Il vizio del ricorso privo di firma digitale non configura una causa di nullità bensì una mera irregolarità sanabile ai sensi dell’articolo 44, comma 2, c.p.a. A fronte del mancato deposito del ricorso notificato e della tempestiva ri notificazione dello stesso, non può parlarsi di c.d. consumazione del potere di impugnazione.
La vexata quaestio Con ordinanza 25 ottobre 2021, numero 7138, la IV Sezione del Consiglio di Stato deferiva all'Adunanza Plenaria la “questione interpretativa relativa all'eccezione pregiudiziale di improcedibilità dell'appello principale” sollevata dall'appellante incidentale in virtù del fatto che il ricorso fosse stato depositato oltre il termine di decadenza di trenta giorni ex articolo 94 “Deposito delle impugnazioni” e 45 c.p.a. “Deposito del ricorso e degli altri atti processuali” . In particolare, l'appello principale, inizialmente notificato senza l'apposizione della firma digitale e non depositato, era stato nuovamente notificato - previa rituale sottoscrizione - entro la scadenza del relativo termine e, tuttavia, la sua iscrizione a ruolo era avvenuta oltre il suddetto termine decadenziale, decorrente - secondo l'appellante incidentale - dalla data della prima notificazione. La decisione dell'Adunanza Plenaria Investita della “questione relativa alla corretta interpretazione delle disposizioni e dei principi che regolano le impugnazioni”, l'Adunanza Plenaria ha chiarito in primis l'estraneità della vicenda de qua al paradigma della c.d. consumazione del potere di impugnazione, stante l'assenza dei relativi presupposti. Invero, il mancato deposito del ricorso a seguito della prima notificazione impedisce l'instaurazione della litispendenza e, per l'effetto, la facoltà di impugnazione non può ritenersi esercitata rectius, “consumata” . Inoltre, “l'identità testuale – quanto al petitum ed alla causa petendi – degli atti notificati” non consente di configurare una successione di diversi mezzi di gravame, “essendosi semplicemente in presenza di una reiterata notifica del medesimo atto”, giudicata del tutto irrilevante. Ciò in quanto “la predisposizione ed il deposito del ricorso in formato non digitale”, seppur non conformi alle disposizioni dettate sul punto dall'articolo 136, comma 2-bis, c.p.a. e dall'articolo 9, comma 1, D.P.C.M. 16 febbraio 2016, numero 40 “Regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico” , comunque non incorrono – a detta del Supremo Consesso Amministrativo – in espressa comminatoria legale di nullità, ai sensi dell'articolo 156 c.p.c. “Rilevanza della nullità” . Oltretutto, il ricorso “avrebbe comunque raggiunto il suo scopo tipico ex articolo 156, comma 3, c.p.c. , essendone certa l'attribuibilità ad un soggetto determinato e la natura di strumento deputato alla chiamata in causa ed alla articolazione delle proprie difese”. Pertanto, l'Adunanza Plenaria ha ritenuto di qualificare “il vizio del ricorso depositato pur privo di firma digitale come un'ipotesi di mera irregolarità sanabile, con conseguente applicabilità del regime di cui all'articolo 44, comma 2, c.p.a. che prevede la fissazione, da parte del giudice, di un termine perentorio entro il quale la parte deve provvedere alla regolarizzazione dell'atto, nelle forme di legge ”, contemplando, peraltro, la possibilità che il ricorrente provveda “direttamente a rinotificare l'atto con firma digitale, ancor prima che il giudice ordini la rinnovazione della notifica”. Ne deriva quindi che, “nel caso di plurime notifiche dell'atto volte ad emendare vizi dello stesso”, il termine per il deposito del ricorso ex articolo 94 e 45 c.p.a. deve farsi decorrere non dalla data della prima notificazione bensì “dalla data dell'effettiva notifica dello specifico atto concretamente depositato”. Considerazioni e spunti di riflessione In disparte i rilevanti principi enunciati dall'Adunanza Plenaria in merito alla c.d. consumazione del potere di impugnazione, il presente contributo intende approfondire l'ulteriore profilo relativo alla mancata sottoscrizione del ricorso con firma digitale. Al riguardo, con la pronuncia in commento, il Supremo Consesso Amministrativo ha chiarito che la firma digitale – seppur obbligatoria dal 1° gennaio 2017 data di entrata in vigore del PAT – deve essere qualificata come un requisito formale, la cui inosservanza dà luogo non alla nullità dell'atto bensì ad una mera irregolarità, in quanto tale, sanabile “spontaneamente” dalla parte ovvero entro il termine fissato all'uopo dal Giudice ai sensi dell'articolo 44, comma 2, c.p.a. “Vizi del ricorso e della notificazione” . L'Adunanza Plenaria ha così inteso valorizzare il principio di conservazione degli atti e, in particolare, la regola generale ex articolo 156 c.p.c. – applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno operato dall'articolo 39 c.p.a. - secondo cui la nullità dell'atto processuale - che deve essere comminata dalla legge – viene sanata laddove quest'ultimo si sia rivelato comunque idoneo al raggiungimento dello scopo. Tuttavia, la soluzione ermeneutica proposta dal Giudice Amministrativo sembrerebbe non essere la sola giuridicamente possibile alla luce i di una lettura sistematica delle disposizioni dettate in materia di PAT, promossa da parte della giurisprudenza di merito, e ii delle differenti – se non proprio contrapposte – interpretazioni offerte, mutatis mutandis, dalla Giustizia Civile e Tributaria in materia di processo telematico. Una diversa interpretazione delle disposizioni dettate in materia di PAT In particolare, quanto al PAT, secondo l' attuale articolo 136 c.p.a. “Disposizioni sulle comunicazioni e sui depositi informatici” , “tutti gli atti … delle parti sono sottoscritti con firma digitale” cfr. comma 2-bis . Dunque, la sottoscrizione digitale degli atti non è più una facoltà delle parti, com'era invece nel regime anteriore al 1° gennaio 2017 infatti, secondo la formulazione pro-tempore vigente del comma 2-bis cit., “tutti gli atti … delle parti possono essere sottoscritti con firma digitale”. Più in generale, secondo l'articolo 136, comma 2, c.p.a., “i difensori … depositano tutti gli atti e i documenti con modalità telematiche”. Di tenore analogo è l'articolo 13, comma 1-ter, disp. att. c.p.a. i.e. Allegato 2 del d.lgs. 2 luglio 2010, numero 104 , ai cui sensi, “tutti gli adempimenti previsti dal codice e dalle norme di attuazione inerenti ai ricorsi depositati … dal 1° gennaio 2017 sono eseguiti con modalità telematiche, secondo quanto disciplinato nel decreto di cui al comma 1”, vale a dire nel D.P.C.M. 16 febbraio 2016, numero 40 “Regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico” . Al riguardo, il Regolamento prevede espressamente che “il