La Cassazione chiarisce se i provvedimenti disciplinari che colpiscono la dignità del lavoratore possano essere ricondotti all’ipotesi di mobbing.
Con l'ordinanza in esame, la Corte di Cassazione si è pronunciata su una vicenda riguardante una vittima di mobbing. In particolare, la Corte d'Appello condannava il MIUR al risarcimento del danno nei confronti di una docente che era stata vittima di alcuni provvedimenti disciplinari che erano stati qualificati come mobbing dal TAR Lazio. Il Ministero ricorre in Cassazione, ritenendo erronea la riconducibilità all'ipotesi di mobbing dei suddetti provvedimenti assunti a carico della docente. La doglianza, però, è infondata. La Corte d'Appello, infatti, ha recepito la ricostruzione del fatto operata dal giudice amministrativo riguardante il rapporto conflittuale tra le parti e ha rilevato l'illiceità delle condotte dell'amministrazione volte a colpire la dignità dell'insegnante, riconducendole all'ipotesi di mobbing alla stregua di un orientamento già accolto dalla Corte di Cassazione Cass. numero 17698/2014 . Infatti, la decisione del TAR aveva smentito la tesi del Ministero secondo cui i suddetti provvedimenti non erano stati adottati per colpire la docente, ma per salvaguardare l'insegnante e gli alunni. Pertanto, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Presidente Manna – Relatore De Marinis Rilevato - che, con sentenza del 24 settembre 2015, la Corte d'Appello di Roma, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Roma, sulla domanda proposta da F.R. nei confronti del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca nonché del Liceo omissis di Roma, avente ad oggetto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni patiti per effetto dell'illegittima condotta, integrante una ipotesi di mobbing, accertata con sentenza del TAR Lazio passata in giudicato ed emessa all'esito di vari giudizi riuniti proposti contro il MIUR e l'allora Provveditorato agli Studi di Roma per l'annullamento di diversi provvedimenti adottati a suo carico, accoglieva parzialmente la domanda stessa e dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'istituto scolastico, condannava il MIUR al risarcimento de danno non patrimoniale riferito, oltre che al danno biologico ed al danno biologico da invalidità assoluta temporanea, alle ulteriori specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona quantificate in via equitativa procedendo ad adeguata personalizzazione - che la decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto di dover accogliere in base all'orientamento di questa Corte cfr. Cass. numero 6372/2011 l'eccezione di difetto di legittimazione passiva del Liceo omissis di Roma e, nel merito, disconosciuta, diversamente dal primo giudice, la genericità del ricorso introduttivo e la rilevanza del riferimento alla pronunzia del TAR Lazio, coperta da giudicato, che accerta con ampia ed articolata motivazione come la F. fosse stata vittima di mobbing, sussistente la lamentata condotta persecutoria, l'intento vessatorio unificante tutti i comportamenti lesivi, risultando nella predetta decisione del TAR decisamente smentita la tesi per cui con i provvedimenti adottati non si fosse inteso colpire la F. quanto, piuttosto, cercare di rasserenare il clima, salvaguardando innanzitutto l'insegnante e poi gli alunni, la lesione della salute, della personalità e della dignità della dipendente, il nesso eziologico tra le condotte ed il pregiudizio subito dalla vittima, la risarcibilità del danno nella sola sua componente non patrimoniale liquidato come sopra precisato - che per la cassazione di tale decisione ricorre il MIUR, affidando l'impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la F. . Considerato - che, con il primo motivo, il Ministero ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2099 c.c. anche in relazione alla L. numero 1034 del 1971, articolo 5 e articolo 7, comma 3, imputa alla Corte territoriale l'erroneità del presupposto da cui muove il pronunciamento circa la riconducibilità ad una ipotesi di mobbing dei provvedimenti assunti a carico della F. poi annullati dal TAR Lazio, ovvero l'essersi formato, in relazione al dictum di tale sentenza, poi divenuta definitiva, un giudicato sostanziale - che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2909 c.c., il Ministero ricorrente, sul presupposto della fondatezza del motivo che precede, imputa alla Corte territoriale la totale omissione dell'accertamento della pretesa risarcitoria avanzata dalla F. nel presente giudizio, avendo erroneamente riconosciuto efficacia di giudicato all'accertamento compiuto dal giudice amministrativo - che con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell'articolo 115 c.p.c., si deduce la nullità dell'impugnata sentenza imputando alla Corte territoriale l'erronea valutazione di quanto allegato e offerto di provare dal Ministero medesimo, letto in termini di mancata contestazione dei fatti accertati nel giudizio amministrativo o di carenza di prova contraria - che nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c. è prospettata in relazione al vizio di extrapetizione implicante la nullità dell'impugnata sentenza per aver riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in relazione ad un pregiudizio psicofisico diverso da quello in relazione al quale espressamente la F. aveva avanzato la pretesa risarcitoria - che i primi due motivi devono ritenersi infondati atteso che la Corte territoriale, lungi dal ritenere essersi formato con riferimento alla sentenza del TAR Lazio il giudicato sostanziale o formale sul diritto della F. al risarcimento del danno da mobbing, si è limitata a recepire la ricostruzione in fatto operata dal giudice amministrativo del rapporto di lavoro indubbiamente conflittuale intercorso tra le parti, derivandone, sulla base dell'analisi delle circostanze di fatto indicate dalla F. , non rileva se solo per relationem alla sentenza del TAR, il convincimento, già manifestato in quella sede, dell'illiceità della condotta complessiva posta in essere dall'amministrazione, volta a colpire la docente nella sua dignità, minandone gravemente l'autorevolezza ed il prestigio , piuttosto che a comporre il conflitto insorto nell'ambiente di lavoro e della sua riconducibilità ad una ipotesi di mobbing alla stregua dell'orientamento accolto da questa Corte cfr. Cass. numero 17698/2014 - che, di contro, inammissibile risulta il terzo motivo, risolvendosi la censura nell'opporre al libero apprezzamento delle dedotte allegazioni e prove operato dalla Corte territoriale e qui insindacabile una diversa lettura delle deduzioni in replica formulate in atti dal Ministero ricorrente che nuovamente infondato deve dirsi il quarto motivo, non ravvisandosi il denunciato vizio di extrapetizione nell'aver la Corte territoriale riconosciuto la pretesa risarcitoria in relazione ad una qualificazione del lamentato pregiudizio psicofisico operata dal CTU con il ricondurre nella più generale sindrome ansioso-depressiva la specifica sintomatologia psicosomatica cui aveva fatto espresso riferimento la F. nel formulare la domanda giudiziale che, pertanto, il ricorso va rigettato che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.