Il sequestro preventivo di mascherine acquistate con intermediazione illecita durante la pandemia

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una donna accusata di illecita intermediazione nell’acquisto di mascherine in occasione dell’emergenza pandemica da COVID-19.

La Corte di Cassazione con sentenza numero 27476/2022 si è occupata di un delicato caso di sequestro preventivo a carico di una donna, indagata per avere compiuto in concorso, una illecita intermediazione, relativa all'acquisto di dispositivi di protezione personale, nel corso dell'emergenza da COVID-19. L'accusa mossa nei confronti della donna sarebbe quella di avere aggirato le normali regole di gara pubblica, giustificando il suo comportamento con l'urgenza relativa alla situazione pandemica emergenziale. La ricorrente contestava che il reato di intermediazione illecita, ai sensi dell'art 346 c.p., non sarebbe stato contestabile autonomamente nell'ambito dell'accertamento della responsabilità per aver concorso in episodi di corruzione o di abuso d'ufficio. Il ricorso è stato rigettato dal Collegio. La Corte di Cassazione specifica che solo in caso di concorso in alcuni più gravi reati commessi dal pubblico ufficiale, la norma prevede per il traffico di influenze illecite l'assorbimento nel reato più grave a cui il mediatore abbia appunto partecipato. Tuttavia, anche nel caso in cui si volesse seguire il ragionamento della difesa della donna, per il quale il reato dell'articolo 346-bis c.p. dovrebbe essere assorbito in quello più grave dell'art 323 c.p., commesso da una terza persona, nella fase cautelare non è chiaro ancora se questa terza persona abbia o meno commesso il reato di abuso di ufficio e pertanto non si può comunque escludere la sussistenza del reato di cui l'articolo 346-bis c.p. a carico della ricorrente. Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Presidente D'Agostini -  Relatore Cosconi   Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Roma confermava il decreto con cui è stato disposto nei confronti di G.D.R. il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei saldi attivi esistenti sui rapporti finanziari e/o bancari fino a concorrenza dell'importo di Euro 212.000 la somma indicata costituirebbe il prezzo del reato di concorso in traffico di influenze illecite. Secondo l'imputazione provvisoria, B.M., sfruttando le sue relazioni personali con A.D., omissis , si sarebbe fatto dare o promettere da T.A.V., che avrebbe agito in concorso con G.D. e S.S.A.J.E., la somma di Euro 11.948.852,00 quale remunerazione indebita di una mediazione illecita perché occulta, svolta al di fuori di un ruolo professionale/istituzionale e fondata sulle relazioni personali con lo stesso A. relativa alle commesse di fornitura di dispositivi di protezione personale mascherine , ordinate dal Commissario straordinario a tre società cinesi al prezzo di 1.251.5001 00 Euro dette società sarebbero state individuate dallo stesso T.A.V., titolare della società omissis s.r.l. e da S.S.A.J.E., titolare di fatto di un'altra società omissis s.r.l. , i quali avrebbero ricevuto provvigioni rispettivamente di Euro 59.705.882,00, transitati sul conto della società omissis e di Euro 5.800.000,00 transitati sui conti societari della omissis . Una parte della somma percepita da B. sarebbe confluita su un conto corrente della società omissis s.r.l. di cui sarebbe stata legale rappresentante G.D., compagna dello stesso B. A seguito di ricorso, questa Corte, con sentenza del 14 ottobre 2021, annullava la predetta ordinanza con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame il Tribunale di Roma, con ordinanza del 10 marzo 2022, confermava il decreto di sequestro. 1.1 Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell'indagata, lamentando che l'impugnato provvedimento non aveva minimamente affrontato la questione processuale relativa all'eccezione secondo cui il Tribunale non avrebbe dovuto consentire l'ingresso nel giudizio del materiale fornito dall'accusa e concernente sviluppi investigativi successivi al momento del riesame. 1.2 I difensore, contesta l'affermazione del Tribunale secondo cui sarebbe concepibile un'intermediazione illecita ex articolo 346 bis c.p. svincolata dalla corruzione del pubblico ufficiale ed autonomamente punibile e sarebbe da riferirsi ad altri reati commessi dal pubblico ufficiale diversi dalla corruzione, posto che nell'ordinanza impugnata si rinvenivano affermazioni in palese contrasto con i principi fondamentali del concorso di persone nel reato e della responsabilità penale, che è personale e non certo oggettiva come già rilevato nel precedente ricorso per cassazione, il difensore osserva che se la condotta di intermediazione illecita è funzionale al reato del pubblico ufficiale e ne rappresenta un presupposto o un segmento, secondo le regole generali del concorso di persone nel reato, l'intermediario è un concorrente nel reato del pubblico ufficiale e vi concorre appunto mediante la condotta di intermediazione del tutto impossibile e giuridicamente assurdo sarebbe poi immaginare che la clausola di salvezza contenuta nell'articolo 346 bis c.p. voglia escludere dal concorso nel reato solo la corruzione e non anche gli altri reati in ipotesi realizzabili dal pubblico ufficiale perché, in tal caso, si arriverebbe all'assurdo che soltanto per la corruzione, che costituisce il reato più grave, il legislatore scriminerebbe l'illecito dell'intermediario, che invece sarebbe punito per l'intermediazione rispetto ad altro reato meno grave pertanto, una volta che, attraverso la propria opera di mediazione, abbia cooperato alla commissione del reato commesso dal pubblico ufficiale, il privato mediatore risponderà del medesimo reato commesso da quest'ultimo e la condotta di intermediazione resterà assorbita nell'unica responsabilità concorsuale prevista per tutti coloro che, con le rispettive condotte, hanno commesso il reato conclude il difensore affermando che non vi è spazio per l'illecita intermediazione se non quando il privato mediatore abbia prospettato la possibilità di corrompere il pubblico ufficiale che sia all'oscuro della finalità illecita della mediazione. Considerato in diritto 1.11 ricorso è infondato. 