Per i Giudici l’uomo che ha causato la morte dei due quadrupedi non ha agito in una situazione di imminente pericolo. Dovrà anche risarcire i due padroni degli animali.
Condannato l'uomo che, spaventato e costretto in casa dalla presenza di due cani lupo , li uccide sparando con un fucile da caccia. Palese, secondo i Giudici, come egli abbia agito in maniera ingiustificata e violenta, non rappresentando i due animali un pericolo per la sua incolumità personale. Riconosciuto il diritto dei padroni dei due quadrupedi ad ottenere un adeguato ristoro economico. Scenario dell'episodio sottoposto alla valutazione dei giudici è la provincia di Parma. A finire sotto processo è un uomo che ha ucciso con un fucile da caccia due cani di razza lupo cecoslovacco. Secondo quanto ricostruito tra primo e secondo grado «gli animali – di proprietà di un uomo e di una donna – erano da poco scappati dal loro recinto e si erano spinti fino innanzi al portone della casa dell'uomo» che, secondo il Giudice di pace, ha sparato col fucile solo perché convinto di «trovarsi in una situazione di pericolo e di minaccia». Ecco spiegata così la pronuncia assolutoria emessa in primo grado e basata sulla sensazione di rischio avvertita dall'uomo e considerata una giustificazione alle fucilate contro i due cani. Valutazione opposta, invece, quella compiuta dai giudici del Tribunale, i quali condannano l'uomo, ritenendolo colpevole di «avere, senza necessità, cagionato la morte dei due animali». In Tribunale sanciscono perciò l'obbligo dell'uomo di risarcire il danno subito dai proprietari dei cani e riconoscono una provvisionale immediatamente esecutiva e pari a 10mila euro. Inutile il ricorso in Cassazione proposto dal legale che rappresenta l'uomo. Infruttuosa la linea difensiva mirata a presentare le fucilate contro i due cani come un'azione difensiva dell'uomo a fronte di una situazione di pericolo. Acclarato che i due cani erano sfuggiti al controllo dei proprietari, che li avevano a lungo cercati e avevano allertato anche il sindaco e la Polizia municipale, e poi si erano spinti fino alla casa dell'uomo, i Giudici ritengono necessario fare chiarezza su come l' uccisione dei due animali non sia in alcun modo giustificabile con una presunta situazione di pericolo. Su questo fronte i Giudici ribadiscono che il cosiddetto “stato di necessità”, che secondo la difesa avrebbe spinto l'uomo a sparare, va riconosciuto quando vi è «una situazione di attuale ed imminente pericolo alla incolumità personale che non sia altrimenti evitabile». E «in tema di delitti contro il sentimento per gli animali», precisano i Giudici, «la nozione di “stato di necessità” che esclude la configurabilità del reato di uccisione di animali comprende quelle situazioni che inducono all'uccisione dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona propria o altrui o ai propri beni, quando tale danno è ritenuto altrimenti inevitabile». Ebbene, nella vicenda presa in esame «proprio il requisito della inevitabilità del danno o del pericolo è carente », poiché, come appurato in Appello, preso atto della presenza dei due cani lupo, «l'uomo si era rifugiato all'interno della sua abitazione» e questo dettaglio, osservano i Giudici della Cassazione, consente di escludere in radice per lui «una situazione di attuale e imminente pericolo ». In questa ottica i Giudici aggiungono che «se l'uomo ha agito dietro la convinzione di temere un assalto da parte dei due cani lupo, non si comprende per quale motivo non abbia chiamato i carabinieri o il personale della forestale», essendo egli al sicuro dentro casa, e aggiungono poi che «non è possibile conciliare la prospettazione difensiva con la decisione dell'uomo di gettare le carcasse dei due cani sul greto del torrente» dopo averli uccisi a fucilate. In sostanza, «anche con riferimento alle esigenze di tutela della libertà» dell'uomo «di movimento all'interno delle aree di propria proprietà, rileva la condotta alternativa che ben avrebbe potuto tenere l'uomo che, anche nella sua qualità di veterinario, avrebbe potuto segnalare la situazione alle autorità, peraltro già a conoscenza dello smarrimento dei due animali in quanto tempestivamente allertate dai proprietari». Vi sono, quindi, tutti gli elementi probatori per ritenere, concludono i Giudici, che «l' uccisione dei due animali sia avvenuta senza alcuna necessità ».
