Reddito adeguato per l’ex moglie: ella ha comunque diritto all’assegno divorzile per gli anni di matrimonio dedicati alla cura della famiglia

Seppur in misura ridotta, viene confermato l’obbligo dell’uomo di versare l’assegno all’ex moglie. Decisivo il riferimento al contributo offerto dalla donna, nei primi anni di matrimonio, alla conduzione della famiglia e all’accudimento dei figli. E comunque, sottolineano i giudici, durante il matrimonio l’ex marito ha potuto svolgere appieno la propria attività lavorativa, proprio grazie all’impegno a casa della donna.

Confermato l' assegno divorzile per l'ex moglie che vanta sì un reddito adeguato ma, osservano i giudici, ha comunque sacrificato le proprie prospettive di lavoro nei primi anni di matrimonio, occupandosi della famiglia e consentendo all'allora coniuge di dedicarsi anima e corpo alla professione. In primo grado, i giudici, preso atto dell'intervenuta cessazione degli effetti civili del matrimonio tra Michele e Rosaria – nomi di fantasia –, sanciscono che l'uomo deve «pagare la somma mensile di 300 euro a favore dell'ex moglie a titolo di assegno divorzile». Ciò, precisano, sulla base della «documentata differenza tra la situazione patrimoniale di Rosaria, che è priva di beni immobili e percepisce uno stipendio mensile di 1.450 euro, pagando un canone di locazione, e quella di Michele, che è proprietario di immobili e percepisce un reddito mensile netto pari a 2.600 euro». Per chiudere il cerchio, infine, i giudici di primo grado pongono in evidenza « il contributo della ex moglie alla conduzione familiare nel quasi trentennio di durata del matrimonio, contributo che ha giovato all'uomo nello svolgimento della sua attività lavorativa». In secondo grado, però, Michele ottiene una piccola vittoria vede ridotto a 150 euro l'assegno divorzile che deve versare ogni mese a Rosaria. Per i giudici d'Appello non è in discussione la consistenza patrimoniale degli ex coniugi. A sancire il diritto dell'ex moglie a vedersi riconosciuto l'assegno divorzile è soprattutto il fatto che ella, pur percependo oggi «un reddito sufficiente a garantirle un livello di vita adeguato», «ha allevato quattro figli, rimanendo assente dal lavoro per circa sette anni e lavorando successivamente quale bidella per poi acquisire le mansioni di impiegata». Inutile il ricorso proposto in Cassazione da Michele. Impossibile, sanciscono i giudici di terzo grado, ipotizzare una revoca dell'assegno divorzile riconosciuto a Rosaria. In sostanza, «l'assegno riconosciuto all'ex moglie, e dimezzato nell'importo» in Appello, è comunque «legittimo alla luce della funzione perequativo-compensativa che tale assegno ha assunto», pur percependo la donna, in questo caso, «un reddito idoneo a garantirle un livello di vita adeguato». Decisivo è il riferimento al «contributo fornito dalla donna, nei primi sette anni di matrimonio, alla conduzione della famiglia e all'accudimento dei figli». In aggiunta, poi, viene sottolineato che «anche negli anni successivi ella, pur svolgendo attività lavorativa, si è sempre occupata dei figli, mentre l'ex marito ha potuto svolgere appieno la propria attività lavorativa».

