale esito non è affatto scontato oggigiorno, quando, grazie alla tecnologia e alle diverse modalità di trasmissione della voce e delle immagini, è facilmente possibile mantenere vivi i rapporti anche a grande distanza. Ha dunque commesso un errore di diritto la Corte capitolina, quando ha inferito dalla lontananza geografica col defunto la mancanza di intensità della relazione coi fratelli, presumendo in modo automatico da un fatto noto la distanza geografica , un fatto ignoto l'assenza di effettività della relazione parentale , con un ragionamento però privo di aderenza con l'esperienza comune e l'id quod plerumque accidit. La decisione in commento, d'altra parte, pare in linea con le nuove tabelle integrate a punti elaborate dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano ed. 2022 , con i criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale. Sono molti i profili di interesse, su cui non è possibile qui intrattenersi si segnala però che non è stato dato rilievo alla vicinanza geografica tra i parenti dal monitoraggio, infatti, non è emerso che questo sia un criterio «da cui i giudici presumono in via generalizzata per tutti – in base alle regole di comune esperienza – l'esistenza di una sofferenza per la perdita del parente. … non sempre la vicinanza geografica è indice di maggiore vicinanza affettiva rispetto a parenti che abitino lontano e ciò a maggior ragione nell'epoca attuale in cui anche grazie alla tecnologia è possibile intrattenere frequentazioni diuturne anche con parenti che abitino a distanza» .
Presidente/Relatore Frasca Fatti di causa 1. La A. s.p.a. già C. Assicurazioni s.p.a. ha proposto ricorso contro i soggetti indicati in epigrafe avverso la sentenza del 13 marzo 2019, con la quale la Corte di Appello di Roma ha riformato la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Velletri, Sezione Distaccata di Anzio, riconoscendo la responsabilità concorrente di C.D. nella misura del 25% e del defunto Ja.Si. in quella del 75% nella causazione del sinistro occorso il 26 novembre del 2006 fra l'autovettura condotta dalla C., di proprietà di S.A. ed assicurata presso la Carige Assicurazioni s.p.a La sentenza ha poi provveduto alla liquidazione del danno ai vari prossimi congiunti attori. 2. Al ricorso hanno resistito con controricorso nel quale hanno svolto ricorso incidentale i soggetti indicati in epigrafe e con altro controricorso gli altri soggetti pure là indicati. 3. La trattazione del ricorso è stata fissata in udienza pubblica. Il Procuratore Generale presso la Corte ha depositato conclusioni scritte ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, numero 137, articolo 23, comma 8 bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, numero 176, con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibili sia il ricorso principale che l'incidentale. Le parti hanno depositato memoria. Questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, numero 137, articolo 23, comma 8 bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, numero 176, non avendo alcuna delle parti né il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale. Ragioni della decisione 1. La trattazione del ricorso incidentale deve avvenire congiuntamente a quella del ricorso principale, in seno al quale è stato proposto. 2. In via preliminare il ricorso principale dev'essere dichiarato inammissibile, in quanto del tutto carente del requisito dell'esposizione sommaria del fatto, di cui all'articolo 366 c.p.c., numero 3. Invero, il ricorso principale ha inteso assolvere al detto requisito con le scarne precisazioni circa la vicenda in fatto dedotta in giudizio e circa lo svolgimento processuale, che si colgono nelle ultime tre righe della pagina 3 e nella pagina 4. In esse a non si coglie in primo luogo una pur sommaria descrizione delle modalità del sinistro, dato che ci si limita a dare atto del coinvolgimento del velocipede del de cuius e dell'autovettura condotta da C.D., ma nulla si dice su quelle modalità b nulla si riferisce, sempre in modo sommario, sul tenore della domanda introduttiva del giudizio tanto che risulta inespressa la qualità di S.A., che viene indicato come convenuto con la C. , sulle difese svolte dalla qui ricorrente, sullo svolgimento dell'attività istruttoria e sulle ragioni della decisione di primo grado c nulla si dice, sempre in modo sommario, sulle ragioni dell'appello degli eredi del de cuius salvo che con esso si denunciò l'erroneità della valutazione delle risultanze istruttorie e sullo svolgimento del contraddittorio in appello d nessun riferimento si fa, pur sempre sommario, al tenore della decisione di appello. Ora, il Collegio rileva che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall'articolo 366 c.p.c., comma 1 numero 3, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere secondo giurisprudenza consolidata - in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata Cass. sez. unumero 11653 del 2006 . La prescrizione del requisito risponde non ad un'esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato così già Cass. sez. unumero 2602 del 2003 . Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall'articolo 366 c.p.c., comma 1, numero 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l'indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata. Da quanto sopra ricordato emerge che il ricorso, nell'esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti. Da qui la sua inammissibilità 2.1. In ogni caso, se fosse possibile esaminare i motivi, rinvenendo all'esito della sua lettura quanto necessario alla percezione del fatto sostanziale e processuale, essi si dovrebbero dire comunque tutti inammissibili, in quanto sollecitano, al di là della formale loro intestazione ai sensi del paradigma del numero 3, una sostanziale rivalutazione della quaestio facti. Con il primo motivo si denuncia letteralmente quanto segue Sulla natura della sentenza di cui all'articolo 425 c.p.p Sulla violazione e falsa applicazione dell'articolo 425 c.p.c. recte p. ai sensi dell'articolo 360 c.p.c. . Con il secondo motivo così si deduce Sulla violazione e falsa applicazione degli articolo 2043 e 2054 c.c., e articolo 40 e 41 c.p., ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., numero 3 in tema di accertamento del nesso causale . Con il terzo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione degli articolo 141 e 142 C.d.S., ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., numero 3 . 2.2. La lettura dell'illustrazione dei motivi giustifica la valutazione su espressa, in condivisione delle motivazioni enunciate dal Procuratore Generale, che conviene qui riprodurre. Esse si sono così articolate 1. Il focus della controversia risiede nella delibazione del primo motivo formulato ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, con cui l'A. Assicurazioni Spa si duole che la Corte territoriale, pur non potendo riconoscere efficacia di giudicato alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 425 c.p.p., in virtù dell'inapplicabilità analogica delle disposizioni di cui all'articolo 652 c.p.p., non ha tenuto conto di tutti gli elementi di prova acquisiti, nel rispetto del contraddittorio tra le parti, in sede penale, cosi non dando adeguato conto delle ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dagli esiti degli accertamenti compiuti in sede penale e acquisiti in quella civile. 2. Ora, è noto che le Sezioni Unite civili sia con sentenza 27 maggio 2009, numero 12243 resa in sede d'impugnazione di una sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche, sia con sentenza 26 gennaio 2011, numero 1768, resa a composizione di un contrasto hanno stabilito che, in tema di giudicato, la disposizione di cui all'articolo 652 c.p.p., cosi come quelle dei successivi articolo 651, 653 e 654 - norma, quest'ultima, di contenuto corrispondente all'articolo 28 del codice previgente e applicabile anche alle fattispecie antecedenti all'entrata in vigore del nuovo codice è un‘eccezione al principio dell'autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non e', pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti. Ne consegue che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima , pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, mentre le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente ne consegue altresì che, nel caso da ultimo indicato, il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione. Le Sezioni Unite penali, per altro verso Cass., sez. unumero , 29 maggio 2008, Guerra , hanno considerato che il codice di procedura penale del 1988 ha fatto venir meno il principio dell'unitarietà della funzione giurisdizionale, introducendo il diverso principio della autonomia, parità ed originarietà degli ordini giurisdizionali, di guisa che l'articolo 652 c.p.p., nella parte in cui ancora prevede un limitato vincolo del giudice civile rispetto alla sentenza penale, è norma eccezionale, insuscettibile di interpretazione estensiva od analogica si vedano sul punto anche Cass. numero 6541 del 2016, numero 24475 del 2014, numero 5898 del 2013, numero 14770 del 2004 . 3. E' di interesse ai fini che qui occupano perimetrare l'efficacia preclusiva discendente dai menzionati disposti del codice di rito penale per determinare a contrario l'ambito di sindacato consentito al giudice civile in caso di sentenza di proscioglimento. 4. Come leggesi in Cass. numero 15392 del 2018, secondo costante insegnamento, per fatto accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica costituita dall'accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l'una e l'altro fatto principale e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso. Ne consegue che, mentre nessuna efficacia vincolante esplica nel giudizio civile il giudizio penale - e cioè l'apprezzamento e la valutazione di tali elementi - la ricostruzione storico-dinamica di essi è invece preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell'episodio . 