ricorso introduttivo … e qualsiasi altro atto del processo … sono redatti in formato di documento informatico sottoscritto con firma digitale conforme ai requisiti di cui all'articolo 24 del CAD” cfr. articolo 9, comma 1, D.P.C.M. numero 40/2016 . Come visto, la norma richiama l'articolo 24 “Firma digitale” del Codice dell'Amministrazione Digitale CAD di cui al d.lgs. 7 marzo 2005, numero 82, a cui rinvia – in termini generali – l'articolo 3 “Organizzazione del Sistema Informativo della giustizia amministrativa” del D.P.C.M. numero 40/2016, che recita come segue “Il SIGA è organizzato in conformità alle prescrizioni del CPA, alle disposizioni di legge speciali regolanti il processo amministrativo telematico, al CAD e al Codice dei dati personali” cfr. comma 1 . A sua volta, il CAD rinvia alle “Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici” adottate dall'Agenzia per l'Italia Digitale AgID , contenenti, ai sensi dell'articolo 71 del CAD, “le regole tecniche e di indirizzo per l'attuazione del presente Codice”. Peraltro, esse “hanno carattere vincolante e assumono valenza erga omnes”, come è stato precisato dal Consiglio di Stato nel parere numero 2122 del 10 ottobre 2017 reso sullo schema del decreto correttivo al CAD i.e. d.lgs. 26 agosto 2016, numero 179 . Pertanto, “nella gerarchia delle fonti, anche le presenti Linee Guida sono inquadrate come un atto di regolamentazione, seppur di natura tecnica, con la conseguenza che esse sono pienamente azionabili davanti al giudice amministrativo in caso di violazione delle prescrizioni ivi contenute” cfr. capitolo 1.10. . Significativamente, tali Linee guida – entrate in vigore il 1° gennaio 2022, per effetto della proroga disposta con determinazione dirigenziale numero 371 del 17 maggio 2021 – prevedono che, in caso di documento informatico formato per via telematica o su supporto informatico, “l'immodificabilità ed integrità sono garantite” – tra l'altro – proprio dall'“apposizione di una firma elettronica qualificata, di una firma digitale o di un sigillo elettronico qualificato o firma elettronica avanzata” cfr. capitolo 2.1.1. . Del resto, anche secondo l'articolo 1, comma 1, lett. i , D.P.C.M. numero 40/2016, e l'articolo 1, comma 1, lett. s , del CAD, la firma digitale è la sola che consente al destinatario “di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico”, con la conseguenza che, in sua assenza, l'idoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo sembrerebbe pregiudicata a monte. Ebbene, alla luce di tali disposizioni, appare quanto meno opinabile la qualificazione della firma digitale come mero requisito di forma degli atti processuali, benché essa – come visto – sia stata patrocinata dall'Adunanza Plenaria e, prima ancora, da una consistente parte della giurisprudenza amministrativa cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 1 aprile 2019, numero 2126, 9 luglio 2018, numero 4193 e 27 giugno 2018, numero 3953 id. sez. IV, 28 giugno 2018, numero 3972 e 4 aprile 2017, numero 1541 TAR Campania – Napoli, sez. V, 27 gennaio 2020, numero 369 id., sez. VII, 12 giugno 2017, numero 3201 . Invero, secondo l'orientamento pretorio dominante,“nel processo amministrativo telematico il mancato deposito digitale o l'assenza della firma digitale non danno luogo a inesistenza, abnormità o nullità degli atti, ma solo a una situazione di irregolarità, per cui … il giudice amministrativo ordina la regolarizzazione in formato digitale alla parte che ha redatto, notificato o depositato un atto in formato cartaceo” cfr. TAR Campania – Napoli, sez. III, 4 ottobre 2021, numero 6195 . Ciò in quanto “la violazione delle specifiche tecniche del P.A.T., dettate in ragione della peculiare configurazione del sistema informatico della G.A. cd. S.I.G.A. , non può comportare la invalidità degli atti di procedura compiuti qualora non vengano in rilievo la violazione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione finale, ma, al più, una mera irregolarità sanabile in virtù del principio del raggiungimento dello scopo T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 4 aprile 2017, numero 1799 ” cfr. TAR Sicilia – Catania, sez. I, 24 febbraio 2020, numero 474 . In particolare, secondo l'Adunanza Plenaria, “la predisposizione ed il deposito del ricorso in formato non digitale non incorre in espressa comminatoria legale di nullità ex articolo 156, comma 1, c.p.c. ”. Eppure, anche a voler riconoscere che la sottoscrizione digitale attenga solo alla forma dell'atto, l'articolo 156 c.p.c. richiamato in sentenza stabilisce che “non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge” e, invero, tale nullità risulta esplicitamente prevista dall'articolo 44, comma 1, lett. a , c.p.a., a mente del quale, “il ricorso è nullo … se manca la sottoscrizione”. In effetti, “non paiono esservi sufficienti elementi testuali o sistematici per dequotare la prescrizione sulla firma digitale di tutti gli atti e provvedimenti inerenti al processo amministrativo telematico ad una mera forma strumentale valida unicamente per il loro deposito, anziché ad una forma univocamente prescritta dal legislatore come mezzo di inequivoca imputazione dell'atto al suo autore a fini sostanziali … di conseguenza, … la prescrizione dell'articolo 40 c.p.a., in base al quale il ricorso deve contenere la sottoscrizione … del difensore munito di procura speciale, dovrebbe intendersi ora riferita alla sottoscrizione mediante firma digitale” e “lo stesso, allora, dovrebbe dirsi in relazione all'articolo 44, comma 1, lett. a , c.p.a., per il quale il ricorso è nullo se manca la sottoscrizione” cfr. TAR Campania – Napoli, Sez. II, 22 febbraio 2017, numero 1053 . Ed infatti, non è mancato nella giurisprudenza di merito chi – a differenza dell'Adunanza Plenaria – ha ravvisato nella sottoscrizione digitale un “requisito essenziale” del ricorso e nella sua mancanza una causa di irricevibilità dello stesso ciò in quanto, “ai sensi degli articolo 21 e 35 del C.A.D. solo qualora provvisto di firma elettronica, il documento informatico assume valore legale e può soddisfare i requisiti della forma scritta, della identificabilità dell'autore, dell'integrità del documento e della sua immodificabilità” cfr. TAR Campania – Napoli, sez. I, 28 marzo 2017, numero 1694 . Sul tema, preme rilevare, peraltro, che l'articolo 24 del CAD – cui rinvia l'articolo 9, comma 1, D.P.C.M. numero 40/2016 – dispone che “l'apposizione a un documento informatico di una firma digitale o di un altro tipo di firma elettronica qualificata basata su un certificato elettronico revocato, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscrizione … ” cfr. comma 4-bis . E, se tanto può dirsi per