Presidente Acierno - Relatore Caiazzo Rilevato in fatto che Con sentenza del 22.5.19, il Tribunale di Verona, preso atto dell'intervenuta cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti, pose a carico di A.L. l'obbligo di pagare la somma mensile di Euro 300,00 a favore di P.P. a titolo di assegno divorzile, sulla base della documentata differenza tra la situazione patrimoniale della ricorrente P. la quale priva di beni immobili, percepiva lo stipendio mensile di Euro 1450,00 pagando un canone di locazione e quella dell'ex-marito il quale, proprietario d'immobili, percepiva un reddito mensile netto pari a Euro 2600,00 e considerando il contributo dell'ex-moglie alla conduzione familiare nel quasi trentennio di durata del matrimonio, che aveva giovato all'A. nello svolgimento della sua attività lavorativa. Avverso tale sentenza propose appello A.L. lamentando la violazione della L. numero 898 del 1970, articolo 5, comma 6, contestando i criteri seguiti dal Tribunale per la determinazione dell'assegno divorzile, per aver egli versato all'ex-moglie la somma di Euro 65000,00 utilizzata per l'acquisto, attraverso un mutuo, della proprietà dell'immobile destinato a casa coniugale, cointestato ad entrambi i coniugi, e per aver diviso con la stessa la somma di Euro 15.000 ,00. Con sentenza dell'8.11.19, la Corte d'appello, in accoglimento parziale dell'appello, ridusse l'assegno divorzile nella somma di Euro 150,00 mensili, osservando che erano irrilevanti la cessione della quota di comproprietà immobiliare alla P. e i prestiti contratti da entrambe le parti, atteso che tale cessione consisteva in una mera trasformazione di ricchezza in quanto lasciava invariata la consistenza patrimoniale delle parti sussisteva il diritto della P. all'assegno divorzile la quale, sulla premessa di percepire un reddito appena sufficiente a garantirle un livello di vita adeguato, aveva allevato quattro figli, rimanendo assente dal lavoro per circa sette anni, lavorando successivamente quale bidella per poi acquisire le mansioni di impiegata. A.L. ricorre in cassazione con due motivi, illustrati con memoria. Non si è costituita la P Ritenuto in diritto che Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. numero 898 del 1970, articolo 5, comma 6, per non aver la Corte d'appello accolto l'istanza di revoca dell'assegno divorzile per l'insussistenza della funzione assistenziale dell'assegno, adottando al riguardo una motivazione contraddittoria, avendo cioè riconosciuto l'assegno divorzile, seppure dimezzato, pur affermando l'adeguatezza dei redditi dell'ex-moglie. Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione del medesimo articolo 5, per aver la Corte d'appello errato nel riconoscere una sperequazione rilevante tra la situazione reddituale degli ex-coniugi, pur non avendo l'appellata dimostrato i sacrifici patiti, ovvero l'essersi sacrificata per la famiglia, apportando un contributo positivo alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge, ciò anche per l'omessa prova della possibilità che avrebbe avuto di svolgere un'attività lavorativa migliore se non avesse interrotto il lavoro che svolgeva, tenendo altresì conto che l'accudimento dei figli non aveva precluso alla stessa P. la propria attività lavorativa impiegatizia secondo la progressione in ruolo. Al riguardo, il ricorrente adduce altresì che in sede di separazione, per comune accordo tra le parti, gli fu affidato il figlio minorenne. I due motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono infondati. Invero, va osservato che, in materia di assegno divorzile, il giudizio sull'adeguatezza dei redditi degli ex coniugi - cui consegue nell'ipotesi di accertato squilibrio determinato dallo scioglimento del vincolo, l'operatività del meccanismo compensativo-retributivo per l'attribuzione e determinazione in concreto - deve essere improntato al criterio dell'effettività, con valutazione da svolgersi all'attualità e non in forza di un giudizio ipotetico, le cui premesse, quanto alla loro verificabilità, restino incerte, o si fondino su un ragionamento ipotetico i cui esiti vengano ricalcati su pregressi contesti individuali ed economici, non più rispondenti a quello di riferimento Cass., numero 35710/21 . È stato altresì affermato che, nel valutare la spettanza dell'assegno divorzile si deve tenere conto della funzione non solo assistenziale ma anche perequativa e compensativa di tale contributo ovvero, i vari criteri sono da ritenere equiordinati, essendo lo squilibrio economico-reddituale una precondizione di fatto della decisione sulla spettanza dell'assegno divorzile sicché, ove il coniuge richiedente, dopo essersi dedicato nei primi anni del matrimonio esclusivamente alla famiglia, abbia intrapreso un'attività lavorativa a tempo parziale, occorre accertare il momento in cui è maturata tale decisione e le ragioni della stessa, nonché verificare se essa sia stata effettuata in autonomia o concordata con l'altro coniuge e se l'attività sia stata fin dall'origine a tempo parziale, considerando infine se, anche in relazione all'età del richiedente, detta scelta debba considerarsi ormai irreversibile, oppure se quest'ultimo possa ancora incrementare il proprio reddito, optando per la prestazione di lavoro a tempo pieno Cass., numero 23318/21 . È stato ancora rilevato che la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi Cass., SU, numero 18287/18 numero 24250/21 . Orbene, nel caso concreto, in applicazione dei principi suddetti, il collegio ritiene di discostarsi dall'orientamento minoritario, richiamato dal ricorrente, secondo il quale pur dopo la predetta pronuncia delle SU del 2018, risulterebbe confermata l'imprescindibile finalità assistenziale dell'assegno divorzile, con la quale può concorrere, a determinate condizioni, quella compensativa in tal senso Cass., numero 24934/19 peraltro, il suddetto orientamento è stato superato con successive pronunce Cass., numero 5603/20 Cass., numero 24250/21 numero 38362/21 . Infatti, l'assegno riconosciuto alla ricorrente, dimezzato nell'importo, è legittimo alla luce della funzione perequativo-compensativa che tale assegno ha assunto alla stregua dell'orientamento di legittimità richiamato, pur percependo l'ex-moglie un reddito idoneo a garantirle un livello di vita adeguato. Al riguardo, la Corte territoriale ha ben argomentato sul contributo fornito dalla ricorrente nei primi sette anni di vita alla conduzione della famiglia e all'accudimento dei figli, ed anche negli anni successivi, durante i quali ha svolto attività lavorativa, si è sempre occupata dei figli, mentre l'ex-marito ha potuto svolgere appieno la propria attività lavorativa. Nulla per le spese, considerata la mancata costituzione della parte intimata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti in esso menzionati, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 5 2.