«Ai fini della ammissibilità del motivo proposto in sede di giudizio di legittimità, l'eccezione con cui si contesti la sussistenza dell'aggravante della recidiva, ancorché avuto riguardo alla carenza di motivazione circa le sue condizioni di configurabilità, siccome ricostruite dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, deve essere stata proposta con l'atto di appello».
Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità dell'imputato per i reati di lesioni e minaccia. In particolare, l'imputato lamenta l'inadeguata motivazione sulla recidiva qualificata, per non aver il giudice adempiuto, nel provvedimento impugnato, all'obbligo di giustificare con adeguata motivazione detta aggravante inoltre, il ricorrente deduce come la ragione di censura possa essere dedotta con ricorso per cassazione nonostante non fosse stata sollevata nei motivi d'appello, in virtù dei poteri valutativi del giudice di secondo grado mal esercitati. Il ricorso, tuttavia, è infondato. Da Palazzo Cavour, infatti, ricordano che, in tema di recidiva, «è compito del giudice verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia sintomo effettivo di maggior riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore» ex multis, Cass. penumero , numero 35738/2010 tale esigenza di verifica da parte del giudice, tuttavia, «non si riverbera in un obbligo motivazionale che investa il giudice dell'impugnazione, in assenza di eccezione del vizio da parte dell'interessato». A ciò si aggiunge il fatto che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione, anche quando l'omessa motivazione da parte della Corte di appello attenga alla recidiva ritenuta dal giudice di primo grado, non contestata con i motivi di appello Cass. penumero , numero 13826/2017 tale principio, sottolineano i Giudici, vale anche quando il ricorrente denunci l'incongrua e carente motivazione in ordine alla configurabilità della recidiva in relazione alle condizioni necessarie di verifica ricostruite dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, come accaduto nel caso di specie. Ciò premesso, dunque, la Corte afferma che «ai fini della ammissibilità del motivo proposto in sede di giudizio di legittimità, l'eccezione con cui si contesti la sussistenza dell'aggravante della recidiva, ancorché avuto riguardo alla carenza di motivazione circa le sue condizioni di configurabilità, siccome ricostruite dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, deve essere stata proposta con l'atto di appello». Da qui, l'inammissibilità del ricorso.
Presidente Catena – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Viene in esame la decisione in epigrafe, emessa dal Tribunale di Livorno in sede di appello, con cui è stata parzialmente riformata la sentenza del Giudice di Pace di Livorno del 9.10.2015 ed è stata pronunciata l'assoluzione di C.D. per la contestazione di ingiuria ai danni di S.S. , perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, mentre è stata confermata la condanna dell'imputato alla pena di mille Euro di multa in relazione ai reati residui di lesioni e minaccia, commessi sempre ai danni della medesima vittima il 23.12.2010, riconosciuta anche la recidiva reiterata specifica nei suoi confronti. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore, deducendo tre motivi di censura. 2.1. Il primo argomento eccepisce violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza della recidiva reiterata specifica nei confronti del ricorrente per non essersi adempiuto, nel provvedimento impugnato, all'obbligo di giustificare con adeguata motivazione detta aggravante, non più automatica ed obbligatoria in seguito all'intervento della Corte costituzionale con sentenza numero 185 del 2015. Il difensore rappresenta come la ragione di censura possa essere dedotta con ricorso per cassazione nonostante non fosse stata sollevata nei motivi d'appello, in virtù dei poteri valutativi del giudice di secondo grado mal esercitati ed evidenzia la vetustà dei precedenti penali a carico dell'imputato. 2.2. La seconda ragione difensiva dedotta attiene al vizio di violazione di legge quanto alla determinazione della pena nel reato continuato, rimasta inespressa sin dal primo grado nelle sue singole componenti e stabilita in modo unitario, senza neppure individuare la pena base per il reato più grave. Anche in questo caso si rappresenta la possibilità di sollevare l'eccezione con ricorso per cassazione nonostante il suo mancato inserimento tra i motivi d'appello. 2.3. Il terzo motivo di ricorso censura violazione di legge penale avuto riguardo al divieto di reformatio in peius sancito dall'articolo 597 c.p.p., commi 3 e 4. La pena inflitta all'imputato non è stata modificata nonostante l'assoluzione per il reato di ingiuria dalla continuazione criminosa. 