l'apposizione di una firma digitale basata su un certificato elettronico non valido, altrettanto dovrebbe potersi dire in relazione alla mancata apposizione della stessa. Diversamente opinando, tale ultima situazione si gioverebbe di un trattamento ingiustificatamente più favorevole rispetto alla prima. Oltretutto, l'Allegato A del D.P.C.M. numero 40/2016 recante, ai sensi dell'articolo 19 del D.P.C.M. numero 40/2016, le specifiche tecniche per l'esecuzione di quest'ultimo , prevede che “il fascicolo informatico … contiene … tutti gli atti, documenti e provvedimenti in formato digitale” cfr. articolo 3 sul “Fascicolo processuale informatico” e che “l'atto del processo in forma di documento informatico può essere depositato esclusivamente” nei formati indicati nell'articolo 12 “Formato degli atti e dei documenti processuali” , i quali “non devono contenere restrizioni al loro utilizzo per selezione e copia integrale o parziale”. Per l'effetto, ai sensi del medesimo articolo 12, “non è ammessa la scansione di copia per immagine”, fatta eccezione solo per i documenti allegati e per la procura alle liti. E, anche laddove – in ipotesi – si intendesse estendere tale regime ‘derogatorio' al ricorso introduttivo costituito da una scansione dell'atto in formato analogico, comunque si renderebbe necessaria l'attestazione di conformità all'originale, al pari di quanto normativamente previsto per la procura cfr. TAR Campania – Napoli, sez. VII, 18 giugno 2021, numero 4191, che ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso “per essere la copia informatica della prodotta procura ad litem, rilasciata da parte ricorrente, priva delle necessarie firma digitale e asseverazione di conformità all'originale cartaceo e dunque di autenticazione ad opera del difensore” in senso contrario, cfr., ex multis, TAR Lombardia – Milano, sez. I, 25 marzo 2021, numero 782 . In generale, l'articolo 136, comma 2-ter, c.p.a. dispone che, “quando il difensore depositi con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte, di un provvedimento del giudice o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attesta la conformità della copia al predetto atto mediante l'asseverazione di cui all'articolo 22, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, numero 82. … Nel compimento dell'attestazione di conformità di cui al presente comma i difensori assumono ad ogni effetto la veste di pubblici ufficiali.” In particolare, secondo il combinato disposto degli articolo 39 c.p.a. e 83, comma 3, c.p.c., qualora la procura alle liti sia stata conferita su supporto cartaceo, “il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette la copia informatica autenticata con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi in via telematica”. Analogamente, l'articolo 8 del D.P.C.M. numero 40/2016 “Procura alle liti e conferimento dell'incarico di assistenza e difesa” prevede che “la procura alle liti è autenticata dal difensore, nei casi in cui è il medesimo a provvedervi, mediante apposizione della firma digitale” cfr. comma 1 e che “nei casi in cui la procura è conferita su supporto cartaceo, il difensore procede al deposito telematico della copia per immagine su supporto informatico, compiendo l'asseverazione prevista dall'articolo 22, comma 2, del CAD con l'inserimento della relativa dichiarazione nel medesimo o in un distinto documento sottoscritto con firma digitale” cfr. comma 2 . Dello stesso tenore risulta la disciplina dettata dall'articolo 14, comma 3, dell'Allegato A del D.P.C.M. numero 40/2016 sulle “Notificazioni per via telematica” . Secondo il richiamato articolo 22, comma 2, del CAD “Copie informatiche di documenti analogici” , “le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono estratte, se la loro conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo le Linee guida” adottate dall'AgID, ossia mediante l'apposizione di “firma digitale o firma elettronica qualificata o avanzata” cfr. capitolo 2.2. . Sulla scorta di tali previsioni, il Giudice Amministrativo ha più volte sanzionato con l'inammissibilità il ricorso depositato – unitamente a una procura non sottoscritta digitalmente e non asseverata – mediante scansione per immagine dell'atto cartaceo privo di firma digitale e di asseverazione. Ciò in quanto l'articolo 45 c.p.a. “Deposito del ricorso e degli altri atti processuali” “statuisce l'onere del deposito nella segreteria del ricorso, ovviamente in originale, e, pertanto, il deposito di una fotocopia dello stesso, e non del documento originario, non costituirebbe strumento idoneo a portare all'esame del giudice adito l'atto di impulso processuale ed il relativo ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile … situazione del tutto sovrapponibile aldeposito di una copia informatica non asseverata corredata da procura parimenti non asseverata” cfr. TAR Sicilia – Catania, sez. III, 13 marzo 2017, numero 499 e 5 aprile 2017, numero 716 in termini analoghi, TAR Campania – Salerno, sez. I, 6 febbraio 2017, numero 213 . Dunque, in assenza di un ricorso in formato digitale, l'atto dovrebbe presentare quanto meno l'asseverazione di conformità all'originale. Tuttavia, come visto, l'Adunanza Plenaria, accogliendo l'orientamento maggioritario espresso in precedenza dalla giurisprudenza amministrativa, ha adottato un diverso approccio alla questione essa, infatti, ha ravvisato nella mancanza della firma digitale una mera irregolarità formale dell'atto, in quanto tale sanabile secondo il regime previsto dall'articolo 44, comma 2, c.p.a. Tale principio non sembra aver riscontrato nella giurisprudenza civile e tributaria un consenso altrettanto condiviso invero, in materia di PCT e di PTT, la sottoscrizione digitale è stata più volte qualificata quale requisito di validità degli atti processuali, con il conseguente rigetto in rito dei ricorsi che ne fossero sprovvisti. Un breve excursus sulle differenti soluzioni prospettate dalla giurisprudenza civile e tributaria in materia di processo telematico In materia di PCT, la Suprema Corte già da tempo ha chiarito che “la firma digitale è pienamente equiparata, quanto agli effetti, alla sottoscrizione autografa in forza dei principi contenuti nel D.Lgs. 7 marzo 2005, numero 82 e successive modificazioni cfr., segnatamente, articolo 1, comma 1, lett. p e s , articolo 20, comma 3 e articolo 21 applicabili anche al processo civile” pertanto, essa costituisce “- al pari della sottoscrizione dell'atto analogico cd. cartaceo ai sensi dell'articolo 125 c.p.c. cfr. tra le altre Cass. numero 1275/2011 - requisito di validità dell'atto introduttivo del giudizio anche di impugnazione , in quanto essa attiene alla formazione dello stesso e alla