Il potere degli Enti provvisti di Avvocatura e il diritto al compenso

Non è configurabile l’esistenza di un diritto al compenso per effetto diretto della clausola pattizia, che fissa una direttiva che richiede di essere integrata da atti successivi e che non ha ricadute immediate sul rapporto di lavoro .

La Corte d'Appello di Roma, in riforma della pronuncia del Tribunale di Latina, respingeva l'istanza di un avvocato , volta ad ottenere i compensi professionali ai sensi dell'art. 27 CCNL di comparto del 14/09/2020, nonché la retribuzione di posizione e di risultato, per aver svolto le mansioni di responsabile dell' ufficio legale di un Comune . La Corte di merito riteneva che l'art. citato non avesse immediato contenuto precettivo ma necessitasse di ulteriore regolamentazione tra l' Ente e i lavoratori , conseguendone, così, l'assenza di compenso per la professionista. La Corte di Cassazione conferma la pronuncia della Corte di merito. Infatti, l'art. 27 CCNL prevede che gli enti provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'ente, secondo i principi di cui al regio decreto n. 1578/1933 e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui all'art. 10 CCNL del 31/03/1999. Sono fatti savi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'Avvocatura dello Stato prima della stipulazione del presente CCNL . Pertanto, la clausola si limita a demandare alle autonome determinazione degli enti l'adozione di una disciplina specifica in materia di compensi professionali da corrispondere agli avvocati degli uffici di avvocatura formalmente costituiti presso gli stessi . La stessa Corte di Cassazione ha recentemente evidenziato che la clausola collettiva lascia ampio spazio al potere degli Enti , provvisti di Avvocatura, di disciplinare la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'Ente, fermo il rispetto dei principi contenuto nel r.d.l. n. 1578/1933, e al contempo, affida alla contrattazione collettiva decentrata la sola materia del coordinamento tra le due voci retributive accessorie i compensi professionali e la retribuzione di risultato . Non può, quindi, dubitare della natura meramente programmatica della clausola pattizia, sicchè non ne discendono né immediati vincoli a carico della PA né aspettative giuridicamente tutelate in capo all'avvocato dipendente Cass. n. 27316/2021 . Ne consegue che non è configurabile l'esistenza di un diritto al compenso per effetto diretto della clausola pattizia, che fissa una direttiva che richiede di essere integrata da atti successivi e che non ha ricadute immediate sul rapporto di lavoro . Per tutti questi motivi il Collegio rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese processuali.

Presidente Bronzini Relatore Marotta Ritenuto che 1. la Corte d'appello di Roma, con sentenza n. 10428/2014, accoglieva l'impugnazione del Comune di Sabaudia e, in riforma della decisione del Tribunale di Latina, respingeva la domanda proposta dall'avv. C.E., volta ad ottenere i compensi professionali funzioni ed onorari di avvocato ai sensi del C.C.N.L. di comparto 14 settembre 2000, art. 27, nonché la retribuzione di posizione e di risultato di cui al 31 marzo 1999, artt. 8-10, e C.C.N.L. 22 genna 2004, per essere dipendente del Comune categoria D, pos. econ. 2 e per aver svolto dall'8.10.2002 la mansioni di responsabile dell'ufficio legale, difendendo l'Ente in numerose cause con esito positivo, essendo iscritta all'elenco speciale di cui al R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3, u.c., lett. b 2. la Corte territoriale, con riferimento ai compensi professionali di avvocato dell'ente, riteneva che il C.C.N.L. di comparto 14 settembre 2000, art. 27, non avesse immediato contenuto precettivo ma necessitasse di ulteriore regolamentazione tra l'Ente e i lavoratori ed ha ritenuto che, in mancanza di alcuna prova su tale regolamentazione, nessun compenso potesse essere riconosciuto alla lavoratrice riteneva, poi, con riferimento alla retribuzione di posizione e alla retribuzione di risultato, che la previa individuazione degli incarichi di posizione organizzativa e la successiva attribuzione degli stessi fosse attività assolutamente necessaria per ricevere tali emolumenti, in base al C.C.N.L. 22 gennaio 2004, e rilevava che, nello specifico, nessuna posizione organizzativa