Accolta la richiesta del compratore il contratto è risolto e lui ha diritto ad ottenere il pagamento di una penale. Palese la mancanza di buonafede nella condotta tenuta dai venditori.
Contratto preliminare risolto e venditori condannati a versare una penale al compratore se essi non si sono attivati per tempo per ottenere la sdemanializzazione della grotta annessa al locale uso garage oggetto principale dell'accordo di compravendita. A dare il “la” alla vicenda giudiziaria è la domanda proposta in Tribunale dal promissario acquirente di un locale ad uso garage con annessa grotta nei confronti dei promittenti venditori. Nello specifico, egli chiede di «dichiararsi la risoluzione del contratto preliminare stipulato inter partes nell'ottobre del 1990 per inadempimento dei venditori e la loro condanna al pagamento del doppio della caparra da lui versata, l'acconto corrisposto e la penale, oltre al risarcimento dei danni». Il promissario acquirente precisa che «il contratto preliminare aveva ad oggetto un locale garage ed una grotta» e che «i promittenti venditori si erano impegnati a trasferire i beni, previa sdemanializzazione della grotta, entro due anni dalla data di conclusione del preliminare», cioè entro l'agosto del 1992. Ma «tre giorni prima della scadenza» egli «convocò i promittenti venditori innanzi al notaio ma non fu possibile stipulare il contratto definitivo perché essi non produssero la documentazione necessaria per il trasferimento dei beni ». Per i giudici di merito è palese la condotta irregolare tenuta dai promittenti venditori. Di conseguenza, in Tribunale viene dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento dei promittenti venditori. Identica posizione assumono anche i giudici d'Appello, i quali precisano però che «i promittenti venditori non sono tenuti al pagamento del doppio della caparra in quanto era già prevista in contratto una penale in caso di inadempimento, avente la medesime funzione della caparra e con essa non cumulabile». In Appello viene sottolineato che «i promittenti venditori non avevano provato di aver effettuato una serie di attività, come il pagamento delle spese per la sdemanializzazione e l'accatastamento, necessarie per il trasferimento della proprietà al promissario acquirente». Irrilevante, invece, il fatto che «i promittenti venditori fossero stati invitati a presentarsi innanzi al notaio tre giorni prima della scadenza per la stipula del contratto definitivo». Ciò che conta, invece, è che «i promittenti venditori nulla dissero, innanzi al notaio, in ordine allo stato della pratica ed alle attività da loro svolte» mentre, invece, è pacifico che «alla data di scadenza fissata nel preliminare essi non avevano adempiuto alle obbligazioni richieste per far acquistare la proprietà altrui». Inutile il ricorso proposto in Cassazione dai promittenti venditori e mirato a ridimensionare le inadempienze loro attribuite. In premessa, i magistrati, richiamando quanto osservato in Appello, sottolineano che è legittimo «qualificare l'accordo intercorso tra le parti come preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui in quanto solo una parte del bene – la grotta – era di proprietà del Comune». Da questo dato è fondamentale partire, poiché «al contratto preliminare di compravendita di cosa parzialmente altrui si applica la disciplina» secondo cui «il promittente venditore resta obbligato, oltre che alla stipula del contratto definitivo per la parte di bene di sua spettanza, a procurare il trasferimento al promissario acquirente anche della parte rimanente, o acquistandola e ritrasferendola al promissario acquirente, oppure facendo in modo che il comproprietario addivenga alla stipulazione definitiva». E «il preliminare di vendita di cosa altrui rimane assoggettato all'ordinario regime risolutorio per il caso di inadempimento della obbligazione assunta dal promittente venditore di fare acquistare al promissario acquirente la proprietà del bene». In questo quadro si inserisce il principio secondo cui «è precluso al promissario acquirente agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la stipula del definitivo, poiché fino a quel momento il promittente venditore potrà adempiere l'obbligazione di far acquistare il bere, e ciò indipendentemente dalla soluzione che si intenda dare al problema delle modalità con cui tale adempimento deve avvenire, ovvero acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest'ultimo a trasferirgliela». Tornando al contenzioso riguardante garage e annessa