Protezione in Italia per il cittadino ucraino renitente alla leva

L’uomo è scappato dall’Ucraina nel 2015 ed è stato poi raggiunto in Italia dalla moglie e dal figlio. In appello è stata respinta la richiesta di protezione presentata da lui e dalla consorte. A cambiare le carte in tavolo è il conflitto che attualmente sta devastando l’Ucraina.

Protezione in Italia per moglie e marito scappati nel 2015 dall’Ucraina. Decisivo, inevitabilmente, il riferimento all’attuale conflitto che coinvolge drammaticamente il Paese a seguito dell’invasione messa in atto dalla Russia. È la strettissima – e triste – attualità a fornire una differente chiave di lettura per la storia di una coppia originaria dell’Ucraina. In appello la richiesta di protezione presentata da moglie e marito viene respinta. I giudici sottolineano che «i coniugi si sono allontanati dall’ Ucraina giungendo in Italia nel corso dell’anno 2015 dapprima è partito il marito, per sottrarsi al servizio di leva in seguito è stato raggiunto dal figlio e dalla moglie che ha madre e fratello residenti in Italia ». Per i giudici è impossibile riconoscere all’uomo lo status di rifugiato, poiché «lo svolgimento del servizio militare obbligatorio non può essere considerato un atto persecutorio dello Stato nei riguardi del cittadino, attesa la finalità di tutela degli interessi nazionali collegata allo svolgimento del servizio militare e che l’entità della pena prevista nello Stato ucraino per l’ipotesi di renitenza alla leva reclusione fino a tre o anni o sanzione pecuniaria non appare sproporzionata». Inoltre, viene anche sottolineato che «l’uomo non ha mai fatto alcun cenno alla situazione generale del suo Paese quale fonte di effettivo pericolo per la sua incolumità in caso di rimpatrio, né ha allegato di essere colpito da condanna a morte o di rischiare la pena capitale, né ha offerto elementi tali da far presumere che, ove rientrato in patria, potesse essere sottoposto a tortura o a trattamenti disumani e degradanti». E per chiudere il cerchio viene anche ritenuta non provata «una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato, in assenza di controllo dell’autorità, posto che il conflitto» a cui ha fatto riferimento l’uomo «risultava limitato alle zone di Donetsk e Donbass » mentre «moglie e marito provengono da località distanti almeno 700 chilometri da tali luoghi». Impossibile, infine, riconoscere la protezione umanitaria, poiché, spiegano i giudici, «moglie e marito avevano programmato l’arrivo in Italia, poi legittimamente raggiunta attraverso un consolato europeo». Nel contesto della Cassazione, però, i Giudici correggono la rotta tracciata in appello e pongono in evidenza la necessità, per quanto concerne la posizione dell’uomo, di valutare con attenzione «le ragioni connesse all’ obiezione di coscienza , dichiarate alla base dell’allontanamento dal Paese di origine». In questa ottica «deve essere riconosciuto lo status di rifugiato politico all’obiettore di coscienza che rifiuti di prestare il servizio militare nello Stato di origine, ove l’arruolamento comporti il rischio di un coinvolgimento , anche indiretto, in un conflitto caratterizzato anche solo dall’alto rischio di commissione di crimini di guerra e contro l’umanità», costituendo, perciò, «la sanzione penale prevista dall’ordinamento straniero per detto rifiuto» un vero e proprio «atto di persecuzione». Di conseguenza, per valutare la posizione dell’uomo non si può ora, spiegano i Giudici, ignorare «l’esistenza di un conflitto armato internazionale che interessa l’intero territorio ucraino» e che porta con sé «un elevato rischio di commissione di crimini di guerra e contro l’umanità». Proprio alla luce di questo contesto, quindi, «la previsione di una sanzione penale per l’ipotesi di renitenza alla leva si configura, a prescindere da qualsiasi considerazione circa la proporzionalità della pena prevista in Ucraina, un atto di persecuzione» che legittima perciò «il riconoscimento della protezione per lo straniero» in Italia. E anche per quanto concerne la donna, aggiungono i Giudici, il conflitto in Ucraina, poiché caratterizzato da «un diffuso coinvolgimento di civili » e alla base di «fenomeni di sfollamento di grandi dimensioni », giustifica «il diretto riconoscimento della protezione» in Italia.