fosse stata assegnata dall'ente all'avv. C. 3. ricorre per la cassazione della sentenza l'avv. C.E. sulla base di sei motivi, a cui il Comune di Sabaudia ha resistito con controricorso 4. entrambe le parti hanno depositato memorie. Considerato che 1. con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112,342,434 e 437 c.p.c. , ex art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4 censura la sentenza impugnata per essere incorsa nel vizio di ultrapetizione, in totale autonomia rispetto ai motivi di appello proposti dal Comune di Sabaudia ove non si censurava la ratio decidendi della sentenza di primo grado del riconosciuto diritto ai compensi professionali 2. il motivo è infondato la Corte territoriale ha ritenuto, interpretando in particolare i motivi terzo e quarto dell'appello del Comune, che gli stessi investissero sia pure sotto l'indiretto angolo visuale della motivazione e della prova, l'an delle pretese ed allora, va fatta applicazione del principio già affermato da questa Corte in tema di poteri - doveri del giudice d'appello, secondo il quale, quando dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni contenute nell'atto di appello risulti la volontà di sottoporre l'intera controversia al giudice dell'impugnazione, questi è tenuto a riesaminare anche quelle parti della sentenza di primo grado che non abbiano, a differenza di altre, formato oggetto di specifica trattazione nel suddetto atto, in quanto comunque coinvolte nell'integrale impugnazione della prima pronuncia Cass. 20 luglio 2010, n. 17013 Cass. 22 agosto 1997, n. 7888 3. con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dei canoni ermeneutici di cui all' art. 1362 c.c. , e ss., con riferimento al C.C.N.L. 14 settembre 2000, art. 27, per il personale di comparto delle regioni e delle autonomie loca li, ex art. 360 c. p.c., comma 1, n. 3 sostiene che la decisione della Corte territoriale è errata perché il C.C.N.L., art. 27, è direttamente precettivo e non ha bisogno di alcuna ulteriore regolamentazione ai fini dei compensi professionali dovuti secondo i principi della legge professionale per le cause concluse con sentenza favorevole all'Ente sostiene che non ci sia alcun dubbio sull'an del diritto al compenso professionale e che sul quantum il rinvio operato dalla contrattazione collettiva è circoscritto ai principi della legge professionale , così come letteralmente previsto dall'art. 27 cit. 4. con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del C.C.N.L. 14 settembre 2000, art. 27, per il personale di comparto delle regioni e delle autonomie loca li, ex art. 360 c. p.c., comma 1, n. 3 sostiene, in linea con il precedente motivo, di aver ricevuto la gestione del servizio di avvocatura affari legali-contenzioso con nomina a Responsabile di tale servizio dal Sindaco del Comune di Sabaudia e che, pertanto, sussistono tutti i requisiti previsti dalla contrattazione per ottenere il compenso professionale richiesto 5. con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del C.C.N.L. 14 settembre 2000, art. 27, per il personale di comparto delle regioni e delle autonomie locali anche per violazione e falsa applicazione d ell'art. 36 C os t., ex art. 360 c. p.c., comma 1, n. 3 assume che vi è stata violazione del principio di corrispettività tra la quantità e la qualità di lavoro prestato e la retribuzione percepita sostiene che il compenso professionale di cui all'art. 27, dipende dalla doppia identità dell'avvocato dipendente pubblico tra autonomia e subordinazione ossia tra l'essere professionista e impiegato dell'Ente rileva che il professionista dipendente ha diritto, oltre alla retribuzione ricollegabile allo stipendio tabellare, ad una quota di compensi per l'attività professionale prestata all'Ente che è sia cliente sia datore di lavoro, e che tali compensi hanno evidente natura retributiva 6. i suddetti motivi secondo, terzo e quarto sono infondati 6.1. il C.C.N.L. 14 settembre 2000, art. 27, così prevede Gli enti provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'ente, secondo i principi di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui al C.C.N.L. 31 marzo 1999, art. 10. Sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione del presente C.C.N.L. la clausola, dunque, si limita a demandare alle autonome