Messaggi e foto sgradevoli alla moglie che ricomincia a essere preda di ansia e panico: marito condannato per stalking

Fondamentale il racconto fornito dalla donna. Inequivocabile il comportamento tenuto dall’uomo. Rilevanti anche le minacce da lui rivolte ai genitori della moglie.

Messaggi e foto sgradevoli inviate alla moglie che, per questo, ricomincia a soffrire per i disturbi d'ansia che l'avevano già colpita in passato. Inevitabile la condanna del marito, ritenuto colpevole del reato di stalking. A inchiodare l'uomo è anche la paura manifestata dalla donna per sé e per i propri familiari, paura che l'ha spinta a modificare le proprie abitudini di vita. Ricostruita la vicenda, i Giudici di merito condannano, sia in primo che in secondo grado, l'uomo sotto processo, ritenendolo colpevole di stalking ai danni della moglie. Decisivo il riferimento al valore probatorio delle dichiarazioni della donna. Col ricorso in Cassazione l'uomo prova a mettere in discussione la condanna. In questa ottica il suo legale lamenta «la violazione del diritto di difesa», poiché «come evincibile dalla motivazione rassegnata a corredo delle statuizioni civile, che riportava l'inciso “vedere se c'era parte civile”, la redazione della sentenza è stata preconfezionata». Ciò significa, secondo il legale, che vi era «un convincimento del consigliere relatore formatosi prima della discussione orale, tale da costituire ragione di pregiudizio per la strategia difensiva». Allo stesso tempo, l'avvocato contesta «l'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa», anche in merito alla «paternità dei messaggi a lei inviati tramite l'applicazione WhatsApp», e, soprattutto, sostiene che «il riattivarsi delle crisi d'ansia e degli attacchi di panico di cui aveva sofferto in passato la persona offesa non è in rapporto di derivazione causale con i comportamenti dell'uomo, estrinsecatisi nell'invio di una serie di messaggi e di fotografie in un arco temporale di cinque giorni». I Giudici della Cassazione chiariscono, innanzitutto, che anche se «la redazione dei motivi a sostegno della decisione impugnata avesse preceduto la discussione orale», non vi sono riferimenti concreti allo «specifico e reale pregiudizio dei diritti di difesa» subito dall'uomo. E peraltro, aggiungono i Giudici, «non dà luogo neppure a ricusazione del giudice l'avere, quest'ultimo, approntato uno schema o appunto di decisione quale ipotesi di studio sul modo in cui potranno essere risolte le questioni giuridiche sub iudice, ancorché da essa sia desumibile una futura scelta decisoria. Trattasi, difatti, di attività, annoverata tra quelle preparatorie, non preclusa, poiché scevra da insuperabile preconcetto e non implica un sospetto di parzialità». Per quanto concerne l'attendibilità del racconto fatto dalla donna, essa è solida, secondo i Giudici, e «rende priva di pregio la deduzione circa la mancanza di prova certa quanto alla riconducibilità all'uomo dei messaggi ricevuti dalla donna». In questa ottica viene sottolineato che «il riferimento contenuto nei messaggi» ad alcuni peculiari circostanze, come la posizione lavorativa dell'uomo e l'accudimento di alcuni gatti ospitati nella casa della donna, denota «una specifica conoscenza della vita familiare» e certifica che ad inviare i messaggi sia stato l'uomo Per chiudere il cerchio, infine, i Giudici sottolineano che a certificare il reato di atti persecutori compiuto dall'uomo è «non solo la riattivazione degli attacchi di panico di cui la donna ha sofferto in passato», ma anche «il fondato timore» della donna «per l'incolumità propria e dei familiari, alimentato in lei dalle minacce di morte rivolte pure ai suoi genitori, i quali, tra l'altro, avevano subito il danneggiamento della loro autovettura e dello zerbino posto all'ingresso della loro abitazione e trovato bruciato». Tutti questi comportamenti, concludono i Giudici, «si sono riverberati sulle abitudini di vita della donna, la quale, per proteggersi da eventuali aggressioni del marito, si è addirittura fatta accompagnare sul luogo di lavoro dal padre».