5. Se tanto è in via eccezionalmente precluso al giudice civile, deve desumersi che, invece, all'opposto in caso di sentenza di proscioglimento, stante l'assenza della divisata efficacia vincolante, è consentita una novella ricostruzione storico-dinamica dell'accaduto, di guisa che nulla osta a che il giudice civile proceda a una diversa e autonoma ricostruzione dell'episodio. In sede di tale rivalutazione integralmente dei fatti di causa ricostruzione, pur non versandosi nei casi in cui non possono attribuirsi alla sentenza penale effetti vincolanti nel giudizio civile ai sensi degli articolo 654,652 e 651 c.p.p., il giudice civile può ma non deve tener conto delle acquisizioni probatorie del processo penale e ripercorrere lo stesso iter argomentativo della sentenza di condanna, condividendone gli esiti. In ogni caso, ciò che va sottolineato è che l'apprezzamento del rilievo probatorio conferito agli elementi così acquisiti al giudizio civile, svoltosi nel regolare contraddittorio delle parti, spetta al giudice del merito cfr. Cass. numero 18025 del 2019 e non è sindacabile in sede di legittimità oltre i limiti in cui lo sia qualsiasi accertamento di fatto così testualmente Cass. numero 17343 del 2021 . E cosi per un verso, la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all'articolo 360 c.p.c., numero 5 per altro verso, la parte non può rimettere in discussione la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità ex plurimis, Cass. numero 11863 del 2018, numero 29404 del 2017, numero 16056 del 2016 . 6. E' evidente, infatti, che ammettere in sede di legittimità la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito Cass. numero 13509 del 2021 in linea con Cass. Sez. U, numero 28220 del 2018 . 7. D'altro canto, e', in effetti, noto come, secondo le Sezioni Unite di codesta Corte numero 8053 del 2014 , l'articolo 360 c.p.c., numero 5, consente di denunciare in cassazione - oltre all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione - solo il vizio dell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia cosi, più di recente, Cass. numero 27415 del 2018, in motiv. Cass. numero 14014 del 2017, in motiv. Cass. numero 9253 del 2017, in motiv. . L'omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie Cass. numero 9253 del 2017, in motiv. . 8. Pertanto, una volta escluso che nella specie la motivazione resa dalla Corte d'appello sia inesistente o apparente o contraddittoria, l'accertamento dei fatti potrebbe essere censurato solo in ragione dell'omesso esame da parte del giudice di merito di un fatto storico controverso, di cui, però, la doglianza non fa menzione alcuna. Dunque, non resta che rilevare l'inammissibilità del primo motivo di gravame, benché apparentemente formulato con riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3. 9. Medesima sorte seguono i restanti due motivi. Anch'essi sono formulati con riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 e sono incentrati sull'accertamento del nesso di causalità e sul riparto del concorso di responsabilità. 10. E' sufficiente in proposito ribadire che, in tema di sinistri stradali, costituiscono accertamenti di fatto, non censurabili in sede di legittimità, la ricostruzione della dinamica dell'incidente e l'accertamento della condotta e della responsabilità dei soggetti coinvolti, cosi come l'accertamento dell'esistenza o dell'esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l'evento dannoso ex plurimis Cass., Sez. 3, numero 14599 del 2019, cui si rinvia per la ricca citazione giurisprudenziale . 11. La decisione impugnata, fondata sulla insindacabile valutazione delle prove acquisite è sostenuta sul punto da motivazione adeguata, non apparente e priva di insanabili contraddizioni logiche, come tale, alla luce di quanto dianzi precisato, non censurabile in sede di legittimità. . 2.3. A queste considerazioni del P.G. si può aggiungere quanto segue aa il primo motivo, dopo avere rimarcato, quasi come res sperata, che la rimodulazione della tecnica decisionale all'esito di udienza preliminare con la novellazione dell'articolo 425 c.p.p., giustificherebbe l'attribuzione ad essa di efficacia di giudicato in guisa simile quanto dispone l'articolo 652 c.p.p., proclama l'inapplicabilità in via analogica di tale norma e, quindi, nelle pagg. 10-12 rivela la sua vera sostanza, in quanto postula che le nuove caratteristiche dell'udienza preliminare comporterebbero che il giudice civile, davanti al quale la decisione sua invocata, dovrebbe ex necesse esaminare il percorso motivazionale assolutorio del giudice penale, nel mentre il giudice capitolino non l'avrebbe fatto bb tale assunto, una vota considerato che la motivazione della sentenza ai sensi dell'articolo 425 c.p.p., esprime un'opinione, si rivela fallace là dove postula una sorta di vincolo per il giudice civile al di fuori di qualsiasi previsione normativa nel processo civile e comunque anche nel processo penale che imponga un siffatto modo di procedere, mentre, là dove