sua riconducibilità a chi lo ha formato nella specie, necessariamente al difensore munito di procura ”. Secondo gli Ermellini, la mancanza della firma digitale dà quindi luogo a un vizio “non sanabile”, che determina a sua volta l'inammissibilità del ricorso cfr. Cass. civ., sez. VI, 8 giugno 2017, numero 14338 id., 15 marzo 2021, numero 7206, in cui si afferma non la nullità bensì l'inesistenza dell'atto introduttivo privo di firma digitale Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2021, numero 16746, in cui si afferma indirettamente che il ricorso, a differenza della relata di notifica, rientra tra gli atti processuali di parte che, secondo l'elencazione tassativa di cui all'articolo 125 c.p.c., necessitano della sottoscrizione digitale del difensore Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2015, numero 22871 . In effetti, se è vero che la firma digitale è assimilabile in toto alla firma autografa, allora anche ad essa sarà necessariamente preclusa la sanatoria di cui all'articolo 182 c.p.c., “norma applicabile ai difetti di rappresentanza, assistenza o di autorizzazione o a quelli della procura e non alla più radicale assenza di sottoscrizione dell'originale dell'atto introduttivo oltre che della procura , riconducibile all'inosservanza dell'articolo 125 c.p.c.” cfr. Cass. civ., sez. II, 24 dicembre 2021, numero 41484 . Peraltro, secondo le considerazioni di carattere sistematico svolte, mutatis mutandis, dalle Sezioni penali della Cassazione, “il fraintendimento in ordine al procedimento di produzione dell'atto d'impugnazione “in forma di documento informatico” – che, se correttamente seguito, esclude di per sé che detta forma possa consistere in una “scansione di immagini” – costituisce l'antecedente logico dell'equivoco … relativo ad una possibile, ma in realtà inesistente, rilevanza di alcuna sottoscrizione manuale dell'atto” invero la firma digitale, avendo la specifica attitudine “di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico”, è la sola “che, al pari della sottoscrizione del documento cartaceo, consente di riferire l'impugnazione all'autore della stessa”. Ne deriva “l'inammissibilità in sé e per sé di un atto del procedimento, qual è l'atto di impugnazione, non sottoscritto con firma digitale” cfr. Cass. penumero , sez. II, 25 gennaio 2022, numero 2874 . Oltretutto, anche laddove si tratti di copie informatiche per immagine, esse devono comunque presentare l'apposizione della firma digitale del difensore, “indefettibilmente prevista per attestare, questa volta, la conformità di quanto trasmesso all'originale” cfr. Cass. penumero , numero 2874/2022, cit. . Ciò dicasi senz'altro con riferimento alla procura alle liti, che, ove conferita su supporto cartaceo e copiata per immagine su supporto informatico, deve essere poi asseverata – nel PCT come, del resto, nel PAT – mediante sottoscrizione del difensore con firma digitale, la cui assenza ben può determinare l'inammissibilità dei relativi ricorsi cfr. Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2019, numero 12850 . In un'altra circostanza, la Suprema Corte si è espressa in termini meno ‘tranchants', laddove ha statuito che il ricorso nativo digitale “per essere valido … deve essere sottoscritto con firma ovviamente digitale” e che, tuttavia, l'assenza di quest'ultima “potrebbe determinare la nullità dell'atto, se non fosse possibile aliunde ascriverne la paternità certa, in ragione del principio del raggiungimento dello scopo” cfr. Cass. civ., SS.UU., 24 settembre 2018, numero 22438 . Ebbene, il principio enunciato dalla Suprema Corte nella richiamata sentenza numero 14338/2017 – diametralmente opposto a quello affermato in specie dall'Adunanza Plenaria – sembra aver riscontrato consenso non solo tra i Giudici di merito cfr., ex multis, Corte di appello, Bologna, sez. lav., 20 marzo 2019, numero 234 Corte di appello, Milano, sez. II, 20 gennaio 2022, numero 197 ma anche presso le Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, che – proprio sulla scorta di quell'autorevole precedente – in più occasioni si sono espresse a favore della qualificazione della sottoscrizione digitale come requisito di validità degli atti processuali formati nella vigenza del PTT. In particolare, la CTR Emilia-Romagna ha rilevato che l'“assenza di sottoscrizione [digitale] non può essere sanata a posteriori dalla circostanza che la notificazione dei ricorsi sia stata effettuata a mezzo PEC atteso che tale modalità di trasmissione consente di attestare esclusivamente la provenienza dell'atto da un determinato mittente, ma non è in grado di sostituire un requisito di ammissibilità dello stesso e cioè la sottoscrizione del ricorso ” cfr. Comm. Trib. Reg. per l'Emilia-Romagna, 5 ottobre 2021, numero 1223/6/2021 . E in termini analoghi si era già espressa la CTP Rieti allorquando aveva affermato che il documento formato con modalità digitali e trasmesso telematicamente è giuridicamente efficace e valido in ambito processuale solo qualora vi sia apposta la firma digitale cfr. CTP Rieti, sez. II, 21 dicembre 2018, numero 262 . Conclusioni Con la pronuncia in commento, l'Adunanza Plenaria ha adottato un approccio sostanzialistico ispirato al principio di conservazione degli atti processuali invero, benché la sottoscrizione con firma digitale sia prescritta dalle disposizioni sul PAT, tuttavia, essa non può assurgere a requisito di validità del ricorso, e, per l'effetto, la sua mancanza costituisce una mera irregolarità formale sanabile ai sensi dell'articolo 44, comma 2, c.p.a. Trattasi della soluzione esegetica invalsa già da tempo nella giurisprudenza amministrativa infatti, dall'entrata in vigore del PAT, solo una esigua parte dei Giudici di merito si era mostrata di altro avviso e – sulla scorta di un'analisi sistematica delle disposizioni dettate in materia – aveva identificato nella firma digitale un requisito essenziale del ricorso, dando prioritario rilievo alla circostanza che solo la sua apposizione è in grado di garantire l'integrità e la paternità certa all'atto. Ed anche nella giurisprudenza civile e tributaria si rinvengono alcune autorevoli pronunce che, in virtù dei medesimi principi, assimilano la firma digitale alla firma autografa, con la conseguenza che, in presenza di un atto non sottoscritto digitalmente, esso non può che ritenersi irrimediabilmente viziato. Le diverse soluzioni ermeneutiche così riscontrate in materia di PCT e di PTT offrono senz'altro interessanti spunti di riflessione e inducono a sospettare che l'‘indulgenza' dimostrata in specie dell'Adunanza Plenaria sia destinata senz'altro a far discutere. Fonte ilprocessotelematico.it