determinazioni degli enti l'adozione di una disciplina specifica in materia di compensi professionali da corrispondere agli avvocati degli uffici di avvocatura formalmente costituiti presso gli stessi a tal fine gli enti devono tenere conto dei principi stabiliti dal R.D. n. 1578 del 1933, per la corrispondente regolamentazione degli avvocati dello Stato si tratta di una disciplina unilaterale dell'ente, dato che non è previsto in alcun modo l'intervento della contrattazione integrativa questa è legittimata solo a determinare l'eventuale correlazione tra tali compensi e la retribuzione di risultato, nel caso si tratti di avvocati non dirigenti ma titolari di posizione organizzativa 6.2. con riferimento ad entrambi i profili dei compensi e della correlazione tra questi e la retribuzione di risultato , dunque, la norma pattizia non costituisce alcun obbligo a carico dell'ente, segnando solo una linea programmatica se le parti contraenti avessero inteso impegnare direttamente la Pubblica Amministrazione, la formulazione della clausola avrebbe avuto altro contenuto, con la qualificazione in termini di obbligatorietà della condotta e la fissazione di una tempistica rigorosa per l'adempimento in particolare, l'utilizzo del verbo disciplina , tanto con riferimento ai compensi quanto con riferimento al coordinamento di detti compensi con la retribuzione di risultato, pone in evidenza che le parti contraenti hanno inteso rimettere rispettivamente all'Ente ed alla futura contrattazione decentrata integrativa la regolamentazione degli indicati aspetti ciò è stato posto in rilievo da Cass. 7 ottobre 2021, n. 27316 che ha evidenziato che il chiaro ed univoco tenore letterale attesta che la clausola collettiva lascia ampio spazio al potere degli Enti, provvisti di Avvocatura, di disciplinare la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'Ente, fermo il rispetto dei principi contenuti nel R.D.L. n. 1578 del 1933, e, al contempo, affida alla contrattazione collettiva decentrata la sola materia del coordinamento tra le due voci retributive accessorie i compensi professionali e la retribuzione di risultato 6.3. ed allora non può dubitarsi della natura meramente programmatica della clausola pattizia, sicché non ne discendono né immediati vincoli a carico della Pubblica Amministrazione né aspettative giuridicamente tutelate in capo all'avvocato dipendente 6.4. d'altra parte se le parti sociali avessero inteso, quantomeno con riferimento ai compensi professionali, prevedere la diretta corresponsione sulla base del R.D.L. n. 1578 del 1933, lo avrebbero fatto espressamente senza rimettere alla regolamentazione dell'Ente la disciplina pur da adottarsi secondo i principi di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, e che non vi sia stata una volontà nel senso di una diretta applicabilità del suddetto R.D.L., è reso palese dalla previsione dell'ultima parte dell'art. 27, secondo cui sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione del presente C.C.N.L. e' proprio la suddetta salvezza di effetti che dimostra come, per il futuro, occorresse una specifica regolamentazione 6.5. in conseguenza non è configurabile l'esistenza di un diritto al compenso per effetto diretto della clausola pattizia, che, come detto fissa una direttiva che richiede di essere integrata da atti successivi e che, pertanto, non ha ricadute immediate sul rapporto di lavoro tale diritto, e la sua lesione giuridicamente rilevante, sarebbe stato, nello specifico, sussistente in presenza di una norma pattizia o regolamentare che avesse espressamente riconosciuto quel diritto ed in presenza di un preciso obbligo inadempiuto in linea con questa interpretazione, questa Corte di legittimità ha già affermato, in passato, che il dipendente di un ente pubblico con mansioni di dirigente che svolga abitualmente, per espressa previsione contrattuale, anche l'attività di difesa in giudizio dell'ente non ha diritto a percepire, oltre alla normale retribuzione, anche onorari e competenze per l'attività professionale svolta, salvo che esista una disposizione amministrativa o una clausola contrattuale in tal senso cfr. Cass. 8 agosto 2006, n. 17941 , nel cui solco si colloca anche la sopra citata Cass. n. 27316/2021 6.6. nel caso in esame è la stessa Corte territoriale ad