Respinta la tesi difensiva secondo cui l’azione incriminata compiuta dall’uomo sotto processo era mirata a controllare l’eventuale sottrazione dalla struttura di beni di proprietà della moglie, in passato socia dell’albergatore. Evidente il disturbo arrecato non solo al proprietario della struttura, ma anche ai lavoratori.
Gli appostamenti dinanzi a una struttura alberghiera per tenere sotto controllo proprietario e dipendenti vanno catalogati come molestie in piena regola. Ricostruita la vicenda, ambientata in Sicilia, i giudici del Tribunale ritengono colpevole l'uomo sotto processo e lo condannano a pagare 200 euro di ammenda per le molestie commesse ai danni del proprietario di un albergo. Inequivocabile, secondo i giudici, la condotta tenuta dall'uomo e concretizzatasi nell'appostarsi all'esterno della struttura e nel sorvegliare con un binocolo e nel fotografare il proprietario dell'albergo e le persone che lavorano nella struttura. Col ricorso in Cassazione l'uomo prova a giustificare i propri comportamenti. In questa ottica egli sostiene che non si può parlare di molestie poiché la condotta da lui tenuta è consistita in una mera presenza fisica passiva mirata esclusivamente a controllare l'eventuale asporto dalla struttura di beni immobili di proprietà di sua moglie, originaria socia del proprietario dell'albergo . La linea difensiva non convince i Giudici della Cassazione, i quali sottolineano, invece, la tipologia delle condotte tenute dall'uomo sotto processo, ossia appostamenti all'esterno della struttura, scatto di fotografie alle auto in entrata e uscita e ai dipendenti, puntamenti ispettivi con un binocolo, tentativi di sottrazione di arredi, pedinamento . Questo il quadro tracciato grazie alla deposizione del proprietario della struttura alberghiera e agli elementi di riscontro costituiti dalle dichiarazioni di un teste e da quelle di un informatore, senza dimenticare, infine, le relazioni di servizio dei militari dell'Arma dei carabinieri . Per i Giudici è palese poi che le condotte tenute dall'uomo hanno certamente disturbato il proprietario dell'albergo e i suoi dipendenti, alterando le normali condizioni di tranquillità alle quali avevano diritto nello svolgimento del loro lavoro , e ciò è avvenuto attraverso un'azione impertinente, indiscreta, invadente, senz'altro riconducibile alla nozione di petulanza , sancisce la Suprema Corte. Privo di rilevanza, infine, il riferimento fatto dall'uomo a una presunta intenzione di controllare un eventuale asporto dalla struttura alberghiera di beni di proprietà della moglie .
Presidente Siani Relatore Toscani Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del Tribunale di Trapani in data 27/05/2021, ha giudicato O.S. , imputato della contravvenzione di cui all' art. 660 c.p. , molestie commesse in danno di S.D. , fino al omissis e, ritenuta la sua responsabilità, riconosciute le generiche, lo ha condannato alla pena di Euro 200,00 di ammenda. 2. Ricorre O.S. , per mezzo del proprio difensore di fiducia, affidando l'annullamento della sentenza a un unico motivo con il quale deduce la violazione dell' art. 660 c.p. e vizio di motivazione. Il Tribunale si è limitato a riassumere i fatti e, di seguito, a citare la giurisprudenza di legittimità inerente la contravvenzione per cui è condanna, senza creare un logico collegamento motivazionale tra le due. La condotta non può essere sussunta nell'alveo della contravvenzione di cui all' art. 660 c.p. , siccome consistita in una mera presenza fisica passiva, non sorretta dalla finalità di arrecare molestia, avendo l'imputato posto in essere le condotte descritte in imputazione all'esclusivo fine di controllare un'eventuale asporto dalla struttura alberghiera dei beni immobili di proprietà di sua moglie, omissis , originaria socia del S. . 3. Il Sostituto Procuratore generale, nella requisitoria scritta ex D.L. n. 137 del 2020, art. 23 e successive modificazioni, ha prospettato la declaratoria d'inammissibilità dell'impugnazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile in quanto svolge censure manifestamente infondate e interamente versate in fatto. 1.2. Premesso che il reato di cui all' art. 660 c.p. non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o molestia Sez.1 n. 3758 del 07/11/2013. dep. 2014, Moresco, Rv. 258260 , va sottolineato che la fattispecie contravvenzionale è integrata da qualsiasi condotta oggettivamente idonea a determinare l'altrui molestia ed è, dunque, connotata sotto il profilo obiettivo, dall'effetto di importunare e dalla produzione di disturbo o di fastidio in conseguenza dell'interferenza nell'altrui sfera privata o nell'altrui vita di relazione. Ciò premesso, nel caso di specie, il Tribunale ha in primo luogo dato conto della tipologia delle condotte appostamenti all'esterno della struttura gestita da S.D. , scatto di fotografie alle auto in entrata e uscita e ai dipendenti, puntamenti ispettivi con un binocolo, tentativi di sottrazione degli arredi, pedinamento quali emergenti dalla deposizione della persona offesa, adeguatamente valutata e della quale sono stati evidenziati gli elementi di riscontro, costituiti dalle dichiarazioni del teste Su. , dalle quelle dell'informatore D. , nonché dalle relazioni di servizio dei militari della locale Arma dei carabinieri, rispettivamente in data omissis . In secondo luogo, con motivazione logica e articolata, ha chiarito che dette condotte avevano certamente disturbato il S. e i suoi dipendenti, alterando le normali condizioni di tranquillità alle quali avevano diritto nello svolgimento del proprio lavoro, attraverso un'azione impertinente, indiscreta, invadente, senz'altro riconducibile nella nozione di petulanza. Di tanto, la sentenza ha dato atto, ponendo in stretto collegamento i principi giurisprudenziali citati con le dichiarazioni testimoniali della persona offesa e delle ulteriori risultanze di prova, inferendone la responsabilità dell'imputato anche con ragionamento a contrariis rispetto all'originario coimputato V.C.P. , invece assolto, senza dunque incorrere nell'invocato vizio di motivazione, siccome mancante ovvero apparente. 1.3. Sono del pari manifestamente infondati gli argomenti difensivi spesi per contestare l'affermazione di responsabilità del ricorrente sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato, che va identificato nella coscienza e volontà della condotta, accompagnata dalla consapevolezza dell'oggettiva idoneità di quest'ultima a molestare o disturbare il soggetto che la subisce, senza che possa rilevare, in quanto pertinente alla sfera dei motivi dell'agire, l'eventuale convinzione della gente di operare per un fine non biasimevole o, addirittura, per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto Sez. 1, n. 4053 del 12/12/2003, dep. 2004, Rota, Rv. 226992 Sez. 1, n. 33267 del 11/6/2013, Saggiamo, Rv. 256992 Sez. 1, n. 50381 del 7/6/2018, Vidoni, Rv. 274537 . Sotto questo profilo è, dunque, priva di pregio l'affermazione difensiva secondo cui il reato dovrebbe essere escluso per il fatto che il ricorrente avrebbe agito all'asserito mero fine di controllare l'eventuale asporto dalla struttura alberghiera di non meglio specificati beni immobili di proprietà della moglie. 2. All'inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell' art. 616 c.p.p. , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione C. Cost. n. 186 del 2000 - di una somma in favore della Cassa delle Ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.