Presidente Frattini - Estensore Perotti Fatto Con ordinanza 25 ottobre 2021, numero 7138, la IV Sezione del Consiglio di Stato rimetteva a questa Adunanza plenaria la causa in esame, affinché la stessa risolvesse “la sola questione interpretativa relativa all'eccezione pregiudiziale di improcedibilità dell'appello principale” – in quanto tale, potenzialmente idonea a definire il giudizio – previa risposta ai seguenti quesiti “a se nel processo amministrativo trovi applicazione e in che limiti il principio di consumazione dei mezzi di impugnazione b più in particolare, se alla medesima parte processuale sia consentito rinnovare la notificazione al solo scopo di emendare vizi dell'atto che ne determinano la nullità o la tardività del suo deposito, oppure se il rinnovo in questione sia consentito anche a prescindere dall'emenda di un vizio e senza apparente ragione, purché sia ancora pendente il termine per impugnare e non sia stata emessa dal giudice una pronuncia di irricevibilità o di improcedibilità dell'impugnazione c se alla parte sia consentito proporre nuovi motivi di impugnazione - al di là dei casi previsti di proposizione dei motivi aggiunti – purché sia ancora pendente il termine per impugnare e non sia stata emessa dal giudice una pronuncia di irricevibilità o di improcedibilità dell'impugnazione d quale sia la corretta interpretazione del combinato disposto di cui agli articolo 94, comma 1 e 45, comma 1 c.p.a., e se cioè - quando si stabilisce che “il ricorso deve essere depositato nella segreteria del giudice adito, a pena di decadenza, entro trenta giorni dall'ultima notificazione ai sensi dell'articolo 45…” e che “Il ricorso e gli altri atti processuali soggetti a preventiva notificazione sono depositati nella segreteria del giudice nel termine perentorio di trenta giorni, decorrente dal momento in cui l'ultima notificazione dell'atto stesso si è perfezionata anche per il destinatario” – essi vadano interpretati nel senso che - purché sia ancora pendente il termine per impugnare e non sia stata emessa dal giudice una pronuncia di irricevibilità o di improcedibilità dell'impugnazione – il ricorso possa essere oggetto di nuova notificazione ai fini di individuare ‘l'ultima notificazione dell'atto che si è perfezionata anche per il destinatario' solo per emendare vizi dell'atto o della sua notificazione o del suo deposito, ovvero se, al contrario, sia possibile per la medesima parte prescindere dalla suddetta emenda”. La controversia in esame traeva origine dal ricorso proposto al Tribunale amministrativo del Lazio dal sig. omissis , con il quale veniva impugnata l'ordinanza emessa, ai sensi dell'articolo 823 Cod. civ., dall'Agenzia del demanio “per il rilascio, in via amministrativa dell'immobile demaniale sito in via del Quirinale 28, scala C” di proprietà della medesima Agenzia. L'impugnativa veniva inoltre estesa al decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 29 luglio 2005, con cui il suddetto bene era stato attribuito all'Agenzia del demanio, nella parte in cui articolo 2, comma 2, ultima parte stabiliva che “Il trasferimento non modifica il regime giuridico previsto dall'articolo 823 del codice civile relativamente ai beni demaniali trasferiti ai sensi del presente articolo”. Il gravame era affidato a quattro motivi di doglianza, con i quali sostanzialmente si eccepiva l'insussistenza dei presupposti per l'autotutela esecutiva ex articolo 823 Cod. civ., trattandosi di bene del patrimonio disponibile dello Stato per il quale avrebbe dovuto trovare invece applicazione il regime di diritto comune di cui all'articolo 830 Cod. civ. peraltro, precisava il ricorrente, non si sarebbe potuto comunque parlare di occupazione sine titulo dell'immobile, in quanto quest'ultimo sarebbe stato comunque oggetto di un rapporto di locazione con l'Agenzia, con corresponsione di un canone. In ogni caso, deduceva il sig. omissis , non sarebbero state esternate le ragioni fondanti la decisione – contestata in giudizio – dell'amministrazione. Con sentenza 24 luglio 2020, numero 8693, il giudice adito accoglieva il ricorso, ritenendo la natura sostanzialmente privatistica del bene del quale era stato intimato il rilascio. Avverso tale decisione il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia del demanio interponevano appello, deducendo la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2 del d.m. 29 luglio 2005 del Ministero dell'economia e delle finanze – Decreto di “Individuazione del patrimonio dell'Agenzia del demanio” – pubblicato in G.U. numero 7, Serie generale del 10 gennaio 2006, nonché degli articoli 822 e 823 Cod. civ. Costituitosi in giudizio, il sig. omissis proponeva a sua volta appello incidentale contro il capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato improcedibile il ricorso in ordine alla richiesta di annullamento del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 29 luglio 2005, nella parte in cui manteneva il regime giuridico proprio dei beni demaniali e del patrimonio indisponibile sui beni trasferiti al patrimonio disponibile dell'Agenzia, in quanto per legittimamente perseguire un tale obiettivo si sarebbe dovuto procedere con una norma di rango primario, anziché con una mera fonte regolamentare. Eccepiva inoltre – in via preliminare – l'improcedibilità dell'appello, essendo stato il ricorso depositato nella Segreteria del Consiglio di Stato solamente in data 29 gennaio 2021, ossia oltre il termine di decadenza di trenta giorni stabilito per il deposito delle impugnazioni dall'articolo 94 Cod. proc. amm. al riguardo, nessun rilevo poteva attribuirsi alla circostanza che il medesimo atto di appello, inizialmente notificato senza l'apposizione della firma digitale, fosse stato successivamente “regolarizzato” dalla parte appellante mediante una rituale sottoscrizione e quindi – in questa forma – ri- notificato all'appellato prima della scadenza del termine per proporre appello, in quanto il rinnovo della notifica, sia pure alla stessa parte, non avrebbe comunque consentito di eludere l'onere di rispetto del termine di trenta giorni per il deposito. Per l'effetto, concludeva l'appellato/appellante incidentale, “sebbene sia valida la seconda notifica dell'atto d'appello del 18.01.2021 poiché anteriore al termine per il deposito del 22.01.2021 ancorché il ricorso rinotificato sia identico al precedente e alla relata sia stata aggiunta la firma digitale , il termine per il deposito scadeva improrogabilmente il 22.01.2021, mentre è stato effettuato soltanto il 29.01.2021”. Con ordinanza 25 ottobre 2021, numero 7138, la Sezione remittente deferiva a questa Adunanza plenaria la questione relativa alla corretta interpretazione delle disposizioni e dei principi che