3. Il PG omissis ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al terzo motivo di ricorso, fondato, per la rideterminazione della pena in senso più favorevole all'imputato l'inammissibilità nel resto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. I primi due motivi, che si risolvono in censure dedicate a sollevare vizi di motivazione del provvedimento impugnato, sono inediti rispetto all'impugnazione in appello e, pertanto, di per sé solo non deducibili. Invero, in linea generale, costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte ritenere sistematicamente non consentita la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità di uno dei possibili vizi della motivazione, con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello, sia pur collegati, come è ovvio, all'inquadramento giuridico del fatto di reato contestato al ricorrente ed alle sue circostanze. A ritenere altrimenti, infatti, il giudice di legittimità potrebbe disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata, contraddittoria o manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Riconoscendo la possibilità di estendere il suo sindacato anche a vizi della motivazione non dedotti in appello, invero, il giudice di legittimità sarebbe anche indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice di merito di secondo grado dall'altro canto, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza impugnata, avuto riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi fattuali che in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione cfr. Sez. 2, numero 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062, in motivazione nonché Sez. 2, numero 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306 Sez. 3, numero 27256 del 23/07/2020, Martorana, Rv. 279903 Sez. 3, numero 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869 Sez. 2, numero 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316 Sez. 2, numero 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368 . Sintetizzando all'essenziale, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione Sez. 5, numero 28514 del 23/4/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577 . Le violazioni di legge, poi, per espressa indicazione normativa cfr. l'articolo 606, comma 3, c.p.p. , possono trovare ingresso nel campo della verifica devoluta al giudice di legittimità soltanto qualora siano state dedotte in appello. All'applicazione di tali principi, come si dirà di qui a poco, non si sottrae la valutazione delle circostanze, sia pur di quella peculiare aggravante costituita dalla recidiva, che attiene alla persona del colpevole, descrivendone la speciale pericolosità e la più acuta riprovevolezza dell'agire, derivante dalla reiterazione degli illeciti penali commessi. 2.1. Il primo motivo lamenta l'inadeguata motivazione sulla recidiva qualificata, ritenuta sussistente nei confronti dell'imputato in modo generico già dal giudice di primo grado, che si è limitato a considerarla ai fini sanzionatori senza addurre ragioni concrete al riguardo, con una motivazione che la Corte d'Appello non ha in alcun modo integrato. Il ricorrente sostiene che, pur in mancanza di qualsiasi tema di censura sollevato al riguardo dalla difesa nell'atto di impugnazione funzionale al secondo grado di giudizio, tuttavia il giudice avrebbe dovuto compensare d'ufficio il deficit motivazionale rilevabile nella sentenza di primo grado, in ragione della natura del vizio, attinente alla qualificazione giuridica del reato in relazione alla personalità dell'imputato recidivo , tenuto conto dell'elaborazione della giurisprudenza costituzionale relativa all'aggravante della recidiva. Ebbene, certamente, in tema di recidiva, rappresenta oramai patrimonio interpretativo condiviso ritenere che sia compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia sintomo effettivo di maggior riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all'eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali cfr. Sez. U, numero 35738 del 27/5/2010, Calibè, Rv. 247838 che si ispira a Corte Cost., 14 giugno 2007 numero 192 14 giugno 2007 numero 198 30 novembre 2007 numero 409 21 febbraio 2008 numero 33 4 aprile 2008 numero 90 4 aprile 2008 numero 91 6 giugno 2008 numero 193 10 luglio 2008 numero 257 29 maggio 2009 numero 171 . Tale ineludibile esigenza di verifica da parte del giudice, tuttavia, non si riverbera in un obbligo motivazionale che investa il giudice dell'impugnazione, in assenza di eccezione del vizio da parte dell'interessato. Posta l'applicabilità dei principi interpretativi già sintetizzati al par. 2, va sottolineato come, nel caso di specie, sia lo stesso ricorrente ad ammettere che il motivo proposto con il ricorso per cassazione, relativamente alla carenza di motivazione circa la sussistenza dell'aggravante della recidiva in capo al ricorrente, sia inedito poiché mai dedotto nelle eccezioni contenute nell'atto d'appello. Ed in una fattispecie analoga, sebbene non identica a quella in esame da parte del Collegio, si è già ribadito il principio - più volte e