Questo quanto deciso dalla Corte di Cassazione per una causa relativa al fallimento di una società.
Quattro amministratori di una società a responsabilità limitata erano stati condannati in solido dal Tribunale di Palermo al risarcimento dei danni, liquidando il danno in misura pari alla differenza fra passivo e attivo fallimentare. I giudici di merito adducevano la mancanza di scritture contabili della società. Anche la Corte d'Appello aveva confermato la pronuncia di primo grado e pertanto gli amministratori proponevano ricorso per Cassazione sulla base di due motivi. Il ricorso è fondato. Con il primo motivo i ricorrenti lamentavano che la Corte d'Appello avesse erroneamente ritenuto che non fosse onere della curatela dimostrare l'esistenza di operazioni contrarie ai doveri di buona amministrazione societaria e che fosse onere dei convenuti richiedere un ordine di esibizione dei documenti della società. Con il secondo motivo, invece, contestavano la quantificazione del danno. Specifica il Collegio, che pur essendo palese la responsabilità contrattuale degli amministratori nei confronti della società, ciò non toglie tuttavia che il risarcimento dei danni debba comunque sempre implicare la prova del nesso di consequenzialità tra una condotta di mala gestio e il danno occorso alla società. A tal proposito, ricorda la Corte di Cassazione che la «tenuta delle scritture, pur se addebitabile all'amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l'attivo liquidato in sede fallimentare … » Cass. numero 9100/2015, numero 38/2017 e numero 13220/2021 . A supporto di questa analisi della vicenda afferma pertanto il Collegio che «nelle azioni di responsabilità grava sempre, in linea di principio, su chi agisce in giudizio l'onere di fornire la prova del danno e del nesso di causalità materiale tra questo e le condotte che si assumano tenute in violazione di doveri inerenti alle funzioni svolte dagli amministratori. E la mancanza di scritture contabili, ovvero la sommarietà di redazione di esse o la loro inintelligibilità, non è sufficiente a giustificare la condanna dell'amministratore in conseguenza dell'impedimento frapposto alla prova occorrente ai fini del nesso rispetto ai fatti causati dal dissesto. Essa presuppone, invece, per essere valorizzata in chiave risarcitoria nel contesto di una liquidazione equitativa, che sia comunque previamente assolto l'onere della prova circa l'esistenza di condotte per lo meno astrattamente causative di un danno patrimoniale sicché il criterio del deficit fallimentare resta sì applicabile, ma soltanto come criterio equitativo, per l'ipotesi di impossibilità di quantificare esattamente il danno in conseguenza dell'affermazione di esistenza della prova – almeno presuntiva – di condotte di tal genere». Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso.
Presidente Genovese - Relatore Terrusi Fatti di causa Su azione del curatore fallimentare L. Fall., ex articolo 146, il tribunale di Palermo ha condannato in solido al risarcimento dei danni gli amministratori della omissis s.r.l. A.E., G., M. e D. , che nel tempo si erano avvicendati dalla sua costituzione fino alla dichiarazione di fallimento avvenuta il 22-10-2010. Ha liquidato il danno in misura pari alla differenza tra il passivo e l'attivo fallimentare, ossia in 115.226,00 Euro, oltre interessi. Al fondo della pronuncia ha posto la circostanza relativa alla mancanza delle scritture contabili della società. Il gravame degli amministratori è stato respinto dalla corte d'appello di Palermo, la quale ha considerato che gli addebiti, riassumibili nella mancata corretta tenuta delle scritture aziendali , erano stati posti a fondamento dell'azione contrattuale ex articolo 2392 c.c., cumulata nella L. Fall., articolo 146, e che la curatela aveva adempiuto all'onere di provare la fonte contrattuale del diritto azionato, identificata nel rapporto che lega la società all'amministratore. Ha aggiunto che il tribunale aveva a sua volta puntualmente indicato le contestazioni mosse agli amministratori, incentrate sull'impossibilità di dare giustificazione, per mancanza di documenti, a una serie di operazioni, quali le omesse annotazioni di pagamenti, le omesse attestazioni di prelevamenti, la mancata annotazione di fatture di acquisto a fronte di operazioni di cessione di merce per oltre 100.000,00 Euro, gli incassi da clienti per contanti. La corte d'appello ne ha tratto che il difetto di contabilità non era stato utilizzato quale criterio dal quale desumere le irregolarità in via presuntiva, ma come mancata giustificazione rispetto a molteplici operazioni di significativi importi prive di riscontro, e come tali non giustificate se non ipotizzando una gestione non corrispondente ai criteri di sana e buona amministrazione dell'azienda societaria . Cosicché, per andare esenti da responsabilità, sarebbe stato onere degli amministratori dare conto, punto per punto, della correttezza delle suddette operazioni. Ad avviso della corte d'appello tale dovere di buona amministrazione era stato disatteso innanzi tutto con la violazione delle norme