Presidente Palla – Relatore Scordamaglia Ritenuto in fatto 1. L.V., tramite il difensore, ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma in data 20 aprile 2021, di conferma della sentenza che in primo grado l'aveva riconosciuto colpevole del delitto di atti persecutori in danno della coniuge M.G. e, per l'effetto, l'aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento del danno subito dalla vittima del reato, costituitasi parte civile. 1.1. Il primo motivo eccepisce la violazione del diritto di difesa, verificatosi perché, come evincibile dalla motivazione rassegnata a corredo delle statuizioni civile, che riportava l'inciso vedere se c'era parte civile , la redazione della sentenza sarebbe stata ‘preconfezionatà, tanto indiziando un convincimento del consigliere relatore formatosi prima della discussione orale, tale da costituire ragione di pregiudizio per la strategia difensiva. 1.2. Il secondo motivo denuncia la violazione dell'articolo 192 c.p.p., e il vizio di motivazione, essendo stati utilizzati a riscontro dell'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa fatti, riferiti dai testi escussi, non oggetto di imputazione ad esempio i danneggiamenti subiti dai familiari della persona offesa ed essendosi ascritta al deducente la paternità dei messaggi inviati alla M. , tramite l'applicazione ‘ omissis ', sulla base di ‘private credenze del giudicè, neppure suffragate dalla certezza circa il tenore del loro contenuto. 1.3. Il terzo motivo denuncia l'erronea applicazione dell'articolo 612-bis c.p., e il vizio di motivazione, da travisamento delle prove dichiarative, posto che l'evento del delitto di atti persecutori contestato al deducente, ossia il riattivarsi delle crisi d'ansia e degli attacchi di panico di cui aveva sofferto in passato la parte offesa, non era in rapporto di derivazione causale con i suoi comportamenti, estrinsecatisi nell'invio di una serie di messaggi e di fotografi in un arco temporale di cinque giorni in ogni caso, difettando l'evento del reato, i comportamenti descritti si sarebbero dovuti sussumere nel delitto di minaccia. 3. Con requisitoria in data 9 marzo 2022, rassegnata ai sensi del D.L. numero 137 del 28 ottobre 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. numero 176 del 18 dicembre 2020, e del D.L. numero 105 del 2021, articolo 1 e 7, il Procuratore Generale, in persona del Sostituto Dottor Luigi Giordano, ha concluso per la declaratoria d'inammissibilità del ricorso. 4. Con memoria trasmessa tramite PEC in data 21 marzo 2022, il difensore della parte civile ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto del ricorso e ha chiesto la rifusione delle spese sostenute dalla parte nel grado. 5. Con memoria trasmessa tramite PEC in data 1° aprile 2022, il difensore del ricorrente ha replicato alle conclusioni del Procuratore Generale chiedendo che siano disattese. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Il primo motivo è generico e manifestamente infondato. Quand'anche vero che la redazione dei motivi a sostegno della decisione impugnata avesse preceduto la discussione orale del gravame, il ricorrente non ha illustrato quale sarebbe lo specifico e reale pregiudizio dei diritti di difesa che gliene è venuto. D'altro canto, è già stato affermato da questa Corte che non dà luogo neppure a ricusazione del giudice, l'avere, questi, approntato uno schema o appunto di decisione quale ipotesi di studio sul modo in cui potranno essere risolte le questioni giuridiche sub iudice, ancorché dalla stessa sia desumibile una futura scelta decisoria trattasi, infatti, di attività, annoverata tra quelle preparatorie non preclusa, perché è scevra da insuperabile preconcetto e non implica un sospetto di parzialità Sez. 5, numero 3751 del 24/09/1989 - dep. 27/02/1990, Rv. 183488 . 