1.1 Con riferimento al primo motivo di ricorso, fermo restando che nel giudizio di rinvio la sopravvenienza di nuovi elementi di fatto, sempre valutabili nel giudizio allo stato degli atti, la frase contenuta a pag. 3 della sentenza rescindente La questione, che prescinde da eventuali sviluppi investigativi, è se fosse configurabile il fumus del reato per il quale si procede al momento in cui la misura è stata disposta ovvero al momento in cui il Tribunale ha emesso l'ordinanza impugnata non poneva alcun principio di diritto da osservare nel giudizio di rinvio, ma costituiva soltanto l'incipit del ragionamento della sentenza inoltre il motivo è per un verso generico, non chiarendo quali siano gli sviluppi investigativi successivi al momento del riesame , e per altro verso non supera la cd. prova di resistenza si deve ribadire, infatti, come secondo l'orientamento di questa Corte allorché con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta prova di resistenza , essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l'espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento Sez. 6, numero 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452 . 1.2 Infondato è anche il secondo motivo di ricorso. La sentenza rescindente aveva rilevato che il Tribunale non aveva spiegato in nessun modo a quale fosse la finalità prospettica illecita di quella mediazione , tenuto conto che nessuna irregolarità è stata nemmeno ipotizzata nella condotta del Commissario e neppure in ordine alla legittimità dei contratti stipulati con le società cinesi b quale fosse la finalità di inquinamento della pubblica funzione che i contraenti T. e B. si proponevano di realizzare c quale fosse il comportamento inquinante che B., nell'ottica della mediazione, avrebbe in astratto dovuto compiere d se l'iniziativa fu presa dal Commissario e perché, se così fosse, la mediazione sarebbe illecita pag.11 sentenza della Sesta Sezione di questa Corte del 14 ottobre 2021 . A tali rilievi ha risposto il giudice di rinvio, evidenziando nelle pagine da 19 a 25 dell'ordinanza impugnata tutti gli elementi che portavano alla conclusione della sussistenza del fumus in ordine alla natura illecita della mediazione svolta da B. presso A. pag.25 ordinanza impugnata , ipotizzando l'esistenza nei confronti di quest'ultimo del reato di abuso d'ufficio e sottolineando che nella clausola di riserva contenuta nell'articolo 346 bis c.p. volta ad escludere il concorso tra il traffico di influenza ed altre ipotesi di reato, non compare quella di cui all'articolo 323 c.p A tale proposito, deve essere osservato che se si mettono a confronto il comma 1 dell'articolo 346 bis c.p. Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articolo 318, 319, 319 ter e nei reati di corruzione di cui all'articolo 322 bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322 bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322 bis, ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi. con il comma 4 del medesimo articolo le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie, o per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322 bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio si nota che la volontà del legislatore è stata proprio quella di prevedere una clausola di riserva solo per i reati indicati nel comma 1 e non per i rimanenti reati, nel concorso dei quali si avrà invece un aggravamento di pena e ciò in quanto nel caso in cui l'intervento del mediatore abbia portato alla corruzione, egli ne risponderà in concorso con il pubblico ufficiale in concorso con quest'ultimo trattasi di precisa scelta legislativa, dovuta evidentemente al maggior disvalore dei reati indicati nel comma 1, per i quali si vuole estendere anche al mediatore il concorso negli stessi, a differenza dei rimanenti reati, per i quali il mediatore risponderà soltanto del reato di cui all'articolo 346 bis c.p Del resto, la stessa sentenza rescindente ha precisato, a pag. 9 della motivazione, che La mediazione onerosa è illecita in ragione della proiezione ‘esternà del rapporto dei contraenti, dell'obiettivo finale dell'influenza compravenduta, nel senso che la mediazione è illecita se è volta alla commissione di un illecito penale di un reato idoneo a produrre vantaggi al committente. , presupponendo quindi che, per poter ritenere configurabile il reato di cui all'articolo 346 bis cod.pen,, il comportamento di B. fosse teso a far commettere un reato al pubblico ufficiale ma se tale reato, commesso dal mediatore, dovesse sempre ritenersi assorbito in quello più grave commesso dal pubblico ufficiale, è chiaro che non sarebbe mai ipotizzabile. Anche a voler seguire il ragionamento della difesa, secondo cui il reato di cui all'articolo 346 bis cod.pen dovrebbe ritenersi assorbito nel più grave reato di cui all'articolo 323 c.p. commesso da A., nella presente fase cautelare non è ancora chiaro se il Commissario A.abbia o no commesso il reato di abuso di ufficio, per cui non può comunque essere esclusa la sussistenza del reato di cui all'articolo 346 bis c.p. a carico di B. e quindi anche della G. . 2. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna delò ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.