Maltrattamenti in famiglia: il reato sussiste anche nel caso in cui vi sia un’interruzione del rapporto di convivenza tra i coniugi

Deve escludersi che il reato di cui all’articolo 572 c.p. non sussista in conseguenza dell’interruzione del rapporto di convivenza tra i coniugi, «sovrapponendo, altresì, la nozione di convivenza a quella di coabitazione nel caso di interruzione del rapporto di coabitazione fra i coniugi, infatti, possono certamente essere “diverse” le manifestazioni esteriori che concretano condotte abusanti ma non la configurabilità in astratto del fatto-reato».

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi su una vicenda riguardante i maltrattamenti in famiglia. La Corte d'Appello di Napoli, infatti, aveva confermato la condanna dell'imputato per i reati di maltrattamenti in famiglia e per il reato di lesioni in danno della moglie e della figlia. L'imputato ricorre in Cassazione denunciando la violazione di legge e il vizio di motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente l'elemento tipico del delitto di maltrattamenti, cioè l'abitualità delle condotte. L'imputato, inoltre, afferma che nemmeno sussisteva un rapporto di convivenza con la moglie, che aveva lasciato l'abitazione familiare per andare a vivere, assieme alla figlia, nella casa dei genitori. La doglianza è inammissibile. Le decisioni di merito, infatti, hanno ricostruito il rapporto familiare evidenziando l'aggravarsi, nel corso del tempo, delle offese e delle aggressioni fisiche sopportate dalla moglie e dalla figlia per anni in nome dell'unità familiare. Per quanto riguarda il rapporto di convivenza tra le parti, deve essere premesso che il concetto di rapporto familiare, quale presupposto del reato di maltrattamenti, e la relazione con la effettiva convivenza in presenza di una famiglia fondata sul matrimonio, e in assenza di divorzio o separazione, «si declinano diversamente dal caso in cui le condotte abusanti si innestano su un rapporto familiare di fatto, al quale la fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 572 c.p. fa riferimento nella parte in cui, a seguito della modifica apportata con la l. numero 172/2012, ha inserito nella previsione del codice il riferimento alla persona “comunque convivente”». In presenza del matrimonio, che impegna i coniugi ad osservare gli obblighi di assistenza e solidarietà, è pacifico che tali obblighi restino immutati anche nella fase di separazione di fatto con la conseguenza che «la loro violazione, che assurga a condotta abusante, rientra nel paradigma normativo di cui all'articolo 572 c.p. che, come noto, costituisce un reato contro l'assistenza familiare […]». Dunque, deve escludersi che il reato di cui all'articolo 572 c.p. non sussista in conseguenza dell'interruzione del rapporto di convivenza tra i coniugi, «sovrapponendo, altresì, la nozione di convivenza a quella di coabitazione nel caso di interruzione del rapporto di coabitazione fra i coniugi, infatti, possono certamente essere “diverse” le manifestazioni esteriori che concretano condotte abusanti ma non la configurabilità in astratto del fatto-reato». Nel caso di specie, tra l'altro, non si può ritenere nemmeno che la convivenza o il rapporto di coabitazione fossero cessati. La sentenza di primo grado, infatti, ha evidenziato che la moglie e la figlia erano state in più occasioni cacciate di casa e costrette a rifugiarsi dai genitori della stessa. Pertanto, è da escludersi anche che vi fosse la cessazione della coabitazione. Al massimo, osserva la Suprema Corte, si può parlare di una sua frammentazione a cui seguiva una ripresa della coabitazione per assistere l'imputato che era stato colpito da un ictus cerebrale e si rifiutava di assumere la terapia prescritta. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Presidente Criscuolo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la condanna di L.P. a pena ritenuta di giustizia per i reati di maltrattamenti in famiglia articolo 81 e 572 c.p., articolo 61 c.p., numero 1, in danno della moglie, D.P.A. , e della figlia, L.T. , con condotta dal … al omissis , data dell'arresto, e per il reato di lesioni articolo 582 e 585 c.p., articolo 576 c.p., numero 5, articolo 577 c.p., numero 1, in danno delle predette, fatti commessi il omissis . 