Presidente Ramacci – Relatore Magro Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15.09.2020 il Giudice di Pace di Parma ha assolto l'imputato D.G. per il reato di cui all' articolo 638 c.p. , commesso in relazione all'uccisione con un fucile da caccia di due cani di razza lupo cecoslovacco , di proprietà di P.A. e B.G. , costituiti parti civili. Gli animali erano da poco scappati dal loro recinto e si erano spinti fino innanzi al portone della sua abitazione. Il Giudice di prima istanza ha pronunciato sentenza di assoluzione ritenendo che vi fosse dubbio sulla prova che il fatto fosse stato commesso in presenza di una causa di giustificazione, in quanto l'imputato aveva agito nella persuasione di trovarsi in una situazione di pericolo e di minaccia della sua libertà di movimento e di godimento dei propri beni, senza tuttavia specificare quale fosse l'esimente. 2. La sentenza veniva impugnata dalle parti civili e, con sentenza del 3 maggio 2021, il Tribunale di Parma, in funzione di Giudice d'appello ha riformato la sentenza del Giudice di Pace, previa riqualificazione del fatto ai sensi dell' articolo 544 bis c.p. , ed appurando in via incidentale la responsabilità dell'imputato, lo condannava al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidare in separata sede, riconoscendo una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad Euro 10.000,00. 2. Avverso la sentenza D.G. ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con il primo e il secondo motivo il ricorrente deduce l'inosservanza di norme penali in relazione alla sussistenza della causa di giustificazione della legittima difesa. Si deduce che il giudice di primo grado, sebbene non abbia espressamente qualificato l'esimente nel dispositivo, abbia fatto chiaro riferimento alla scriminante della legittima difesa, e non a quella dello stato di necessità che il giudice di appello ha ritenuto insussistente. Il Giudice di Pace, in particolare, avrebbe fatto chiaro richiamo alla situazione di pericolo, alla necessità di un'azione difensiva a fronte di una situazione di aggressione, e alla ratio propria della scriminante della legittima difesa, ossia del bilanciamento degli interessi protetti in conflitto. Erra quindi il Giudice d'appello quando esclude la scriminante dello stato di necessità, dovendosi ricorrere alla più confacente scriminante della legittima difesa, posta a tutela di qualunque diritto e per la salvaguardia di qualunque bene giuridico, e non solo della vita e incolumità personale. 2.2. Con un terzo motivo il ricorrente deduce l'erronea qualificazione del fatto ai sensi dell' articolo 544 bis c.p. , anziché ai sensi dell' articolo 638 c.p. , comma 1, e l'erronea interpretazione della locuzione senza necessità contenuta in entrambe le norme. Il giudice d'appello ha infatti ritenuto la condotta dell'imputato come non necessitata ai sensi dell' articolo 54 c.p. , mentre essa in entrambe le fattispecie incriminatrici costituisce un elemento negativo della condotta che, peraltro, ha un ambito applicativo più ampio rispetto la causa di giustificazione, non necessariamente delimitato alla necessità di evitare un pericolo di vita, ma comprensivo anche di qualunque bene. 3. Con requisitoria scritta il Sostituto Procuratore presso questa Corte, Dott. P. M., ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso. 4. Con memoria ex articolo 611 c.p.p. , le parti civili hanno concluso per l'inammissibilità o il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Il giudice di appello ha provveduto correttamente alla previa riqualificazione giuridica del fatto contestato all'imputato ai sensi della fattispecie di cui all' articolo 544 bis c.p. , essendo questa norma posta a tutela del sentimento di affezione che nutre l'uomo nei confronti degli animali, mentre l' articolo 638 c.p. , che prevede una clausola di sussidiarietà espressa se il fatto costituisce più grave reato, svolge una funzione residuale e speciale. Il caso di specie concerne due cani, sfuggiti al controllo dei proprietari che li hanno a lungo cercati, allertando anche il Sindaco e la Polizia Municipale. Altro profilo attiene al requisito della assenza di necessità che ricorre peraltro in entrambe le fattispecie incriminatrici. In proposito, si ricorda che la giurisprudenza, lungi dall'interpretare la locuzione come perfettamente sovrapponibile allo stato di necessità di cui all' articolo 54 c.p. , ha tuttavia affermato che esso ricorre qualora sussista una situazione di attuale ed imminente pericolo alla incolumità personale che non sia altrimenti evitabile, come requisito rafforzativo