grotta, i Giudici sottolineano che, come accertato in Appello, «i promittenti venditori non hanno provato di aver svolto le attività necessarie per la sdemanializzazione della grotta, di proprietà del Comune, attività consistenti nel pagamento delle spese per la sdemanializzazione e di tutto quanto occorrente per l'accatastamento, prescrizioni indicate nel provvedimento del Commissario Regionale che disponeva la vendita della grotta ». Difatti, «i promittenti venditori non produssero, innanzi al notaio, la documentazione necessaria per il trasferimento, né provarono di aver svolto tempestivamente le attività necessarie per il completamento della procedura di vendita, nonostante fosse stato fissato il termine di due anni per la stipula del contratto definitivo». Tale condotta è catalogabile come «grave inadempimento dell'obbligo di trasferimento della proprietà del terzo» e «legittima la risoluzione del contratto», chiariscono i magistrati. E «a nulla rileva la circostanza che l'invito innanzi al notaio fosse avvenuto tre giorni prima della data prevista per la stipula del contratto definitivo, in quanto, nell'occasione, i promittenti venditori non indicarono quale fosse lo stato della pratica e l'attività da essi svolta per fare acquistare al compratore la proprietà». A inchiodare i promittenti venditori è la constatazione che «alla data di scadenza per la conclusione del contratto definitivo essi non avevano ancora adempiuto alle obbligazioni assunte con il contratto preliminare . Da respingere, invece, l'ipotesi della «impossibilità per i promittenti venditori di adempiere il contratto dopo che era stata esercitata l'azione di risoluzione». Ciò perché «il promissario acquirente, dopo la scadenza del contratto, nel settembre del 1992, si era limitato a comunicare ai promittenti venditori la propria volontà di risolvere il contratto» e quindi «il suo disinteresse a una prestazione parziale» ossia l'acquisto del solo garage. Per chiudere il cerchio, infine, i Giudici sottolineano «la gravità dell'inadempimento» compiuto dai promittenti venditori, soprattutto tenendo conto della «loro reiterata inerzia rispetto all'obbligo di acquistare la proprietà della grotta». Inoltre, «ai fini della violazione dell'obbligo di dare esecuzione al contratto e di comportarsi secondo buonafede» va attribuito rilievo alla circostanza che «i promittenti venditori, pur avendo incassato oltre la metà del prezzo di vendita, non avevano posto in essere alcuna attività propedeutica al trasferimento del bene» che, peraltro, «donarono a terzi nel corso del giudizio».
Presidente D'Ascola – Relatore Giannaccari Fatti di causa Il giudizio trae origine dalla domanda proposta innanzi al Tribunale di Caltagirone da C.G. , promissario acquirente di un locale ad uso garage con annessa grotta, nei confronti di G.A. e S.A. , con la quale chiese dichiararsi la risoluzione del contratto preliminare stipulato inter partes in data 30.10.1990 per inadempimento dei convenuti e la condanna al pagamento del doppio della caparra versata, l'acconto corrisposto e la penale, oltre al risarcimento dei danni. L'attore espose che il contratto preliminare aveva ad oggetto un locale garage ed una grotta, che i promittenti venditori si erano impegnati a trasferire, previa sdemanializzazione della grotta, entro due anni dalla data di conclusione del preliminare, ovvero in data 31.8.1992. Tre giorni prima della scadenza, in data 28.8.1992, l'attore convocò i promittenti venditori innanzi al notaio ma non fu possibile stipulare il contratto definitivo perché questi ultimi omisero di produrre la documentazione necessaria per il trasferimento. G.A. e S.A. si costituirono in giudizio e, in via riconvenzionale, chiesero dichiararsi l'inadempimento dell'attore e la condanna al pagamento della penale. Il Tribunale di Caltagirone dichiarò la risoluzione del contratto per inadempimento dei promittenti venditori. La Corte d'appello di Catania, con sentenza del 21.10.2016, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ritenne che i promittenti venditori non erano tenuti al pagamento del doppio della caparra in quanto era già prevista in contratto una penale in caso di inadempimento, avente la medesima funzione della caparra e con essa non cumulabile confermò, per il resto, le statuizioni del primo giudice. La Corte distrettuale accertò che i promittenti venditori non avevano provato di aver effettuato una serie di attività, come il pagamento delle spese per la sdemanializzazione e l'accatastamento, necessarie per il