addebita al giudice civile di non avere valutato quell'opinione, si risolve nell'imputargli di non avere valutato una possibile risultanza probatoria cc ne è consapevole la stessa ricorrente, quando, alle pagg. 1011, dopo avere prima riferito la motivazione del giudice penale, addebita alla corte territoriale civile di non avere valutato le emergenze della consulenza disposta dal P.M., cioè delle risultanze probatorie della vicenda processuale penale dd il motivo, allora, là dove addebita al giudice civile di non aver preso posizione sull'opinione del giudice penale e sulle risultanze in questione, si risolve nel prospettare una rivalutazione della quaestio facti e lo fa ignorando i limiti imposti al riguardo dall'articolo 360, numero 5, come correttamente colto dal P.G. ee ulteriormente si rileva che il motivo si disinteressa del ragionamento svolto dalla corte territoriale alle pagg. 4-5, il che lo rende anche privo di correlazione alla motivazione della sentenza impugnata. ff anche il secondo motivo non contiene l'esposizione né della violazione né della falsa applicazione delle norme evocate, ma esprime un dissenso dalla valutazione della quaestio facti e lo fa ignorando nuovamente la motivazione richiamata sub ee gg identiche considerazioni merita il terzo motivo, che, peraltro, proprio per l'ignoranza della motivazione espressa dalla corte capitolina, si svolge assumendo la rilevanza causale assorbente della condotta del de cuius nel presupposto che, se anche la velocità di marcia della conducente fosse stata conforma al limite di 90 km, lo non sarebbe stato evitabile, nel mentre la sentenza impugnata ha argomentato che la velocità da tenersi dalla medesima avrebbe dovuto essere adeguata alle condizioni di tempo e di luogo dell'incidente, sostenendo che dunque avrebbe dovuto essere ben inferiore a quel limite è palese che l'argomentare del terzo motivo risulta privo di correlazione con la motivazione della sentenza. 3. Si deve passare a questo punto all'esame del ricorso incidentale. Con l'unico motivo su cui si fonda si deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 2043,2059 e 2727 c.c., in riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 . Vi si censura la motivazione con cui la corte territoriale ha rigettato la domanda risarcitoria proposta da L.S. in proprio e quale procuratore speciale di B.S. e Bh.Ka., i primi due fratelli e la terza sorella del de cuius. Tale motivazione si è articolata con la preliminare affermazione che in considerazione della grande lontananza e della mancanza di convivenza tra la vittima e gli attori tutti residenti in India fatta eccezione per il fratello L.S. che comunque risiedeva in provincia di Bolzano possa riconoscersi raggiunta la prova del danno non patrimoniale da sofferenza interiore per la perdita del familiare soltanto quanto alla moglie, ai figli ed ai genitori, prova desumibile da presunzione fondata sullo stretto legale di parentela e affettivo, rilevando la mancanza di convivenza - per detti congiunti - al solo fine di ridurre il risarcimento rispetto a quello spettante secondo gli ordinari criteri di liquidazione . A tale affermazione ha fatto seguito l'altra secondo cui nelle condizioni indicate di contro non possono presumersi rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà tra i fratelli e il familiare defunto, per cui è rigettata la domanda proposta da L. S. in proprio, B.S. e Bh.Ka. . L'illustrazione del motivo di ricorso incidentale fa leva sul principio di diritto di cui a Cass. numero 3767 del 2018 e addebita alla corte romana di avere violato l'articolo 2727 c.c., nel dare rilievo alla lontananza come causa escludente il danno da sofferenza per la morte del fratello. 3.1. Il motivo è fondato e merita accoglimento. La corte capitolina ha commesso un errore di sussunzione, là dove in via automatica ha escluso automaticamente la rilevanza del nesso parentale fra fratelli ai fini del diritto al risarcimento del danno da sofferenza in ragione della sola lontananza spaziale dal de cuius. Si rileva che è stato ritenuto Cass. ord. numero 29784 del 2018 che Nel giudizio risarcitorio instaurato dagli eredi nonché prossimi congiunti nella specie madre e fratelli di un lavoratore deceduto a seguito di infortunio sul lavoro, la prova del danno non patrimoniale da sofferenza interiore per la perdita del familiare può essere fornita mediante presunzione fondata sull'esistenza dello stretto legame di parentela riconducibile all'interno della famiglia nucleare, superabile dalla prova contraria, gravante sul danneggiante, imperniata non sulla mera mancanza di convivenza che, in tali casi, può rilevare al solo fine di ridurre il risarcimento rispetto a quello spettante secondo gli ordinari criteri di liquidazione , bensì sull'assenza di legame affettivo tra i superstiti e la vittima nonostante il rapporto di parentela. . In tal modo si dà rilievo all'esistenza del rapporto come tale rovesciando sul preteso danneggiante la prova della sua