Integrazione in Italia: impossibile pretendere un contratto di lavoro a tempo indeterminato

I Giudici ridanno speranza a un cittadino nigeriano. Plausibile per lui il riconoscimento della protezione internazionale, a fronte di un contratto di lavoro a tempo determinato e di diverse attività formative.

Per l' integrazione dello straniero extracomunitario in Italia non è indispensabile un contratto di lavoro a tempo determinato, che, peraltro, è un obiettivo difficile da raggiungere anche per i cittadini del Paese. Da tenere presenti invece altre attività legate all'ambito formativo che testimoniano un percorso di radicamento nel Paese. Riflettori puntati su un cittadino nigeriano che, una volta approdato in Italia, chiede protezione, spiegando di essere omosessuale e di temere essere perseguitato in caso di ritorno in patria, e aggiungendo di avere raggiunto una buona integrazione socio-lavorativa nel Paese, a fronte di una situazione di precarietà in Nigeria. In Tribunale, però, vengono confermate le valutazioni compiute dai membri della Commissione territoriale. In sostanza, le dichiarazioni rese dallo straniero in ordine a una sua relazione omosessuale sono ritenute non attendibili, in quanto sommarie e non circostanziate , e ciò significa che non vi è per lui alcun pericolo di subire persecuzioni in caso di rimpatrio. Allo stesso tempo, i giudici precisano che è impossibile ipotizzare condizioni di vulnerabilità in patria per lo straniero, mentre il rapporto lavorativo a tempo determinato da lui messo sul tavolo non costituisce indice sufficiente d'integrazione sociale in Italia . A ridare una speranza al cittadino nigeriano sono i dettagli da lui forniti in merito all'integrazione raggiunta in Italia . In questa ottica egli col ricorso in Cassazione pone in evidenza un progetto di stage un corso di lingua un progetto formativo una scheda d'iscrizione per operatore carni , contratti di lavoro a tempo determinato buste-paga comunicazioni UNILAV, e un contratto di lavoro attuale in agricoltura e spiega di avere frequentato la scuola superiore con corso di alfabetizzazione in lingua italiana . Lo straniero mostra di puntare comunque alla protezione umanitaria, sottolineando l'avvenuta integrazione sociale in Italia attraverso esperienze lavorative e varie iniziative citate . Evidente, secondo i Giudici di terzo grado, l'erronea valutazione compiuta in Tribunale, poiché è stato negato il riconoscimento della protezione umanitaria esaminando il solo contratto a tempo determinato dello straniero, senza attribuire alcuna rilevanza alle altre iniziative sociali da lui intraprese e che, invece, non possono essere ritenute irrilevanti in ordine alla valutazione relativa al suo percorso d'integrazione sociale in Italia. Per fare chiarezza i magistrati della Cassazione spiegano che l'integrazione sociale è da esaminare secondo diversi parametri socio-giuridici che esprimano oggettivamente un percorso dello straniero diretto ad un consolidamento della sua esperienza di vita nel tessuto socio-economico dell'Italia, seppure preservando gli aspetti peculiari della cultura tipica del Paese d'origine, se non incompatibili con le norme italiane . E in questa ottica il cittadino nigeriano ha dimostrato di svolgere attività lavorativa, seppure a tempo determinato , cioè con una tipologia contrattuale sempre più diffusa nell'attuale contesto economico , e di aver intrapreso numerose iniziative tendenti univocamente ad inserirsi stabilmente in Italia . Illogico, quindi, il ragionamento compiuto in Tribunale, laddove si è sostenuta l'insufficienza di siffatto rapporto lavorativo come dimostrativo della mera volontà d'integrazione sociale , omettendo, però, di valutare la rilevanza delle altre attività dello straniero . In sostanza, anche la seria intenzione d'integrazione sociale, desumibile da una pluralità di attività, può rilevare ai fini della protezione umanitaria, quantunque essa non si sia ancora concretizzata in un attività lavorativa a tempo indeterminato , obiettivo, questo, che, concludono i Giudici, presenta difficoltà non irrilevanti anche per i cittadini italiani . Delle osservazioni compiute dai magistrati della Cassazione dovranno tenere conto i giudici del Tribunale, chiamati a prendere nuovamente in esame la richiesta di protezione avanzata dal cittadino nigeriano.