della situazione di costrizione in cui si trova l'agente Cass., Sez. 3, numero 49672 del 26/04/2018 , Rv. 274075 - 01 . In tal senso si è anche recentemente ribadito che in tema di delitti contro il sentimento per gli animali, la nozione di necessità che esclude la configurabilità del reato di uccisione di animali di cui all' articolo 544-bis c.p. comprende non soltanto lo stato di necessità previsto dall' articolo 54 c.p. , ma anche ogni altra situazione che induca all'uccisione dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona propria o altrui o ai propri beni, quando tale danno l'agente ritenga altrimenti inevitabile Cass. Sez. 5, numero 8449 del 04/02/2020 Rv. 278660 - 02 . Pertanto, deve ritenersi che nella fattispecie richiamata la necessità , da interpretare nel senso di inevitabilità del danno o del pericolo, sia elemento costitutivo del fatto tipico o causa di esclusione della tipicità , e non causa di giustificazione. Ne segue che la valutazione non deve essere effettuata alla stregua dei criteri richiesti per lo stato di necessità o la legittima difesa quali cause di giustificazione, venendo in rilievo la condotta alternativa che l'agente avrebbe potuto tenere. Tuttavia, proprio questo requisito della inevitabilità del danno o del pericolo è carente nei fatti imputati al ricorrente, laddove il giudice d'appello ha evidenziato che il ricorrente si era rifugiato all'interno della sua abitazione, considerazione che esclude in radice una situazione di attuale e imminente pericolo alla incolumità personale laddove specifica, a pagina 7 della sentenza impugnata che Se l'imputato avesse agito come dal medesimo sostenuto dietro la supposta convinzione di temere un assalto da parte di due lupi, non si comprende per quale motivo non abbia chiamato i Carabinieri o il personale della Forestale, nè è possibile conciliare la prpspettazione con la decisione di gettare le carcasse sul greto del torrente . Quindi, anche con riferimento alle esigenze di tutela della libertà di movimento all'interno delle aree di propria proprietà, rileva la condotta alternativa che ben avrebbe potuto tenere l'imputato che, anche nella sua qualità di veterinario, avrebbe potuto segnalare la situazione alle autorità, peraltro già a conoscenza dello smarrimento dei due animali in quanto tempestivamente allertate dai proprietari. Elementi questi che hanno consentito di ritenere che l'uccisione dei due animali sia avvenuta senza alcuna necessità, potendosi prospettare azioni alternative meno gravose a tutela dell'interesse alla libera circolazione. Nel caso di specie il giudice d'appello ha ritenuto vi fosse il requisito della assenza di necessità , quale elemento costitutivo necessario ai fini della integrazione della fattispecie incriminatrice, a prescindere dalla configurazione di una scriminante. Nè il giudice di primo grado ha espressamente qualificato nel dispositivo l'esimente per la quale vi era dubbio, facendo chiaro riferimento alla scriminante della legittima difesa - di cui i ricorrenti invocano l'applicazione - e non a quella dello stato di necessità. Il Giudice di Pace aveva invece fatto richiamo alla situazione di pericolo, e alla ratio del bilanciamento degli interessi protetti in conflitto alla stregua del principio di proporzionalità, comune sia alla scriminante della legittima difesa che a quella dello stato di necessità. Ne segue quindi che l'invocata scriminante della legittima difesa non ha trovato mai applicazione. Il Giudice d'appello ha seguito una propria linea argomentativa coerente, confutato le argomentazioni della motivazione della pronuncia di primo grado in ordine al dubbi sulla configurazione della scriminante, e scardinato l'impianto motivazionale della pronuncia, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato. Infatti, il giudice d'appello che riformi la sentenza di primo grado, sostituendo alla pronuncia di assoluzione quella di condanna dell'imputato, è tenuto a dimostrare in modo rigoroso l'incompletezza o l'incoerenza della prima Cass. Sez. U., 12/07/2005 , dimostrando puntualmente l'insostenibilità, sul piano logico e giuridico, delle linee fondanti dell'impianto argomentativo della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi provenienti dalle parti, approdando così ad una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati Sez. U., numero 45276/03, Andreotti Cass. Sez.6, numero 6221/06, Rv. 233083, Aglieri . 2. Il ricorso va dunque rigettato, poiché basato su motivi infondati, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. PQM Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.