in più forme richiamato al par. 2 secondo cui non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione, anche quando l'omessa motivazione da parte della Corte di appello attenga alla recidiva ritenuta dal giudice di primo grado, non contestata con i motivi di appello Sez. 2, numero 13826 del 17/2/2017, Bolognese, Rv. 269745 . Tale affermazione va ribadita pur quando il ricorrente denunci l'incongrua e carente motivazione in ordine alla configurabilità della recidiva in relazione alle condizioni necessarie di verifica ricostruite dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità già richiamata, oltre alla stessa sua sussistenza, come accaduto nel caso di specie, in cui il ricorrente ha anche dedotto, in conclusione del motivo di ricorso riferito alla carenza di motivazione, alcune ragioni specifiche che, a suo giudizio, escluderebbero in ogni caso la possibilità di ritenere la recidiva contestata. Tali ragioni, infatti, inevitabilmente, coinvolgono opzioni di merito ed implicano un giudizio in fatto , sicché sono, per altro verso, insindacabili in sede di legittimità cfr., in tema, ex multis, Sez. 6, numero 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 Sez. 6, numero 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482, nonché Sez. 2, numero 9106 del 12/2/2021, Caradonna, Rv. 280747 e Sez. 6, numero 13809 del 17/3/2015, 0., Rv. 262965 . Deve, pertanto, conclusivamente affermarsi che, ai fini della ammissibilità del motivo proposto in sede di giudizio di legittimità, l'eccezione con cui si contesti la sussistenza dell'aggravante della recidiva, ancorché avuto riguardo alla carenza di motivazione circa le sue condizioni di configurabilità, siccome ricostruite dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, deve essere stata proposta con l'atto di appello. In diversa fattispecie, ma con analogo ragionamento, si è già ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione con il quale venga dedotta la disapplicazione della circostanza aggravante della recidiva quando in fase di appello sia stato proposto motivo finalizzato ad ottenere l'esclusione della natura infranquiquennale della stessa, trattandosi di richieste diverse anche in relazione ai presupposti, in quanto la prima implica la valutazione della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono segno, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente tra loro e dell'eventuale occasionalità della ricaduta, mentre la seconda richiede solo il controllo di un dato cronologico obiettivo Sez. 2, numero 32780 del 13/7/2021, De Matteis, Rv. 281813 . 2.1 II secondo motivo di censura, pur evidenziando una lacuna nell'esplicazione della commisurazione sanzionatoria della continuazione criminosa meritevole di attenzione in astratto, in considerazione del fatto che, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite Sez. U, numero 47127 del 21/6/2021, Pizzone, Rv. 282269 , tuttavia adduce, ancora una volta, una ragione inedita di ricorso rispetto all'impugnazione d'appello, che, pertanto, non può essere ammessa al sindacato del Collegio, risolvendosi in un vizio di motivazione avuto riguardo al trattamento sanzionatorio che, non essendo stato proposto al giudice d'appello, si rivela nuovo e, per tale ragione, inammissibile, come già evidenziato. 2.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato. Il Collegio intende ribadire il principio secondo cui, in tema di continuazione tra reati commessi da soggetti cui sia stata applicata la recidiva di cui all'articolo 99 c.p., comma 4, nel caso di assoluzione in appello per uno dei reati satellite , la mancata diminuzione della pena inflitta cumulativamente non comporta la violazione del divieto di reformatio in peius poiché l'aumento non inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, previsto dall'articolo 81, comma 4, c.p. e applicato nella misura minima di un terzo, va riferito all'aumento complessivo per la continuazione e non alla misura di ciascun aumento successivo al primo Sez. 4, numero 12150 del 24/3/2021, Bedoui, Rv. 280770 Sez. 2, numero 31798 del 4/7/2018, Lai, Rv. 273518 . Peraltro, tale aumento deve essere operato sulla pena già aumentata per effetto della recidiva stessa cfr., sul punto specifico, Sez. 2, numero 49488 del 14/11/2014, Youssef, Rv. 261055 Sez. 2, numero 44366 del 26/11/2010, D'Ambra, Rv. 249062 . La disposizione richiamata s'inserisce nel quadro di particolare rigore sanzionatorio previsto per i soggetti recidivi, per i quali il legislatore lascia al giudice un ambito di azione più limitato nella graduazione della pena, come nel caso della previsione di una soglia minima dell'aumento cumulativo imposto dall'articolo 81, comma 4, c.p. cfr. in motivazione, Sez. U, numero 31669 del 23/6/2016, Filosofi, Rv. 267044 . 3. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità cfr. sul punto Corte Cost. numero 186 del 2000 , al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.