regolano le impugnazioni, tra cui quello della cd. consumazione del relativo potere. In particolare, sul piano sistematico, la Sezione rilevava che a il principio della consumazione del potere di impugnazione non è espressamente codificato nel sistema processuale civile – né in quello amministrativo – di talché il suo effettivo ambito di applicazione è rimesso all'esegesi dell'interprete, sulla base di quanto previsto dagli articolo 358 e 387 Cod. proc. civ. b le disposizioni da ultimo richiamate prevedono, rispettivamente, che l'appello ed il ricorso per cassazione – laddove dichiarato inammissibile o improcedibile – non possa più essere riproposto, anche ove in ipotesi non sia decorso il termine di impugnazione fissato dalla legge c nell'esegesi delle suddette disposizioni si sarebbero registrati orientamenti diversificati da parte della giurisprudenza, giungendosi purtuttavia all'individuazione di criteri e coordinate esegetiche di massima, tra cui in particolare c.1 il principio secondo cui, al fine della consumazione del potere di impugnazione, è necessario che la seconda impugnazione sia della stessa specie della prima così Cass. 17 maggio 2013, numero 12113 5 giugno 2007, numero 13062 15 novembre 2002, numero 16162 c.2 il principio in base al quale la seconda impugnazione può basarsi anche su motivi diversi dalla prima in termini, Cass. 12 luglio 2006, numero 15873 27 ottobre 2005, numero 20912 11 maggio 2001, numero 6560 c.3 il contrapposto principio secondo cui, invece, la riproponibilità della seconda impugnazione deve essere limitata ai soli casi in cui la medesima verta sugli stessi motivi della prima Cass. 18 marzo 2005, numero 5953 8 marzo 2000, numero 2607 11 novembre 1994, numero 9409 , con esclusione della possibilità di integrare o dedurre nuovi motivi Cass. 11 novembre 2011, numero 23630 31 maggio 2010, numero 13257 24 giugno 2008, numero 17246 2 febbraio 2007, numero 2309 22 maggio 2007, numero 11870 2 aprile 1997, numero 2872 29 marzo 1995, numero 3738 15 luglio 1993, numero 7841 c.4 il principio secondo cui l'ammissibilità della seconda impugnazione è subordinata all'esistenza di un vizio formale o sostanziale della prima, idoneo a decretarne la irricevibilità ovvero la improcedibilità, che dunque può essere conseguentemente emendato Cass. 7 novembre 2013, numero 25047 17 ottobre 2013, numero 23585 c.5 il principio secondo cui, malgrado la sentenza non sia stata oggetto di notificazione, la possibilità di riproporre l'impugnazione è ancorata in ogni caso al termine breve decorrente dalla notificazione della prima impugnazione, la quale è idonea a determinare la conoscenza legale del provvedimento medesimo. Con specifico riguardo al processo amministrativo, la Sezione remittente rilevava poi che il principio della consumazione del potere di impugnazione sarebbe stato applicato sia nel vigore delle leggi del passato sulla giustizia amministrativa Cons. Stato, numero 775/1986 numero 606/1991 numero 552/1993 numero 184/1995 numero 3818/2000 numero 7021/2005 , sia nella vigenza dell'attuale Codice di rito da ultimi, Cons. Stato, IV, 3 giugno 2021, numero 4266 C.G.A.R.S., 8 luglio 2021, numero 654 . Poste tali premesse, la Sezione evidenziava un contrasto di giurisprudenza nell'interpretazione e nell'applicazione del suddetto principio, limitatamente alla questione della necessità o meno che la “duplicazione” dei gravami mediante rinnovazione o ripetizione della notifica fosse motivata in senso assoluto dall'esigenza di riparare a vizi di nullità dell'atto che inevitabilmente avrebbero condotto alla declaratoria di irricevibilità o di improcedibilità, ovvero se, al contrario, il principio trovasse applicazione anche ai casi in cui la ripetizione della notificazione andasse a rimediare ad inerzie processuali della parte, ovvero ancora si fondasse su strategie difensive di quest'ultima, anche non palesate in atti. In particolare, rilevava la Sezione remittente, la ratio – che giustificherebbe pendente il termine per l'appello ed in assenza di una declaratoria giudiziale di irricevibilità o improcedibilità del gravame la possibilità per la medesima parte di riproporre la stessa impugnazione – sarebbe quella di emendare un vizio, sostituendo un atto valido ad uno invalido. In quest'ottica, la ri-notificazione andrebbe considerata, da un punto di vista classificatorio, alla stregua di un procedimento di rinnovazione – anziché di mera ripetizione – di un atto già esistente nel mondo giuridico, sebbene non validamente formato o improduttivo di effetti. Con memoria 19 gennaio 2022, le amministrazioni appellanti replicavano alle deduzioni dell'appellato/appellante incidentale, contestandone la fondatezza in particolare, per quanto più specificamente attiene alla questione rimessa all'esame dell'Adunanza plenaria, evidenziavano che la prima versione dell'atto di appello, notificata ma non sottoscritta digitalmente, non era stata poi depositata presso la Segreteria del Consiglio di Stato. Per l'effetto, non essendo la sola notifica, ove non seguita dal tempestivo deposito del ricorso, idonea ad instaurare la litispendenza ex multis Cons. Stato, IV, 21 dicembre 2001, numero 6333 , nel caso di specie non si sarebbe costituito alcun rapporto processuale idoneo a “consumare”, in capo all'amministrazione, il potere di impugnazione della sentenza di primo grado. All'udienza pubblica del 23 febbraio 2022, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione. Diritto Preliminarmente ad ogni considerazione sul merito – nel caso di specie – delle questioni devolute all'esame dell'Adunanza plenaria, vanno definiti gli esatti contorni della vicenda in questa sede controversa. Viene in particolare deferita all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato “la questione relativa alla corretta interpretazione delle disposizioni e dei principi che regolano le impugnazioni, tra cui quello della cd. consumazione del relativo potere”, alla luce di “un contrasto di giurisprudenza nell'interpretazione e nell'applicazione del suddetto principio limitatamente, […] alla questione della necessità o meno che la ‘duplicazione' dei gravami mediante rinnovazione o ripetizione della notifica sia motivata in senso assoluto dall'esigenza di riparare a vizi di nullità dell'atto che inevitabilmente conducono alla declaratoria di irricevibilità o di improcedibilità, ovvero se, al contrario, il principio trova applicazione anche ai casi in cui la ripetizione della notificazione rimedia ad inerzie processuali della parte ovvero si fonda su strategie difensive della parte medesima, anche non palesate in atti”. All'uopo, è doveroso premettere cosa si intenda per “consumazione del potere di