Confermata in via definitiva la condanna all’ergastolo. Palese la gravità dell’azione violenta compiuta dall’uomo ai danni della compagna. Respinta la tesi difensiva mirata a ridimensionare i fatti alla luce della incapacità dell’uomo di affrontare la rottura della relazione.
Sacrosanto l’ergastolo per l’uomo che, preda della gelosia, ha ucciso in modo bestiale la compagna, massacrandola a colpi di mattarello. Impossibile, checché ne dica la difesa, ridimensionare la gravità del drammatico episodio richiamando l’incapacità dell’uomo di gestire la fine del rapporto con la donna e la sua tendenza a vedere quella rottura come l’ennesimo fallimento nella propria vita. Ricostruito nei terribili dettagli l’ omicidio , non viene minimamente messa in discussione la colpevolezza dell’uomo, il quale, come certificato sia in primo che in secondo grado, ha ucciso la compagna – che era intenzionata a troncare la relazione – colpendola ripetutamente alla testa con un mattarello. Consequenziale la condanna all’ ergastolo , poiché all’uomo viene addebitato «un delitto di omicidio aggravato dalla relazione affettiva e sentimentale» con la donna da lui brutalmente aggredita e uccisa. A inchiodare l’uomo, poi, anche la constatazione che l’azione violenta è stata sì «frutto di gelosia» nei confronti della donna ma è stata comunque «preordinata ed eseguita cogliendo di sorpresa la donna, crollata a terra dopo il primo colpo inferto con il mattarello e ripetutamente colpita anche a terra, fino a provocare uno sfacelo cranico». Nel contesto della Cassazione il difensore dell’uomo sottolinea che «movente dell’omicidio è stata la gelosia nei confronti della donna» e ritiene possibile una pena meno severa rispetto all’ergastolo, una volta preso atto della « incapacità dell’uomo di affrontare la rottura della relazione , rottura che per lui costituiva un ennesimo fallimento nella sua vita». Secondo il legale, quindi, non si può ignorare che «l’omicidio è stato conseguenza di uno scatto di gelosia, frutto di un equilibrio psicologico destabilizzato e della perdita di ogni razionalità». Il richiamo difensivo allo «stato emotivo fragile e complesso» dell’uomo non basta, però, ribattono i Giudici della Cassazione, per mettere in discussione l’ergastolo deciso in appello. Innanzitutto, perché sono palesi «la gravità del fatto, l’intensità del dolo e il comportamento tenuto dall’uomo». E in questa ottica, in particolare, è impensabile, chiariscono i magistrati, valutare la gelosia dell’uomo, intesa come « stato emotivo e passionale », in senso a lui favorevole. Al contrario, «la gelosia integri l’ aggravante dei motivi futili », a maggior ragione, poi, a fronte di un omicidio così violento, concludono i Giudici.
Presidente Mogini – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di Bologna confermava quella della Corte di Assise di Ferrara che aveva condannato C.S. alla pena dell'ergastolo per il delitto di omicidio, aggravato dalla relazione affettiva e sentimentale, di F.C., uccisa con ripetuti e violenti colpi al capo con un mattarello di cucina. Non è in discussione la responsabilità dell'imputato. La Corte territoriale, rigettando il motivo di appello che invocava l'applicazione della attenuante della provocazione, aveva ricostruito il delitto come frutto di gelosia nei confronti della vittima, preordinato ed eseguito cogliendo di sorpresa la F., crollata a terra dopo il primo colpo inferto con il mattarello e ripetutamente colpita anche a terra, fino a provocare uno sfacelo cranico. Per di più, la donna era stata lasciata a terra in un lago di sangue e agonizzante e l'imputato le aveva messo in bocca un fazzoletto, rendendole difficile la respirazione. Erano stati gli operatori del 118 a togliere il fazzoletto dalla bocca della vittima, che era ancora viva al momento del loro intervento. Sulla base di quanto rinvenuto sul posto dagli inquirenti, era emerso che C. aveva iniziato ad operare per occultare il cadavere erano stati rinvenuti guanti e sacchi e l'imputato si era cambiato d'abito , salvo rendersi conto che la pattuglia dei Carabinieri che si trovava all'esterno del locale in cui era avvenuta l'aggressione lo avrebbe visto l'imputato, allora, aveva preparato la versione di un delitto frutto della reazione ad un'aggressione da parte