affermare che la lavoratrice non ha affatto provato che regolamentazioni di alcun tipo fossero state adottate dal Comune di Sabaudia , il che, come correttamente affermato, osta al riconoscimento delle spettanze rivendicate a titolo di compensi 6.7. né, invero, risulta che siano stati forniti dalla ricorrente gli elementi necessari per verificare la inadeguatezza del trattamento economico complessivamente ricevuto, rispetto al parametro di cui all' art. 36 Cost. va, peraltro, ricordato che, in termini generali, il giudizio sulla conformità al parametro dell' art. 36 Cost. , non può essere svolto in relazione a singoli istituti, né limitatamente a periodi brevi, poiché si deve valutare l'insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza, alla luce del canone della onnicomprensività Corte Costituzionale n. 154 del 2014 e n. 178 del 2015, n. 310 del 213 7. con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del C.C.N.L., artt. 8,9 e 10, comparto regioni ed autonomie locali in relazione alla revisione del sistema di classificazione del personale del 31.3.1999 e del C.C.N.L. del personale del comparto regioni e autonomie locali 22 gennaio 2004, art. 10, anche per violazione e falsa applicazione de gli artt. 11 5 e 116 c. p.c., e dell' art . 414 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 censura la decisione impugnata per non aver considerato la nota dell'1.10.2002 prot. n. 12, con la quale il Sindaco la aveva nominata Responsabile del servizio affari legali sostiene di aver svolto il relativo incarico e raggiunto gli obiettivi assegnati e di conseguenza di aver diritto alla retribuzione di posizione rileva che il Comune aveva individuato i Responsabili di settore, nominati dal Sindaco, e che agli stessi competeva la retribuzione di posizione e quella di risultato ai sensi della normativa del contratto collettivo, come desumile dal Regolamento sull'ordinamento degli uffici assume che, alla luce delle mansioni svolte e dei risultati ottenuti, aveva diritto alla retribuzione di risultato e alla retribuzione di posizione prevista dalla contrattazione per l'incarico di posizione organizzativa 8. con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del C.C.N.L. comparto regioni ed autonomie locali in relazione alla revisione del sistema di classificazione del personale 31 marzo 1999, artt. 8, 9 e 10, e del C.C.N.L. del personale del comparto regioni e autonomie locali 22 gennaio 2004, art. 10, anche per violazione e falsa applicazio ne dell'art. 36 Cost., ex art. 36 0 c.p.c., comma 1, n. 3 la ricorrente denuncia l'interpretazione data dalla Corte alla contrattazione collettiva per l'assurdo risultato a cui giunge ossia quello di legittimare, ipoteticamente, un comportamento illegittimo dell'Ente che potrebbe non retribuire il personale per il solo fatto di non qualificare formalmente l'incarico come posizione organizzativa, nonostante l'attività lavorativa prestata dal professionista a favore dell'Ente sostiene che tale interpretazione non è conforme alla giurisprudenza di legittimità che, a prescindere dalla irregolarità eventuale dell'atto di assegnazione a mansioni superiori, e quindi a prescindere dall'incarico formale di posizione organizzativa, riconosce il diritto ad una retribuzione proporzionata all'attività effettivamente prestata 9. anche i suddetti motivi quinto e sesto sono infondati 9.1. la Corte territoriale ha accertato che all'avv. C. non è stata attribuita alcuna posizione organizzativa ed anzi precisato che l'ente non aveva determinato posizioni organizzative o quantomeno che la ricorrente non ne aveva dato prova, e quindi conclude affermando che alla stessa non poteva essere riconosciuta alcuna retribuzione di posizione e/o di risultato 9.1. il ragionamento è corretto ed infatti, l'istituto delle posizioni organizzative è rimesso alle autonome determinazioni dell'ente sia per ciò che concerne il numero delle stesse sia per ciò che concerne la loro distribuzione all'interno delle diverse strutture nessuna pretesa può, dunque, essere avanzata dai singoli dipendenti in quanto il conferimento del relativo incarico deve avvenire sulla base di una disciplina specificamente adottata da ogni amministrazione 9.2. in particolare, il C.C.N.L. 31 marzo 1999, art. 8, Area delle posizioni organizzative prevede che 1. Gli enti istituiscono posizioni di lavoro che richiedono, con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato a lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa b lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o alla iscrizione ad albi professionali c lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo caratterizzate da elevate autonomia ed esperienza. 