Tempi duri per i padri moderni dopo il TAR Lazio numero 3209/22 sul fisico romano che aveva cambiato il cognome alla figlia di cui aveva “scordato” l’esistenza, la CEDU ha affrontato una guerra dei Roses in salsa maremmana in cui il padre lamentava una lesione della sua serenità familiare ed una discriminazione per la diffida, ottenuta dall’ex moglie, ad educare la figlia nella religione cui si era convertito dopo la rottura della convivenza. Per la CEDU non c’è stata nessuna lesione dei suoi diritti piuttosto di quelli della minore che deve essere libera di scegliere la propria religione autonomamente, stante l’onere di entrambi i genitori di educarla.
È quanto deciso dalla CEDU nel caso T.C. c. Italia ric.54032/18 . Si noti una stranezza nella sentenza non è citata la città di residenza del ricorrente, ma nei vari comunicati stampa c'è scritto che risiede a Follonica. Dopo la rottura del rapporto con la compagna, madre di sua figlia, si convertì ai Testimoni di Geova ed avvicinò, senza il consenso della madre , anche la minore a questa religione, che ascoltata dal giudice aveva evidenziato il disagio di partecipare alle funzioni presso la Sala del Regno, di essere stata portata in strada a distribuire opuscoli col padre con cui avrebbe preferito giocare di più e che aveva continuato anche ad andare al catechismo. La donna, per risolvere il conflitto su come educarla, ottenne un'ingiunzione dal Tribunale di Livorno per impedire di associare la figlia a questa religione. Confermata poi, dalla Corte di Appello di Firenze, che aveva chiarito che il padre poteva, però, comunicarle le proprie convinzioni religiose. Il ricorrente sente che è stata violata l'uguaglianza tra gli sposi, di essere discriminato, trattando la sua religione come pericolosa e «da evitare», mentre non era stata presa in considerazione la religione della madre, sì che, a suo avviso, i giudici interni avevano mancato d'imparzialità. La CEDU è stata di opinione diametralmente opposta. La libertà religiosa dei figli potrebbe non coincidere con quella dei genitori. La Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 e la relazione della 70.ma Assemblea ONU del 2015 sulla libertà religiosa e l'eliminazione di ogni forma di intolleranza religiosa, sono molto chiari sui diritti/doveri dei genitori nell'educare i figli e nel prendere decisioni sul loro credo, soprattutto nel caso in cui ne professino due diversi «data la dipendenza del minore da un ambiente familiare favorevole, pur riconoscendo la varietà delle forme familiari, i genitori hanno la responsabilità primaria di sostenere il minore nell'esercizio dei suoi diritti umani. Secondo l'articolo 5 della Convenzione sui diritti del fanciullo, dovrebbero fornire una guida e una direzione appropriate al bambino a tale riguardo. Tale responsabilità specifica affidata ai genitori costituisce anche un diritto genitoriale che lo Stato deve rispettare e tutelare. L'articolo 14, paragrafo 2, della Convenzione specifica inoltre tale intesa generale sancendo il dovuto rispetto dei diritti e dei doveri dei genitori di fornire indicazioni al minore nell'esercizio del suo diritto alla libertà di religione o di credo. … Libertà di religione non presuppone il diritto del bambino a crescere in un ambiente familiare religiosamente neutrale , per non parlare di un diritto eventualmente imposto dallo Stato contro i genitori. Il principio di neutralità può essere significativamente invocato solo contro gli Stati per ricordare loro il loro obbligo di esercitare equità, imparzialità e inclusività e in questo senso specifico neutralità , quando si tratta di diversità di religione o credo . Al contrario, i genitori non possono essere obbligati dallo Stato a rimanere religiosamente neutrali quando crescono i loro figli» neretto, nda . Infine, le diverse scelte personali di un genitore non dovrebbero essere usate per discriminare l'altro, stante il fatto che allevare un figlio in linea con le proprie opinioni e credenze religioso-filosofiche è un'espressione della libertà di religione . Detta così la situazione potrebbe essere confusa perché il genitore od entrambi in linea di massima possono scegliere a quale religione educare la figlia, ma nella fattispecie ciò non è stato possibile per il padre. La CEDU chiarisce e svela l'arcano è stato scelto di continuare ad educare la minore nella religione cattolica per garantirle «un ambiente sociale sano e non farla sentire diversa ed emarginata dai coetanei». Ad onor del vero il padre non era stato poi così prevaricatore, in quanto aveva acconsentito a farle passare la Comunione e seguire il catechismo come i suoi compagni di scuola ed amici. La CEDU «ha inoltre sottolineato l'obiettivo prioritario di tener conto dell'interesse superiore dei bambini , che comporta la conciliazione delle scelte educative di ciascun genitore e il tentativo di trovare un equilibrio soddisfacente tra le concezioni individuali dei genitori, precludendo qualsiasi giudizio di valore e, ove necessario, stabilendo norme minime sulle pratiche religiose personali » neretto, nda Ilya Lyapin c. Russia nel quotidiano del 30/6/20 . Ergo le restrizioni imposte al padre erano nel supremo interesse della minore, stante il fatto che alla stessa va garantita una libertà di scelta sulle proprie convinzioni religiose e che la contestata decisione, essendo scaturita all'esito di un procedimento di volontaria giurisdizione, può essere modificata sia per il mutamento delle circostanze che l'hanno giustificata, sia per il reclamo presentato dal padre etc. In breve, per la CEDU l'intrusione nella serenità familiare del padre era giustificata dalla tutela del supremo interesse della figlia a «mantenere e promuovere il suo sviluppo in un ambiente aperto e pacifico, conciliando per quanto possibile i diritti e le convinzioni di ciascuno dei suoi genitori». Il divieto non discrimina il padre. La contestata preclusione non ha influito sulla professione di fede del ricorrente né sui suoi diritti genitoriali, in quanto le visite e la custodia della minore non hanno subito mutamenti. Non è stato perciò in alcun modo discriminato e/o punito per la sua religione. Si è voluto semplicemente preservarla dallo stress provocatole dal padre nel tentativo di coinvolgerla, anche contro la sua volontà, nelle sue pratiche religiose Palau-Martinez c. Francia del 2003 . Da tutto ciò la CEDU ha dedotto che non vi è stata alcuna violazione dell'art.14 in combinato con l'art.8 Cedu. Si segnalano in quanto molto interessanti le opinioni dissenzienti e concordi di alcuni giudici in calce all'annotata sentenza.
CEDU del 19 maggio 2022, caso T.C. c. Italia ric. numero 54032/18