impugnazione”, stante l'esiguità delle fonti normative in materia. Ai sensi dell'articolo 358 Cod. proc. civ., in particolare, “L'appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge” detta consumazione, dunque, ai sensi del chiaro tenore della legge consegue solamente alla dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'appello e presuppone che l'impugnazione sia stata rivolta contro un provvedimento idoneo a costituire giudicato in senso formale. In termini più ampi, Cons. Stato, IV, 3 giugno 2021, numero 4266 rileva che ove l'atto invalido sia oggettivamente inidoneo a consumare il diritto di impugnazione – come nel caso di specie – è consentito alla parte di proporre una nuova impugnazione sostitutiva della precedente, seppur a due condizioni la prima è che i termini per l'appello non siano già decorsi e la seconda è che non sia stata già emessa una sentenza dichiarativa dell'inammissibilità o dell'improcedibilità della prima impugnazione proposta. Il principio in esame trova un presupposto logico nel divieto di frazionamento delle impugnazioni ex multis, Cons. Stato, IV, numero 4266 del 2021, cit ed è affermato da costante giurisprudenza di legittimità nell'ambito del processo civile comporta, in estrema sintesi, che l'impugnazione di una parte, una volta ritualmente proposta, preclude alla stessa di formulare in un successivo momento degli altri profili di gravame o di riproporre le stesse censure, anche se il relativo termine non sia ancora scaduto, attraverso un nuovo atto di impugnazione. Quest'ultimo, quindi, se proposto, andrà dichiarato inammissibile e della validità o invalidità dell'impugnazione si dovrà giudicare avuto riguardo esclusivamente al primo atto. A tale regola si farebbe eccezione in un solo caso, ossia quando il primo atto di impugnazione notificato presenti dei vizi che lo rendano addirittura inammissibile o improcedibile in questo caso l'atto sarebbe oggettivamente inidoneo a consumare il diritto di impugnazione, ragione per cui sarebbe possibile per la parte proporre una nuova impugnazione sostitutiva della precedente, a condizione ovviamente che i relativi termini non siano decorsi e non sia nel frattempo intervenuta una sentenza dichiarativa dell'inammissibilità o improcedibilità della prima impugnazione proposta. In questi termini si pone la costante giurisprudenza di legittimità ex multis, Cass. civ., III, 16 novembre 2005, numero 23220 III 22 marzo 2005, numero 1197, secondo cui, anche nell'ottica di salvaguardia di fondamentali esigenze processuali legate all'attuazione dei principi di cui agli articolo 24 e 113 Cost., “deve ritenersi che fino a quando non sia intervenuta una declaratoria di improcedibilità o di inammissibilità del gravame, può sempre essere proposto un secondo atto di appello, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva e si sia svolto regolare contraddittorio tra le parti” . Quanto alla giurisprudenza amministrativa, già Cons. Stato, IV, 15 settembre 2009, numero 5523 rileva che “costituisce principio giurisprudenziale pacifico che ai sensi dell'articolo 358 c.p.c. disposizione applicabile anche al processo amministrativo la consumazione del potere di impugnazione presuppone necessariamente l'intervenuta declaratoria di inammissibilità del primo gravame, essendo l'impugnazione riproponibile nel rispetto dei termini in mancanza di detta declaratoria ne deriva che il mancato rispetto del termine di deposito del ricorso comporta la irritualità dell'appello, ma non ne impedisce la reiterazione nel rispetto del termine di legge nelle more della declaratoria di irritualità. […] Nel caso di specie, il secondo appello è stato pacificamente proposto e depositato nei termini di legge, e per altro verso il primo atto di impugnazione – ancorché notificato – non è mai stato depositato, sicché giammai avrebbe potuto esserne dichiarata l'inammissibilità pertanto, si applicano “a fortiori” i principi appena richiamati”. In effetti, condicio sine qua non affinché un giudice possa dichiarare l'inammissibilità o improcedibilità del gravame – o, più in generale, pronunciarsi su di esso – è che quest'ultimo venga iscritto a ruolo, ossia depositato presso la Segreteria o Cancelleria del giudice medesimo. Deposito che, nel caso del processo amministrativo, ai sensi dell'articolo 45 Cod. proc. amm. segue la notifica alle controparti e solo successivamente al quale può parlarsi di litispendenza dovendo trovare conferma il principio – su cui Cons. Stato Ad. plenumero , 28 luglio 1980, numero 35 e valevole anche alla luce del sopravvenuto d.lgs. 2 luglio 2010, numero 104 – secondo cui la litispendenza nel processo amministrativo è l'effetto di una fattispecie complessa, i cui co-elementi possono ritenersi costituiti dalla notifica e dal deposito la sola notifica quindi, non seguita dal tempestivo deposito del ricorso, è inidonea a provocare la litispendenza. In termini, anche Cons. Stato, IV, 21 dicembre 2001, numero 6333 IV, 7 gennaio 2013 numero 22 IV, 19 dicembre 2016, numero 5363 . Presupposto imprescindibile – in primis di carattere logico – perché possa in ipotesi configurarsi la fattispecie su cui si verte è dunque che un'impugnazione in senso tecnico sia stata effettivamente proposta, nei termini in precedenza evidenziati. Soddisfatta tale ineludibile premessa, va poi detto che – per evidenti ragioni logiche e giuridiche – in tanto può parlarsi di “consumazione” del potere di impugnazione, in quanto alla proposizione del primo gravame la medesima parte processuale ne abbia fatti seguire degli altri, ossia uno o più ulteriori gravami non solo – ovviamente – successivi al primo, ma in tutto o in parte diversi da questo, quanto a petitum o a causa petendi. Diversamente argomentando non potrebbe parlarsi di nuovi atti di appello – solo relativamente ai quali può posi il problema della persistenza o meno, in capo all'appellante, del potere di proporli in aggiunta al primo – ma solo, quanto ad effetti concreti, di rinnovazione degli incombenti processuali notifica e deposito relativi al medesimo atto, idonei non certo a modificare l'oggetto del giudizio – aspetto che il principio in esame mira in qualche modo a regolamentare – bensì, al più, a sanare eventuali vizi di carattere formale e/o processuale degli stessi. Alla luce dei rilevi che precedono deve dunque escludersi che la vicenda sottoposta all'esame di questa Adunanza plenaria sia riconducibile al paradigma della consumazione del potere di impugnazione, difettandone entrambi i presupposti. Da un lato, infatti, alla prima notifica dell'atto non era seguito il deposito dello stesso presso la Segreteria del giudice, ragion per cui, non essendo sorta alcuna litispendenza, non