2. Tali posizioni, che non coincidono necessariamente con quelle già retribuite con l'indennità di cui al C.C.N.L. 6 luglio 1995, art. 37, comma 4, possono essere assegnate esclusivamente a dipendenti classificati nella categoria D, sulla base e per effetto d'un incarico a termine conferito in conformità alle regole di cui all'art. 9 il successivo art. 9, Conferimento e revoca degli incarichi per le posizioni organizzative invece dispone che 1. Gli incarichi relativi all'area delle posizioni organizzative sono conferiti dai dirigenti per un periodo massimo non superiore a 5 anni, previa determinazione di criteri generali da parte degli enti, con atto scritto e motivato e possono essere rinnovati con le medesime formalità. Per il conferimento degli incarichi gli enti tengono conto - rispetto alle funzioni ed attività da svolgere - della natura e caratteristiche dei programmi da realizzare, dei requisiti culturali posseduti, delle attitudini e della capacità professionale ed esperienza acquisiti dal personale della categoria D l'istituzione di una posizione organizzativa da parte dell'ente in un servizio rientra, dunque, nella piena discrezionalità organizzativa dell'amministrazione così come l'attribuzione dell'incarico a uno specifico dipendente il C.C.N.L., art. 10, Retribuzione di posizione e retribuzione di risultato regola il trattamento economico accessorio connesso alla titolarità della posizione organizzativa, distinguendolo in retribuzione di posizione e retribuzione di risultato e specificando che tale trattamento assorbe tutte le competenze accessorie e le indennità previste dal vigente contratto collettivo nazionale, compreso il compenso per il lavoro straordinario, secondo la disciplina del C.C.N.L. per il quadriennio 1998 - 2001 infine, il C.C.N.L., art. 16, Relazioni sindacali prevede procedure di concertazione tra gli enti e rappresentanze sindacali con riguardo alla definizione dei criteri generali per la disciplina tra le altre materie della valutazione delle posizioni organizzative e relativa graduazione delle funzioni, del conferimento degli incarichi relativi alle posizioni organizzative e relativa valutazione periodica in termini non diversi si è espresso il C.C.N.L. 22 gennaio 2004, che all'art. 10, Valorizzazione delle alte professionalità ha previsto, al comma 1, che gli enti valorizzano le alte professionalità del personale della categoria D mediante il conferimento di incarichi a termine nell'ambito della disciplina del C.C.N.L. 31 marzo 1999, art. 8, comma 1, lett. b e c , con l'osservanza di quanto previsto del medes imo C.C.N.L., artt . 9, 10 , e 11, e stabilito, al successivo comma 3, che gli enti adottano atti organizzativi di diritto comune, nel rispetto del sistema di relazioni sindacali vigente, volti alla preventiva disciplina dei criteri e delle condizioni per la individuazione delle competenze e responsabilità di cui agli incarichi ed il relativo affidamento nonché per la individuazione dei criteri utili per la quantificazione dei valori della retribuzione di posizione e di risultato e per la definizione dei criteri e delle procedure destinate alla valutazione dei risultati e degli obiettivi, nell'ambito del vigente sistema di controllo interno anche la valorizzazione delle alte professionalità di cui al C.C.N.L. 2002-2005, art. 10, avviene, dunque, pur sempre nell'ambito della disciplina del C.C.N.L., art . 