della giovane ma tale versione era stata smentita dagli esiti della autopsia, che aveva dimostrato che il primo colpo alla testa era stato inferto a sorpresa, senza alcuna difesa da parte della F. . La Corte territoriale rigettava il motivo di appello con cui la difesa dell'imputato aveva chiesto la concessione delle attenuanti generiche, sottolineando il dolo intenso dimostrato dalla violenza e dal numero dei colpi, dimostrazione di una condotta tanto efferata quanto studiata , la preordinazione del delitto, l'intenzione dell'imputato di occultare il cadavere, il pregresso controllo operato sulla vita sentimentale della giovane, la spiegazione artefatta dei motivi dell'azione criminosa, la crudeltà dimostrata, la condotta successiva al delitto. Le dichiarazioni dell'imputato tendevano a ridimensionare la causale del delitto ma integravano una versione difensiva fallita sul punto dell'esistenza di un dolo d'impeto non vi era stata ampia e leale collaborazione e nemmeno resipiscenza da parte dell'imputato. La sanzione penale massima era ritenuta, quindi, coerente con la gravità dell'azione e con la capacità a delinquere dell'imputato. 2. Ricorre per cassazione il difensore di C.S., deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche. Tale diniego era basato su una ricostruzione del fatto dubbia, non supportata da prove certe nè da meri indizi ma da meri sospetti. Non vi era prova che l'omicidio fosse stato premeditato, nè era emersa una propensione di C. alla violenza o alla sopraffazione delle donne. L'imputato aveva fornito una spiegazione del suo comportamento post-factum, nè vi era prova di un tentativo di occultare il corpo o di inquinare le prove. C. si era consegnato spontaneamente ad una pattuglia dei Carabinieri che si trovava nelle vicinanze a regolare il traffico i militari non sapevano nemmeno che egli si trovasse all'interno del locale. La difesa ribadisce che l'imputato aveva sempre collaborato con gli inquirenti e aveva mostrato pentimento. Inoltre, poiché il movente dell'omicidio era la gelosia nei confronti della F., le attenuanti generiche avrebbero potuto essere concesse alla luce dell'incapacità dell'uomo di affrontare la fine del rapporto con la donna, che costituiva un ennesimo fallimento nella sua vita. L'omicidio era conseguenza di uno scatto di gelosia frutto di un equilibrio psicologico destabilizzato e della perdita di ogni razionalità uno stato emotivo fragile e complesso. Il diniego delle attenuanti generiche creava una disparità di trattamento, equiparando C. ad un crudele omicida che occulti il cadavere, occulti le prove, nasconda ogni indizio e tenti la fuga. 3. Il Sostituto Procuratore generale, omissis , nella requisitoria scritta, conclude per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. La Corte territoriale ha fornito ampia e logica motivazione del diniego delle attenuanti generiche, basandosi sugli elementi indicati dall' articolo 133 c.p. e analizzando la gravità del fatto, l'intensità del dolo, il comportamento dell'imputato durante e dopo l'omicidio e la condotta processuale. Il ricorrente non fa che proporre considerazioni in fatto, tentando di ricostruire quanto avvenuto in maniera difforme da ciò che risulta dalla sentenza, senza in alcun modo dimostrare la manifesta illogicità della motivazione o il travisamento di dati probatori. La considerazione difensiva, secondo cui la ricostruzione operata dalla Corte territoriale costituisce soltanto una tra quelle possibili, è generica la sentenza ricostruisce in dettaglio i fatti e fornisce adeguata spiegazione della adozione di quella specifica ricostruzione, cosicché la rappresentazione astratta di ricostruzioni alternative non integra un motivo ammissibile. La presentazione del motivo della gelosia in senso favorevole all'imputato come stato emotivo e passionale che, in qualche modo, può incidere sulla applicazione delle attenuanti generiche - contrasta con l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità che ritiene, al contrario, che la gelosia integri l'aggravante dei motivi futili Sez. 1, numero 49673 del 01/10/2019, P, Rv. 278082 . 2. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, emergendo profili di colpa nella presentazione del ricorso. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.