2. Con unico motivo di ricorso, di seguito sintetizzato ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione, l'imputato chiede l'annullamento della sentenza e denuncia violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza dell'elemento tipico del delitto di maltrattamenti, l'abitualità delle condotte, e dell'elemento psicologico del reato che su tale requisito deve essere strutturato. Evidenzia la contraddittorietà tra la sentenza di primo grado e quella impugnata in relazione alla perimetrazione temporale della condotta di reato per una dall'anno 2011, per l'altra dal 2014 e degli ulteriori elementi costitutivi del reato poiché non sussisteva un rapporto di convivenza tra l'imputato e la moglie e figlia che per alcuni anni avevano lasciato l'abitazione familiare e vivevano a casa dei genitori della donna, in un'altra cittadina. Il resoconto delle persone offese sulla quotidianità delle vessazioni subite non aveva trovato riscontro neppure nelle condizioni patologiche dell'imputato, affetto da una patologia nEurologica e non psichiatrica, come dalle stesse sostenuto, patologia psichiatrica sulla quale si innestavano, secondo le dichiaranti, alcune delle condotte abusanti e che non poteva essere desunto dall'episodio del 19 dicembre 2019. 3. Il ricorso è stato trattato con rito cartolare, ai sensi del D.L. numero 137 del 2020, articolo 23, e ss. modifiche. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché proposto per motivi generici e manifestamente infondati. La sentenza di appello richiama nella parte espositiva quella di primo grado confermando il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese la moglie e la figlia dell'imputato del resto non contestato con i motivi di ricorso che rinviano al contrasto tra le due sentenze in relazione alla perimetrazione della condotta illecita. Le decisioni di merito, non solo per questo aspetto convergenti e riconducibili al modello della cd. doppia conforme, ricostruiscono il rapporto familiare evidenziando l'ingravescenza, nel corso degli anni, delle condotte abusanti che hanno inciso, dapprima, sul rapporto coniugale e, poi, su quello familiare, coinvolgendo anche la figlia dell'imputato, condotte improntate ad offese e aggressioni fisiche, sopportate per anni in nome della unità familiare. Le persone offese si sono soffermate, in particolare, sull'aggravamento e reiterazione nel tempo delle condotte riconducendole anche alle difficoltà di salute dell'imputato, colpito nell'anno 2014 da un ictus cerebrale dal quale erano derivate non solo debilitazioni nEurologiche ma anche patologie psichiatriche, che avevano condotto alla chiusura dell'attività economica dell'imputato, che, peraltro, rifiutava l'assunzione della prescritta terapia farmacologica, circostanze, queste, tutte ritenute incidenti sull'aggravamento dei rapporti tra l'imputato e le persone della sua famiglia. Rispetto alla precisa collocazione temporale della condotta contenuta nella contestazione dall'anno con condotta perdurante , si rivela manifestamente infondata la deduzione difensiva secondo la quale si è in presenza di una condotta di incerta e non convergente perimetrazione temporale poiché, invece, la descrizione compiuta in sentenza è volta a ricostruire la dinamica dei rapporti coniugali e familiari dell'imputato, inframezzati anche da periodi di apparente tranquillità del menage familiare che è stato ricostruito a partire dagli anni più risalenti, dapprima incrinatosi per accuse e offese denigratorie rivolte alla moglie, poi passato ad aggressioni e violenze che avevano contrassegnato la vita familiare negli ultimissimi anni e, infine, culminato nella condotta di lesioni di cui al capo b . La tesi svolta con i motivi di ricorso, secondo la quale le persone offese avevano enfatizzato i problemi del congiunto trova smentita nel dato riportato a pag. 4 della sentenza di appello che richiama facendo riferimento a problematiche fobiche ossessive correlate allo stato depressivo generale patologie di natura psichiatrica e che puntualmente confermano le dichiarazioni rese dalle persone offesi tale riguardo. 