8, comma 1, lett. b e c , precedente e nel rispetto delle altre disposizioni di tale C.C.N.L. e, quindi, contempla comunque, per la parte datoriale pubblica, ferma la necessità di una istituzione formale, la facoltà e non l'obbligo tanto dell'attribuzione degli incarichi quanto del rinnovo di quelli eventualmente già conferiti v. Cass. 10 luglio 2015, n. 14472 la suddetta disciplina è rimasta in vigore ai sensi del C.C.N.L. 2006-2009, art. 1, comma 5, dell'11 aprile 2008 9.3. tale essendo il sistema voluto dalle parti sociali, la censura avente ad oggetto la richiesta della retribuzione derivante da p.o. viene proposta dalla ricorrente senza considerare che in assenza di un'istituzione da parte dell'ente locale con le procedure previste dal C.C.N.L. delle posizioni organizzative, nonché in assenza di conferimento dello specifico incarico al dipendente circostanze, queste, irretrattabilrnente accertate dalla Corte territoriale che ha affermato che, nel Comune di Sabaudia, al sevizio Avvocatura non risulta corrispondere una posizione organizzativa, mai pertanto assegnata alla C. , sia impossibile riconoscere qualsivoglia effetto economico proprio delle posizioni organizzative previste dalla contrattazione collettiva 9.4. vanno sul punto richiamati i principi già affermati da questa Corte di legittimità con riferimento alla natura delle posizioni organizzative ed alle condizioni che devono ricorrere affinché la relativa indennità possa essere rivendicata dal dipendente, evidenziandosi, da un lato, che condizione imprescindibile perché il diritto possa venire ad esistenza è l'istituzione delle posizioni stesse, da effettuare all'esito delle procedure previste dalle parti collettive si vedano, per il comparto degli enti pubblici non economici, Cass. 15.10.2013 n. 23366 e Cass. 18.12.2015 n. 23366 e, dall'altro, quanto alla natura dell'istituto, che la posizione organizzativa non determina un mutamento di profilo professionale, che rimane invariato, né un mutamento di area, ma comporta soltanto un mutamento di funzioni, le quali cessano al cessare dell'incarico si tratta, in definitiva, di una funzione ad tempus di alta responsabilità la cui definizione - nell'ambito della classificazione del personale di ciascun comparto - è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva Cass., Sez. Un., 18 giugno 2008, n. 16540 e Cass. 15 ottobre 2015, n. 20855 in tema di posizioni organizzative per il comparto degli enti locali si veda anche Cass. 3 aprile 2018, n. 8141 in tema di posizioni organizzative per il comparto degli enti pubblici non economici e' stato precisato anche che l'esclusiva rilevanza da attribuire all'atto costitutivo delle posizioni organizzative, adottato discrezionalmente, comporta che è da escludere che prima dell'adozione di tale atto sia configurabile un danno da perdita di chance per il dipendente che assuma l'elevata probabilità di essere destinatario dell'incarico e l'irrilevanza, ai suddetti fini, di eventuali atti preparatori endoprocedimentali nonché dell'espletamento di fatto di mansioni assimilabili a quelle della posizione non istituita Cass. 29 maggio 2015, n. 11198 Cass. 15 giugno 2018, n. 15902 proprio in relazione alla disciplina dettata dal C.C.N.L. 31 marzo 1999, di revisione del sistema di classificazione del personale per il comparto delle regioni e delle autonomie locale e' stato altresì affermato che, in tema di lavoro pubblico negli enti locali, il C.C.N.L. 31 marzo 1999, art. 8, nel prevedere la istituzione delle posizioni organizzative, pur non imponendo, come il contratto collettivo del comparto sanitario, che tali posizioni siano costituite secondo le esigenze di servizio , non stabilisce un obbligo incondizionato per la P.A., atteso che tale attività rientra nelle funzioni organizzative dell'ente che, in via generale, e a prescindere dalle previsioni contrattuali, deve tener conto delle proprie esigenze e dei vincoli di bilancio che, altrimenti, non risulterebbero rispettat i Cass. n. 11198/ 2015 cit. tutti gli indicati principi sono stati di recente ribaditi da Cass. 9 novembre 2021, n. 32950 sempre con riferimento al C.C.N.L. enti locali 9.5. anche con riferimento alle posizioni organizzative si è fuori dall'ambito di protezione della retribuzione proporzionata e sufficiente di cui all' art. 36 Cost. , e si richiama quanto già evidenziato al punto sub 6.7. che precede 10. il ricorso va, quindi, respinto 11. la particolarità e, in parte, novità delle questioni trattate consente di compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità 12. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020 , della sussistenza delle condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma-1 quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma-1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.