trasferimento della proprietà al promissario acquirente, a nulla rilevando che i convenuti fossero stati invitati a presentarsi innanzi al notaio tre giorni prima della scadenza per la stipula del contratto definitive. La Corte osservò che, innanzi al notaio, i promittenti venditori nulla dissero in ordine allo stato della pratica ed alle attività dai medesimi svolte mentre, incece, era pacifico che alla data di scadenza fissata nel preliminare essi non avessero adempiuto alle obbligazioni richieste per far acquistare la proprietà altrui. Per la cassazione della sentenza d'appello hanno proposto ricorso G.A. e S.A. sulla base di quattro motivi ed hanno depositato memoria illustrativa in prossimità dell'udienza. Ha resistito con controricorso C.G. . Ragioni della decisione Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 1453, 1455 e 1464 c.c. , in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, per avere la Corte di merito dichiarato la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dei promittenti venditori nonostante essi fossero stati convocati innanzi al notaio, per la stipula del contatto definitive, tre giorni prima della scadenza prevista nel preliminare, quando avevano ancora la possibilità di adempiere. Inoltre, non sarebbe stata verificata la gravità dell'inadempimento in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine ed al permanere dell'interesse clella parte all'esatto tempestivo adempimento. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 1256, 1258 e 1464 c.c. , in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, in quanto, dopo la proposizione della domanda di risoluzione per inadempimento, i promittenti acquirenti non avrebbero potuto adempiere alla propria obbligazione. Trattandosi di inadempimento parziale, che aveva ad oggetto la sola grotta della superficie di soli otto metri quadri, il promissario acquirente avrebbe potute chiedere la riduzione del prezzo. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 1479 e 1480 c.c. , in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, in quanto il promissario acquirente non avrebbe potuto agire per la risoluzione del contratto prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo ben potendo il promittente venditore, fino a tale momento, adempiere all'obbligazione di fargli acquistare la proprietà. Trattandosi di cosa parzialmente altrui la corte avrebbe dovuto verificare se l'acquirente avrebbe acquistato il garage anche senza la grotta. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3., perché la Corte avrebbe considerato, ai fini dell'inadempimento che la variazione catastale intervenne nel 1998, dopo sei anni dalla scadenza del termine, senza tener conto che dalla domanda di risoluzione per inadempimento, in data 18.9.1992, i promittenti venditori non potevano più adempiere alla proprio obbligazione. I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati. La Corte distrettuale ha qualificato l'accordo intercorso tra le parti come preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui in quanto solo una parte del bene, la grotta, era di proprietà del Comune di Mineo. Al contratto preliminare di compravendita di cosa parzialmente altrui si applica la disciplina prevista dagli articolo 1478 e 1480 c.c. , con la conseguenza che il promittente venditore resta obbligato, oltre che alla stipula del contratto definitivo per la parte di bene di sua spettanza, a procurare il trasferimento al promissario acquirente anche della parte rimanente, o acquistandola e ritrasferendola al promissario acquirente, oppure facendo in modo che il comproprietario addivenga alla stipulazione definitiva Cassazione civile sez. unumero , 18/05/2006, numero 11624 Cassazione civile sez. II, 29/12/2010, numero 26367 . È altresì pacifico che siffatto tipo di preliminare non è suscettibile di esecuzione in forma specifica almeno fino al momento in cui il promittente venditore non abbia egli stesso acquistato la proprietà della cosa che si è obbligato a trasferire poiché da quell momento viene meno il fatto ossia l'altruità della res ostativo alla sentenza traslativa con effetto immediate Cassazione civile sez. II 27/04/2016, numero 8417 Cassazione 5137/81 51/96 . In ogni caso, il preliminare di vendita di cosa altrui rimane assoggettato all'ordinario regime risolutorio per il caso di inadempimento della obbligazione assunta dal promittente venditore di fare acquistare al promissario acquirente la proprietà del bene Cassazione civile sez. IL 04/09/2017, numero 