2.Parimenti infondata la prospettazione difensiva secondo la quale non sussisteva un rapporto di convivenza tra le parti. Va premesso che il concetto di rapporto familiare quale presupposto del reato di maltrattamenti, e la interrelazione con la effettiva convivenza in presenza di una famiglia fondata, come nel caso in esame, sul matrimonio e in assenza di provvedimenti formali di separazione o di divorzio, si declinano diversamente dal caso in cui le condotte abusanti si innestano su un rapporto familiare di fatto, al quale la fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 572 c.p. fa riferimento nella parte in cui, a seguito della modifica apportata con la L. 1 ottobre 2012, numero 172 ha inserito nella previsione del codice il riferimento alla persona comunque convivente . In presenza del matrimonio, che impegna i coniugi ad osservare obblighi di assistenza e solidarietà nei rapporti tra loro e con i figli, è pacifico, sulla base delle norme di diritto civile che regolano la fase patologica del rapporto coniugale e familiare in generale attraverso gli istituti della separazione legale e del divorzio, che tali obblighi restano immutati anche nella fase di separazione di fatto con la conseguenza che la loro violazione, che assurga a condotta abusante, rientra nel paradigma normativo di cui all'articolo 572 c.p. che, come noto, costituisce un reato contro l'assistenza familiare in relazione al quale il bene giuridico protetto è costituito dai congiunti interessi dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e dall'interesse delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumità fisica e psichica. In tal caso i comportamenti illeciti ledono non solo i singoli ma l'essenza stessa del rapporto di affidamento reciproco che del rapporto familiare derivante dal matrimonio costituisce il tratto fondante. Deve, dunque, escludersi che secondo la lettura suggerita dal ricorrente il reato di cui all'articolo 572 c.p. non sussista per effetto della interruzione del rapporto di convivenza fra i coniugi, sovrapponendo, altresì, la nozione di convivenza a quella di coabitazione nel caso di interruzione del rapporto di coabitazione fra i coniugi, infatti, possono certamente essere diverse le manifestazioni esteriori che concretano condotte abusanti ma non la configurabilità in astratto del fatto-reato. Nel caso in esame, peraltro, sulla base del racconto delle persone offese, deve anche escludersi che si sia di fronte alla cessazione della convivenza o ad una sua declinazione secondo il modulo riconducibile alla separazione di fatto, che comporta nell'accezione comunemente ricondotta a tale termine la cessazione del rapporto di coabitazione. La sentenza di primo grado, in particolare, pur dando atto che le persone offese trascorrevano la domenica a casa dei genitori della donna, ha ben evidenziato che, in più occasioni, la moglie e la figlia del ricorrente venivano cacciate di casa e costrette a rifugiarsi a casa dei genitori della donna. Non si è, pertanto, neppure di fronte alla cessazione della coabitazione ma ad una sua frammentazione, spesso per iniziativa dell'imputato e anche questa rilevante ai fini della integrazione delle condotte di maltrattamento, fasi seguite dalla ripresa della coabitazione, anche per assistere l'imputato, durante la quale si verificavano, soprattutto nei periodi in cui l'imputato non assumeva la terapia prescrittagli, reiterati episodi di aggressione e violenza, analiticamente descritti nelle sentenze impugnate e culminati nell'episodio non contestato del omissis a seguito del quale la moglie e la figlia del ricorrente riportavano lesioni. 3.La sentenza impugnata ha anche esaminato la sussistenza dell'elemento psicologico del reato e con argomentazioni logiche pertanto incensurabili in questa sede ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il dolo, in relazione al delitto di cui all'articolo 572 c.p., non richiede la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima, essendo, invece, sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in un'attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima Sez. 6, numero 25183 del 19/06/2012, R, Rv. 253042 . Sul dolo non incidono le descritte condizioni patologiche dell'imputato, neppure prospettate in termini di tale serietà ed incidenza da escludere la capacità di intendere e di volere, costituendo, al contrario, uno dei possibili moventi della condotta illecita. 4.Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione della causa di inammissibilità, al pagamento di una somma come indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.