Presidente Tria – Relatore Pagetta Rilevato che 1. la Corte d'appello di Venezia ha confermato il rigetto della domanda di protezione internazionale e umanitaria presentata da S.M. e S.Y., cittadini dell'Ucraina, coniugati fra loro 2. dal provvedimento impugnato emerge che i coniugi S. si erano allontanati dall'Ucraina giungendo in Italia nel corso dell'anno 2015 dapprima era partito il marito, M., per sottrarsi al servizio di leva in seguito era stato raggiunto dal figlio e dalla moglie, la cui madre ed il cui fratello erano residenti in Italia 3. la Corte di merito ha escluso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato osservando che lo svolgimento del servizio militare obbligatorio non può essere considerato un atto persecutorio dello Stato nei riguardi del cittadino, attesa la finalità di tutela degli interessi nazionali collegata allo svolgimento del servizio militare e che l'entità della pena prevista nello stato ucraino per l'ipotesi di renitenza alla leva reclusione fino a tre o anni o sanzione pecuniaria non appariva sproporzionata ha inoltre evidenziato che, pur non avendo il Tribunale posto in dubbio la credibilità della narrazione, il richiedente, nato nel 1986, aveva ricevuto la chiamata alla leva nel 2015, quando aveva già ventinove anni mentre il servizio militare obbligatorio era stato reintrodotto in Ucraina nell'anno 2014 per i giovani fino a ventisette anni ha quindi escluso i presupposti per la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 14, lett. a e b , non avendo il richiedente nelle audizioni mai fatto alcun cenno alla situazione generale del suo paese quale fonte di effettivo pericolo per la sua incolumità in caso di rimpatrio, nè allegato di essere colpito da condanna a morte o di rischiare la pena capitale, nè offerto elementi tali da far presumere che, ove rientrato in patria, lo stesso potesse essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti ha ritenuto insussistente una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato, in assenza di controllo dell'autorità, posto che il conflitto risultava limitato alle zone di Donetsk, Kahansk e Donbass laddove i coniugi S. provenivano da località distanti circa 700/800 km da tali luoghi non sussistevano, infine, i presupposti per la protezione umanitaria configurandosi quale ostacolo insuperabile al relativo riconoscimento la circostanza che entrambi gli appellanti avevano programmato l'arrivo in Italia legittimamente raggiunta attraverso un consolato Europeo 4. per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso i ricorrenti sulla base di cinque motivi il Ministero dell'Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all'udienza di discussione ai sensi dell' articolo 370 c.p.c. , comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva. Considerato che 5. con il primo motivo di ricorso si deduce omesso esame di un fatto controverso e decisivo oggetto di discussione fra le parti 6. con il secondo motivo si deduce violazione ed errata applicazione del D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 7, 10 e 14 7. con il terzo motivo si deduce apparenza e nullità di motivazione con riguardo alla domanda di protezione internazionale D.Lgs. numero 251 del 2007 ex articolo 7, 10 e 14 8. i motivi, illustrati congiuntamente, censurano la sentenza impugnata per avere negato, pur a fronte di un obbligo penalmente sanzionato, il cui assolvimento implicava la partecipazione ad un conflitto armato nell'ambito del quale si erano consumate gravissime violazione dei diritti umani, il diritto allo status di rifugiato, escludendo il profilo della persecuzione in relazione al legittimo esercizio del diritto all'obiezione di coscienza 9. con il quarto motivo di ricorso si censura il mancato accoglimento della domanda di protezione umanitaria con riguardo al profilo di vulnerabilità connesso all'esercizio dell'obiezione di coscienza 10. con il quinto motivo si deduce apparenza di motivazione in relazione alle ragioni del rigetto