Presidente Acierno Relatore Caiazzo Rilevato in fatto che Con decreto emesso il 19.10.2020, il Tribunale di Bologna rigettò il ricorso proposto da A.E. , cittadino nigeriano, avverso il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della domanda di protezione internazionale, osservando che le dichiarazioni rese dal ricorrente in ordine alla relazione omosessuale citata non erano attendibili, in quanto sommarie e non circostanziate, per cui non sussisteva il pericolo di subire persecuzioni in caso di rimpatrio, con esclusione del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b non ricorrevano altresì i presupposti della protezione sussidiaria di cui alla lett. c del citato art. 14, sulla base delle fonti esaminate, non era riconoscibile la protezione umanitaria per insussistenza di condizioni di vulnerabilità, mentre il rapporto lavorativo a tempo determinato non costituiva indice sufficiente d'integrazione sociale in Italia. A.E. ricorre in cassazione con due motivi. Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all'eventuale udienza di discussione. Ritenuto in diritto che Il primo motivo denunzia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 8, 10 e 27, D.Lgs. n. 25 del 2008 , artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 Cedu, art. 16 direttiva Europea n. 2013/32, nonché omessa motivazione e di esame di fatti decisivi, per aver il Tribunale escluso la protezione internazionale e sussidiaria, ritenendo l'istante inattendibile, e per non aver riscontrato il pericolo concreto in caso di rimpatrio, anche alla luce della situazione politica e sociale della Nigeria, caratterizzata dalla limitazione dei diritti fondamentali Il secondo motivo denunzia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, nonché omesso esame di fatti decisivi con riferimento all'integrazione socio-lavorativa al riguardo, il ricorrente allega un progetto di stage 9.3.20 al 10.4.20 corso di lingua progetto formativo 2018 e scheda d'iscrizione per operatore carni, contratti di lavoro a tempo determinato, buste-paga, comunicazioni Unilav, e un contratto di lavoro attuale in agricoltura. Il primo motivo è inammissibile in quanto diretto al riesame dei fatti, ovvero a ribaltarne l'interpretazione del Tribunale in ordine alla vicenda della relazione omosessuale e alla situazione di pericolo del paese di provenienza del ricorrente. Invero, il Tribunale ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni rese dal ricorrente circa la relazione omosessuale attraverso un'analitica valutazione critica dei fatti esposti, incensurabile in questa sede. La doglianza afferente alla protezione sussidiaria, riguardante la situazione socio-politica della regione di provenienza è, invece, generica e non fondata su situazioni di pericolo riferite specificamente al ricorrente e dirette comunque al riesame del merito in ordine all'asserita situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato. Il secondo motivo è fondato. Il ricorrente si duole che il Tribunale, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, non abbia considerato la sua avvenuta integrazione sociale in Italia attraverso le esperienze lavorative e le varie iniziative citate. Dagli atti emerge che il ricorrente ha allegato di lavorare con contratto a tempo determinato, di aver frequentato stage, e la scuola superiorecon corso di alfabetizzazione in lingua italianae di aver preso parte a vari progetti formativi. Ora, la giurisprudenza di questa Corte v. Cass., SU, n. 24413 del 2021 , pur riferendosi alla previgente protezione complementare, ma sviluppando argomentazioni che per la loro generalità appaiono suscettibili di essere trasposte anche nel nuovo contesto, afferma che viene in primo luogo in rilievo il disposto dell'art. 8 CEDU , evidentemente centrale per valutare il profilo di vulnerabilità legato alla comparazione tra il contesto economico, lavorativo e relazionale che il richiedente troverebbe rientrando nel paese di origine e la condizione di integrazione dal medesimo raggiunta in Italia nel tempo necessario al