2. Il secondo motivo è manifestamente infondato e non consentito in questa sede. 2.1. Ribadito che le regole dettate dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che, peraltro, deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. U, numero 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214 , va riconosciuto che a tale indicazione ermeneutica si è, senz'altro, attenuto il giudice censurato ha, infatti, diffusamente e plausibilmente dato conto, con argomentazione priva di illogicità evidenti, della verifica cui sono state sottoposte, anche dal primo giudice, le dichiarazioni della persona offesa, all'esito stimate intrinsecamente attendibili e, comunque, estrinsecamente riscontrate da una moltitudine di convergenti elementi di riscontro di varia natura dichiarativa, documentale e logica . Devesi, al riguardo, rammentare che la giurisprudenza di legittimità, nel delineare la nozione di elemento di riscontro estrinseco - nella materia propria della chiamata di correità -, ha chiarito che esso si identifica in un dato certo che, pur non avendo la capacità di dimostrare la veridicità del fatto oggetto di dimostrazione, sia tuttavia idoneo ad offrire garanzie obiettive e certe circa l'attendibilità di chi lo ha riferito. Tale dato non deve necessariamente concernere il thema probandum , in quanto esso deve valere solo a confermare ab estrinseco l'attendibilità della propalazione, dopo che questa sia stata attentamente e positivamente verificata nell'intrinseco dunque, poiché la legge non determina nè la specie, nè la qualità dell'elemento che deve supportare o sostenere l'attendibilità estrinseca della chiamata, lo stesso può essere della più varia natura e, quindi, anche di carattere logico. Sez. 4, numero 9509 del 11/05/1993, Rv. 195319 . 2.2. La riscontrata attendibilità del racconto della M. rende priva di pregio la deduzione circa la mancanza di prova certa quanto alla riconducibilità al L. dei messaggi ricevuti dalla stessa. Una volta ritenuto affidabile quanto da lei riferito, ad esempio che il coniuge imputato si fregiasse del suo lavoro presso il Vaticano pag. 3, della sentenza impugnata , il riferimento contenuto nei suddetti messaggi a tale peculiare circostanza e ad altri fatti denotanti una specifica conoscenza della vita familiare l'accudimento dei gatti ospitati nella casa coniugale certifica la loro provenienza dal deducente. Gli ulteriori rilievi in ordine alla trasposizione del contenuto dei messaggi di cui si discute sono, poi, generici, in quanto affidati a mere valutazioni, e non consentiti in questa sede perché protesi a sollecitare una revisione degli apprezzamenti sul tema dedotto compiuti dai giudici di merito. 3. Il terzo motivo è aspecifico. È stato contestato e ritenuto come evento del reato di atti persecutori ascritto all'imputato non solo la riattivazione degli attacchi di panico , di cui la M. aveva sofferto nel passato, sub specie di grave e perdurante stato d'ansia, ma anche il fondato timore per l'incolumità propria e dei familiari, alimentato nella parte offesa dalle minacce di morte rivolte dal deducente pure ai suoi genitori, i quali, tra l'altro, avevano subito il danneggiamento della loro autovettura e dello zerbino trovato bruciato posto all'ingresso della loro abitazione comportamenti, questi, che si erano riverberati, altresì, sulle abitudini di vita della M. , la quale, per proteggersi da eventuali aggressioni del marito, si era fatta accompagnare sul luogo di lavoro dal padre. Ne viene che, poiché per giurisprudenza pacifica di questa Corte il delitto di atti persecutori è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo Sez. 5, numero 29872 del 19/05/2011, Rv. 250399 , una volta non contestata la riconosciuta sussistenza del fondato timore della vittima per l'incolumità propria e dei familiari e l'alterazione delle proprie abitudini di vita, le deduzioni circa l'assenza di nesso di derivazione causale tra la riacutizzazione dei disturbi d'ansia che già affliggevano la persona offesa e le reiterate condotte di minaccia e di molestia del L. sono prive di decisività. I rilievi, infine, circa il numero di tali condotte e il loro dispiegarsi nel tempo, in rapporto alla loro idoneità a determinare l'accertato turbamento esistenziale della M. , sono estranei al perimetro del presente sindacato di legittimità, perché riproduttivi di censure di merito già congruamente esaminate e disattese nella sede loro propria. 4. Segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.510,00, oltre accessori di legge. In ragione della peculiarità della materia e dei rapporti tra le parti, è d'obbligo disporre ai sensi del D.Lgs. numero 196 del 30 giugno 2003, articolo 52 - l'oscuramento, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti del processo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.510,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.