della domanda di protezione umanitaria, fondate sul fatto entrambi gli appellanti avevano programmato l'arrivo in Italia raggiunta attraverso un consolato Europeo 11. il ricorso è fondato nei termini di cui in prosieguo, dovendosi considerare separatamente, al fine della graduazione della protezione internazionale, la posizione di S.M. rispetto a quella della moglie, S.Y. 12. quanto al S.M. occorre premettere che la sentenza impugnata ha dato atto espressamente che il giudice di prime cure non aveva posto in dubbio la credibilità della narrazione e tale valutazione, espressa in termini globali in relazione all'intero racconto del richiedente, si riflette anche sulla necessità di specifica considerazione delle ragioni connesse all'obiezione di coscienza, dichiarate alla base dell'allontanamento dal Paese di origine 12.1. al riguardo la giurisprudenza della S.C. ha chiarito che in tema di protezione internazionale, deve essere riconosciuto lo status di rifugiato politico all'obiettore di coscienza che rifiuti di prestare il servizio militare nello Stato di origine, ove l'arruolamento comporti il rischio di un coinvolgimento, anche indiretto, in un conflitto caratterizzato anche solo dall'alto rischio di commissione di crimini di guerra e contro l'umanità, costituendo la sanzione penale prevista dall'ordinamento straniero per detto rifiuto atto di persecuzione ai sensi del D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 7, comma 2, lett. e , e dell'articolo 9, par. 2, lett. e , della direttiva numero 2004/83/CE come interpretato da C.G.U.E., 26 febbraio 2015, causa C-472/13, Shepherd contro Germania , che estende la tutela anche al personale militare logistico e di sostegno Cass. numero 13461/2021 , Cass. numero 102/2021 , Cass. numero 30031/2019 12.2. in applicazione dei principi richiamati, nella verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, ritiene il Collegio che la relativa valutazione non possa prescindere dalla considerazione della attuale, notoria, esistenza di un conflitto armato internazionale, che interessa l'intero territorio ucraino, in relazione al quale deve ritenersi altrettanto notoria e comunque plausibile la connotazione di tale conflitto in termini di elevato rischio di commissione di crimini di guerra e contro l'umanità 12.3. in tale contesto, la previsione di una sanzione penale per l'ipotesi di renitenza alla leva si configura, a prescindere da qualsiasi considerazione circa la proporzionalità della pena v. sul punto Cass. numero 102/2021 , un atto di persecuzione ai sensi del D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 7, comma 2, lett. e , e dell'articolo 9, par. 2, lett. e , della direttiva numero 2004/83/CE, in quanto tale giustificativo del riconoscimento della protezione maggiore status di rifugiato 13. quanto alla posizione di S.Y., l'attuale conflitto armato internazionale, che interessa l'intero territorio ucraino, con diffuso coinvolgimento di civili ed alla base di fenomeni di sfollamento di grandi dimensioni, giustifica il diretto riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. numero 251 del 2007, articolo 14, lett. c 14. per le suindicate ragioni, la sentenza impugnata deve essere cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito nei termini indicati in dispositivo 15. è confermato il regolamento delle spese di lite del giudizio di merito in considerazione del verificarsi solo nel corso del giudizio di legittimità dei presupposti alla base del riconoscimento della protezione in favore di entrambi i ricorrenti 16. le spese del presente grado sono liquidate secondo soccombenza. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie la domanda di S.M. volta ad ottenere lo status di rifugiato nonché quella di S.Y. volta ad ottenere la protezione sussidiaria. Conferma le spese dei due gradi di merito condannando il Ministero dell'Interno alla rifusione delle spese del grado di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie al 15% e accessori di legge.