svalutazione nel caso concreto. Questa Sezione, inoltre, da ultimo, con l'ordinanza numero 18284 del 2021 ha statuito che in tema di danno non patrimoniale risarcibile derivante da morte causata da un illecito, il pregiudizio risarcibile conseguente alla perdita del rapporto parentale che spetta iure proprio ai prossimi congiunti riguarda la lesione della relazione che legava i parenti al defunto e, ove sia provata l'effettività e la consistenza di tale relazione, la mancanza del rapporto di convivenza non è rilevante, non costituendo il connotato minimo ed indispensabile per il riconoscimento del danno In motivazione questa decisione ha osservato quanto segue Escludendo che sia possibile limitare la società naturale , cui fa riferimento l'articolo 29 Cost., al ristretto ambito della sola c.d. famiglia nucleare, questa Corte ha avuto già occasione di precisare che il danno da perdita del rapporto parentale, in quanto danno iure proprio dei congiunti, è risarcibile ove venga provata l'effettività e la consistenza di tale relazione, e in particolare l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, non essendo al riguardo richiesto che essa risulti caratterizzata altresì dalla convivenza, quest'ultima non assurgendo a connotato minimo di relativa esistenza v. Cass., 30/8/2019, numero 21837 Cass., 19/11/2018, numero 29784 Cass., 15/2/2018, numero 3767 Cass., 7/12/2017, numero 29332 Cass., 20/10/2016, numero 21230. Cfr. altresì Cass., 1/12/2010, numero 24362. Cfr., con specifico riferimento ai nonni, Cass., 8/4/2020, numero 7743 Cass., 7/12/2017, numero 29332 Cass., 20/10/2016, numero 21230. Contra, ma isolatamente con particolare riferimento ai nonni , v. Cass., 16/3/2012, numero 4253 . Cass. numero 7748 del 2020, peraltro, ha affermato il principio di diritto secondo cui In tema di lesioni conseguenti a sinistro stradale, il danno iure proprio subito dai congiunti della vittima nella specie, i suoi genitori e fratelli non è limitato al solo totale sconvolgimento delle loro abitudini di vita, potendo anche consistere in un patimento d'animo o in una perdita vera e propria di salute. Tali pregiudizi possono essere dimostrati per presunzioni, fra le quali assume rilievo il rapporto di stretta parentela esistente fra la vittima ed i suoi familiari che fa ritenere, secondo un criterio di normalità sociale, che essi soffrano per le gravissime lesioni riportate dal loro prossimo congiunto. . Il principio, come si vede, è relativo anche ai fratelli. Il problema che si pone è dunque quello della effettività e consistenza della relazione al di là della convivenza. Ora, il ritenere che la estrema lontananza fra fratelli deponga automaticamente, come ha opinato la corte territoriale, nel senso della mancanza di effettività della relazione di fratellanza e, dunque, nel senso di escluderne una dimensione tale da giustificare la sussistenza della sofferenza per la perdita di un fratello o di una sorella, appare nella sostanza affermazione enunciata dalla corte di merito desumendo da un fatto noto, la lontananza geografica, in questo caso estrema altro continente per un fratello ed una sorella, meno consistente relativa al nostro Paese per l'altro fratello , quella di un fatto ignoto, cioè l'assenza di effettività della relazione parentale. Ebbene, il ragionamento inferenziale svolto dalla corte romana risulta del tutto privo di aderenza all'id quod plerumque accidit ed al senso comune e, dunque, esprime l'applicazione di una presunzione hominis del tutto priva del connotato della gravità. Senonché, la mera lontananza geografica fra fratelli non sembra apprezzabile, si crede con riferimento a tutti i contesti di provenienza, come idonea a dimostrare la mancanza di effettività. Poteva esserlo i tempi remoti, nei quali le comunicazioni fra persone distanti erano difficili se non impossibili, sicché il vivere in contesti geografici diversi per un tempo consistente, poteva giustificare il ragionamento della sentenza impugnata. Invece, nei tempi attuali, una volta che si consideri che i mezzi di comunicazione odierni consentono di mantenere vivi rapporti familiari anche se a distanza considerevole attraverso le varie tecniche di trasmissione e della voce e delle immagini, il detto ragionamento appare privo di giustificazione inferenziale. Per tale ragione la sentenza dev'essere cassata in parte qua perché ha compiuto un ragionamento erroneo in iure. 4. Conclusivamente, il ricorso principale è dichiarato inammissibile. L'incidentale è accolto e la sentenza impugnata è cassata in relazione con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, comunque in diversa composizione, e ciò anche per le spese di questo giudizio di legittimità, atteso che i ricorrenti incidentali sono gli unici intimati che hanno resistito al ricorso principale. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale. Accoglie il ricorso incidentale e cassa la sentenza impugnata in relazione. Rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.