compimento dell'esame della sua domanda di protezione in sede amministrativa e giudiziaria. Al riguardo le Sezioni Unite rimarcano che l'art. 8 CEDU considera - e dunque tutela - separatamente la vita privata e la vita familiare, e ricordano che la Corte EDU nella sentenza 14.2.2019 Narijs c. Italia ha affermato che si deve accettare che tutti i rapporti sociali tra gli immigrati stabilmente insediati e la comunità nella quale vivono facciano parte integrante della nozione di vita privata ai sensi dell'art. 8. Indipendentemente dall'esistenza o meno di una vita familiare , l'espulsione di uno straniero stabilmente insediato si traduce in una violazione del suo diritto al rispetto della sua vita privata La protezione offerta dall'art. 8 CEDU è stata quindi letta dalle Sezioni Unite con riferimento all'intera rete di relazioni che il richiedente si è costruito in Italia relazioni familiari, ma anche affettive e sociali ad esempio, esperienze di carattere associativo e, naturalmente, relazioni lavorative e, più genericamente, economiche rapporti di locazione immobiliare , le quali pure concorrono a comporre la vita privata di una persona, rendendola irripetibile, nella molteplicità dei suoi aspetti, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Sono stati altresì esemplificati gli indici rilevanti per l'accertamento di un livello elevato d'integrazione effettiva nel nostro Paese come la titolarità di un rapporto di lavoro pur se a tempo determinato, costituendo tale forma di rapporto di lavoro quella più diffusa, in questo momento storico, di accesso al mercato del lavoro , la titolarità di un rapporto locatizio, la presenza di figli che frequentino asili o scuole, la partecipazione ad attività associative radicate nel territorio di insediamento v. anche Cass., n. 7861/22 n. 7938/22 . Orbene, nel caso concreto, il Tribunale ha negato il riconoscimento della protezione umanitaria esaminando il solo contratto a tempo determinato, senza attribuire alcuna rilevanza alle altre predette iniziative sociali intraprese dal ricorrente non citate in motivazione che, invece, non possono essere ritenute irrilevanti in ordine alla valutazione relativa al percorso d'integrazione sociale dello straniero. Invero, alla luce della richiamata giurisprudenza, occorre affermare che l'integrazione sociale, quale fenomeno sociale complesso ed etero direzionale, sia da esaminare secondo diversi parametri socio-giuridici che esprimano oggettivamente un percorso dello straniero diretto ad un consolidamento della sua esperienza di vita nel tessuto socio economico del paese ospitante, seppure preservando gli aspetti peculiari della cultura tipica del paese d'origine, se non incompatibili con le norme italiane. Al riguardo, il ricorrente ha anzitutto dimostrato di svolgere attività lavorativa, seppure a tempo determinato, tipologia contrattuale sempre più diffusa nell'attuale contesto economico, e di aver intrapreso numerose iniziative tendenti univocamente ad inserirsi stabilmente in Italia. Pertanto, la motivazione del Tribunale, che evidenzia l'insufficienza di siffatto rapporto lavorativo, dimostrativo della mera volontà d'integrazione sociale, che non sarebbe dunque ancora raggiunta, non appare conforme al suddetto orientamento giurisprudenziale, in quanto omette di valutare la rilevanza delle altre attività del ricorrente. Occorre altresì osservare che anche la seria intenzione d'integrazione sociale, desumibile, come detto, da una pluralità di attività, possa rilevare ai fini della protezione umanitaria, quantunque essa non si sia ancora concretizzata un attività lavorativa a tempo indeterminato, specie se si consideri che tale obiettivo presenta difficoltà non irrilevanti anche per i cittadini del paese ospitante. Per quanto esposto, in accoglimento del secondo motivo, il decreto impugnato va cassato e la causa rinviata al Tribunale,. anche in ordine alle spese del grado di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo, dichiarato inammissibile il primo, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.