contabili, che impongono l'annotazione delle effettive movimentazioni proprie dell'attività d'impresa esercitata in forma societaria . Gli amministratori hanno impugnato la sentenza d'appello, resa il 5-6-2018 e non notificata, con ricorso per cassazione affidato a due motivi. La curatela ha resistito con controricorso, nel quale ha indicato come proposto un ricorso incidentale. Le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione I. - Col primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. e articolo 210 c.p.c., per avere la corte d'appello ritenuto che non fosse onere della curatela dimostrare l'esistenza di operazioni contrarie ai doveri di buona amministrazione societaria e che fosse onere dei convenuti richiedere, invece, un ordine di esibizione dei documenti in possesso della curatela stessa, costituiti dalle scritture contabile da essa acquisite e non depositate in giudizio. Col secondo motivo deducono poi la violazione e falsa applicazione degli articolo 2390 c.c. e segg., articolo 2697 c.c. e L. Fall., articolo 146, per avere la sentenza quantificato il danno nella differenza tra il passivo e l'attivo fallimentare senza considerare il limite giurisprudenziale di suscettibilità di tale criterio, rappresentato dal parametro della liquidazione equitativa solo ove di codesta esistano le condizioni. II. - I motivi, suscettibili di unitario esame, sono fondati. Nessuno dubita che la responsabilità degli amministratori nei confronti della società tale è la fattispecie secondo l'impugnata sentenza abbia natura contrattuale. Ciò non toglie però che la condanna al risarcimento dei danni implica pur sempre la prova del nesso di consequenzialità tra una condotta di mala gestio, addebitata agli amministratori, e il danno occorso alla società. III. - Come chiarito dalle Sezioni unite, nell'azione di responsabilità promossa dal curatore a norma della L. Fall., articolo 146, comma 2, la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all'amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l'attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa, ove però ne sussistano le condizioni, e sempreché il ricorso a esso criterio sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e sempreché, comunque, l'attore abbia allegato un inadempimento dell'amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l'accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell'amministratore medesimo v. Cass. Sez. U. numero 9100-15, Cass. numero 38-17, Cass. numero 13220-21 . IV. - L'impugnata sentenza si pone in contrasto con le coordinate di tale insegnamento. Essa ha mancato di indicare in qual senso gli addebiti mossi riassumibili nella mancata corretta tenuta delle scritture aziendali avessero a porsi in relazione causalistica con fantomatici effetti dannosi dell'attività gestoria. Ha sì menzionato alcuni fatti pagamenti non annotati, prelevamenti, fatture di acquisto e connesse cessioni di merce, incassi in contanti , ma senza tuttavia offrirne un pur minimo significato in termini di nocumento patrimoniale conseguente per la società. A seguire il ragionamento della corte d'appello di Palermo ne verrebbe in vero legittimata una conclusione astratta, esattamente opposta a quella invalsa nella giurisprudenza di questa Corte e cioè che ove faccia difetto la regolarità contabile l'intero deficit fallimentare debba essere automaticamente attribuito ad atti di mala gestio, a prescindere dall'identificazione di tali atti e della loro finanche solo presunta idoneità pregiudizievole. Così non è in quanto pur nell'ambito delle azioni di responsabilità grava sempre, in linea di principio, su chi agisce in giudizio l'onere di fornire la prova del danno e del nesso di causalità materiale tra questo e le condotte che si assumano tenute in violazione di doveri inerenti alle funzioni gestorie svolte dagli amministratori. E la mancanza di scritture contabili, ovvero la sommarietà di redazione di esse o la loro inintelligibilità, non è in sé sufficiente a giustificare la condanna dell'amministratore in conseguenza dell'impedimento frapposto alla prova occorrente ai fini del nesso rispetto ai fatti causativi del dissesto. Essa presuppone, invece, per essere valorizzata in chiave risarcitoria nel contesto di una liquidazione equitativa, che sia comunque previamente assolto l'onere della prova circa la l'esistenza di condotte per lo meno astrattamente causative di un danno patrimoniale sicché il criterio del deficit fallimentare resta sì applicabile, ma soltanto come criterio equitativo, per l'ipotesi di impossibilità di quantificare esattamente il danno in conseguenza dell'affermazione di esistenza della prova - almeno presuntiva - di condotte di tal genere. V. - Il controricorso, per quanto enunciandolo, non contiene alcun ricorso incidentale. VI. - L'impugnata sentenza va cassata con rinvio alla corte d'appello di Palermo, in diversa composizione. La corte d'appello si uniformerà al principio sopra esposto e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia alla corte d'appello di Palermo anche per le spese del giudizio di cassazione.