poteva ancora ritenersi esercitata – e quindi, in ipotesi, “consumata” – la facoltà di impugnazione. Dall'altro, l'identità testuale – quanto al petitum ed alla causa petendi – degli atti notificati non consentiva di configurare una successione di diversi mezzi di gravame, essendosi semplicemente in presenza di una reiterata notifica del medesimo atto, irrilevante ai fini su cui si controverte. Deve quindi concludersi che nel caso attualmente controverso il giudizio sulla correttezza o meno del comportamento processuale tenuto dalla parte appellante – e, quindi, sulla tempestività o meno della proposizione del relativo gravame – esula dal contesto della cd. consumazione del potere di impugnazione delle parti del processo. Nella specie, risulta dagli atti che la seconda notifica dell'atto, effettuata allorché era ancora pendente il termine di legge per la proposizione dell'appello, era dipesa dall'intento delle amministrazioni appellanti di regolarizzare l'atto introduttivo del giudizio, atteso che la copia originariamente notificata a mezzo PEC, per evidente refuso, non era stata sottoscritta con firma digitale mediante l'utilizzo del formato PAdES, in violazione del combinato disposto degli articolo 136, comma 2-bis, Cod. proc. amm. a tenore del quale “[…] tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale” e 9 Atti delle parti e degli ausiliari del giudice , comma primo, d.P.C.M. 16 febbraio 2016, numero 40 Regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico, in base al quale gli atti processuali “sono redatti in formato di documento informatico sottoscritto con firma digitale conforme ai requisiti di cui all'articolo 24 del CAD” . Al riguardo, va ribadito in termini, Cons. Stato, V, ord. 24 novembre 2017, numero 5490 IV, 4 aprile 2017 numero 1541 che, ancorché non conforme alle predette disposizioni, purtuttavia la predisposizione ed il deposito del ricorso in formato non digitale non incorre in espressa comminatoria legale di nullità ex articolo 156, comma primo, Cod. proc. civ. , tanto più che lo stesso avrebbe comunque raggiunto il suo scopo tipico ex articolo 156, comma 3, Cod. proc. civ , essendone certa l'attribuibilità ad un soggetto determinato e la natura di strumento deputato alla chiamata in causa ed alla articolazione delle proprie difese ne consegue la sola oggettiva esigenza della regolarizzazione, anche laddove sia avvenuta la costituzione in giudizio della parte cui l'atto era indirizzato Cons. Stato, III, 11 settembre 2017, numero 4286 in termini anche Cons. Stato, V, ord. numero 5490 del 2017, cit. IV, numero 1541 del 2017, cit. . In ragione delle considerazioni che precedono, va pertanto condiviso l'orientamento che qualifica il vizio del ricorso depositato pur privo di firma digitale come un'ipotesi di mera irregolarità sanabile, con conseguente applicabilità del regime di cui all'articolo 44, comma 2, Cod. proc. amm. che prevede la fissazione, da parte del giudice, di un termine perentorio entro il quale la parte deve provvedere alla regolarizzazione dell'atto, nelle forme di legge . Nel caso in esame, dunque, una volta preso atto della irregolarità dell'atto laddove, ovviamente, si fosse provveduto al suo deposito, il che qui non è avvenuto , la sua regolarizzazione avrebbe dovuto essere ordinata dal giudice ed eseguita dalla parte nel termine ad essa assegnato nondimeno – va detto – l'autonoma regolarizzazione dell'atto da parte dell'appellante evitando il deposito del primo atto notificato e procedendo direttamente ad una nuova notifica, con successivo deposito di quest'ultima rende inutile – superandola – la ripetizione di ciò che è stato già spontaneamente eseguito, in pacifica applicazione dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale amministrativa articolo 1 Cod. proc. amm. e di ragionevole durata del processo articolo 2, comma 2 Cod. proc. amm. . Non ha del resto fondamento la tesi dell'appellato secondo cui, nel caso di plurime notifiche dell'atto volte ad emendare vizi dello stesso, della sua notificazione o del suo deposito, il dies a quo per il deposito dell'atto di appello decorrerebbe comunque dalla prima notifica, dovendosi intendere la formula degli articolo 94, comma primo e 45 Cod. proc. amm. a mente dei quali, rispettivamente, “il ricorso deve essere depositato nella segreteria del giudice adito, a pena di decadenza, entro trenta giorni dall'ultima notificazione ai sensi dell'articolo 45 […]” e “Il ricorso e gli altri atti processuali soggetti a preventiva notificazione sono depositati nella segreteria del giudice nel termine perentorio di trenta giorni, decorrente dal momento in cui l'ultima notificazione dell'atto stesso si è perfezionata anche per il destinatario” come idonea a legittimare ulteriori notificazioni del medesimo atto, purché ovviamente sia ancora pendente il termine per impugnare. In tal caso, in ordine alla “ultima notificazione dell'atto che si è perfezionata anche per il destinatario” il termine per il deposito andrà fatto decorrere dalla data dell'effettiva notifica dello specifico atto concretamente depositato. Riepilogando, l'Adunanza, in risposta ai quesiti sottoposti dalla Sezione rimettente, formula i seguenti principi di diritto 1 vi è mera irregolarità sanabile, con conseguente applicabilità del regime di cui all'articolo 44, comma 2, Cod. proc. amm., nel caso di un ricorso notificato privo di firma digitale 2 in tal caso il ricorrente ben può, in applicazione dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale amministrativa articolo 1 Cod. proc. amm. e di ragionevole durata del processo articolo 2, comma 2 Cod. proc. amm. , provvedere direttamente a rinotificare l'atto con firma digitale, ancor prima che il giudice ordini la rinnovazione della notifica 3 in ordine infine al termine per il deposito del ricorso, di cui al combinato disposto degli articolo 94, comma primo e 45 Cod. proc. amm., lo stesso andrà fatto decorrere dalla data dell'effettiva notifica dello specifico atto concretamente depositato. Ritenuta pertanto, alla luce dei rilievi che precedono, l'ammissibilità dell'appello proposto dal Ministero dell'economia e delle finanze e dall'Agenzia del demanio, la controversia va rimessa alla Sezione remittente, affinché definisca nel merito la lite e statuisca sulle spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Adunanza Plenaria , non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, dichiara ammissibile l'appello proposto dal Ministero dell'economia e delle finanze e dall'Agenzia del demanio e restituisce – per la sua definizione nel merito – il giudizio alla Sezione, cui va rimessa anche la statuizione sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.