20701 . È coerente con tale ricostruzione sistematica l'affermazione del principio, affermato da costante giurisprudenza, secondo cui è precluso al promissario acquirente agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la stipula del definitivo, poiché fino a quel momento il promittente venditore potrà adempiere l'obbligazione di far acquistare il bene, e ciò indipendentemente dalla soluzione che si intenda dare al problema delle modalità con cui tale adempimento deve avvenire, ovvero acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest'ultimo a trasferirgliela. Cassazione civile sez. II, 02/03/2015, numero 4164 Cass. 21179/04 Cass.15035/01 Cass. 13330/00 . A tali principi si è uniformata la sentenza impugnata. La Corte di merito ha accertato che i promittenti venditori non avevano provato di aver svolto le attività necessarie per la sdemanializzazione della grotta annessa al locale garage, di proprietà del Comune di Mineo, consistenti nel pagamento delle spese per la sdemanializzazione e di tutto quanto occorrente per l'accatastamento, prescrizioni indicate nel provvedimento del Commissario Regionale, che disponeva la vendita della grotta. Innanzi al notaio, i promittenti venditori non produssero la documentazione necessaria per il trasferimento, nè provarono di aver svolto tempestivamente le attività necessarie per il completamento della procedura di vendita, nonostante fosse stato fissato il termine di due anni per la stipula del contratto definitivo. Tale comportamento integrava, secondo l'apprezzamento della Corte di merito, un grave inadempimento dell'obbligo di trasferimento della proprietà del terzo sì da legittimare la risoluzione del contratto. A nulla rileva la circostanza che l'invito innanzi al notaio fosse avvenuto tre giorni prima della data prevista per la stipula del contratto definitivo in quanto, nell'occasione, i promittenti venditori non indicarono quale fosse lo stato della pratica e l'attività da essi svolta svolta per fare acquistare all'attore la proprietà, sicché il mancato trasferimento era dovuto a fatto a loro non imputabile La Corte di merito ha accertato e l'affermazione non è attinta da censura che, alla data di scadenza per la conclusione del contratto definitivo, i promittenti venditori non avevano ancora adempiuto alle obbligazioni assunte con il contratto preliminare. Non sussiste, pertanto, la prospettata violazione dell' articolo 1453 c.c. , in relazione all'impossibilità per i promittenti venditori di adempiere il contratto dopo che era stata esercitata l'azione di risoluzione. Non solo non è stato dedotto dai convenuti l'adempimento tardivo, ma, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è preclusa la possibilità di chiedere l'adempimento del contratto solo ove la sua risoluzione sia stata richiesta in via giudiziale e non anche ove la stessa sia stata domandata in via stragiudiziale Cassazione civile sez. II, 07/02/1979, numero 837 . Nel caso di specie, il promissario acquirente, dopo la scadenza del contratto, in data 8.9.1992, si era limitato a comunicare ai promittenti venditori la propria volontà di risolvere il contratto. Nell'apprezzare la gravità dell'inadempimento, rimessa al giudice di merito sulla base di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, dalle quali sia possibile desumere l'alterazione dell'equilibrio contrattuale ex multis Cassazione civile sez. VI, 24/03/2021, numero 8220 , la Corte distrettuale ha tenuto conto della reiterata inerzia dei promittenti venditori rispetto all'obbligo di acquistare la proprietà del terzo, sfociata nell'inconsistente difesa, contenuta nell'atto di citazione circa l'appartenenza del suolo a privati e non al Comune, contraddetta dalla dichiarazione contenuta nell'atto d'appello da cui risultava che la data di delibera della sdemanializzazione era antecedente alla data di conclusione del contratto, circostanza che provava la proprietà comunale pag.4-5 della sentenza d'appello . Ai fini della violazione dell'obbligo di dare esecuzione al contratto e di comportarsi secondo buona fede, è stato attribuito rilievo alla circostanza che i promittenti venditori, pur avendo incassato oltre la metà del prezzo di vendita, non avessero posto in essere alcuna attività propedeutica al trasferimento del bene, che donarono a terzi nel corso del giudizio. L'azione di risoluzione costituiva, sussistendone i presupposti, la manifestazione di disinteresse del creditore ad una prestazione parziale. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.