Impossibile parlare di coltivazione domestica mirata all’esclusivo uso personale del coltivatore. Legittima l’analisi tossicologica compiuta, a seguito di un campionamento, solo su sei piante.
Impossibile parlare di coltivazione domestica a fronte di ben ventiquattro piante di marijuana e della potenziale produzione di quasi mille dosi singole. Conseguente, quindi, la condanna per produzione illecita di sostanze stupefacenti . A finire sotto processo è un uomo. A lui viene contestato di «aver coltivato, nel giardino di una casa in stato di abbandono e nella sua esclusiva e diretta disponibilità, ventiquattro piante di marijuana, di cui cinque interrate e diciannove in vaso». In primo grado i giudici optano per la non punibilità. Questa decisione viene ribaltata completamente in Appello i giudici optano per la condanna a sedici mesi di reclusione, con annessa multa di quattromila euro. In particolare, in secondo grado viene sancita la correttezza degli «accertamenti, condotti dal personale del Laboratorio Analisi chimiche dell'ospedale, su un campione per quattro diverse tipologie omogenee di piante ovvero piante piccole con influorescenza, piante grandi, piante grandi in vaso e pianta verde » e viene sottolineato che «in tutti i campioni esaminati è stato riscontrato un principio attivo superiore alla soglia minima». Questo dato, corroborato dal «rilevante numero di dosi ricavabili», legittima la condanna, anche perché, viene sottolineato, «l'uomo non ha addotto alcuna giustificazione in ordine alla coltivazione né esigenze di uso personale». Inutile il ricorso proposto in Cassazione dall'uomo. I giudici di terzo grado ne confermano difatti la condanna, così come stabilita in Appello. In prima battuta viene ribadita la legittimità dell'«analisi tossicologica compiuta, a seguito di un campionamento, solo su sei piante delle ventiquattro sottoposte a sequestro». Su questo fronte i giudici ribadiscono che «in caso di rinvenimento di una piantagione destinata alla produzione di sostanze stupefacenti, la polizia giudiziaria ben può limitare il sequestro ad alcune piante scelte a campione, procedendo contestualmente alla distruzione delle altre». Inoltre, «a fronte del sequestro delle piante, poi, le analisi sulla sostanza stupefacente da parte dei laboratori o dei consulenti tecnici incaricati vengono effettuate non già sull'intero quantitativo di sostanza stupefacente in sequestro, bensì su singoli campioni debitamente repertati, rappresentativi della partita da cui il campione è stato prelevato». Ebbene, in questa vicenda «la procedura adottata è stata corretta, in quanto nel verbale della Azienda sanitaria locale si dà atto che il campionamento è stato operato sulla base della stessa tipologia di piante con un giudizio di tipo tecnico». Così, a fronte di un campionamento correttamente attuato, «l'estensione dei risultati delle analisi effettuate sul campione alle altre piante facenti parte del medesimo gruppo è operazione legittima». Dalla Cassazione respingono anche l'ipotesi che «la coltivazione fosse attuata per un mero consumo personale». In questa ottica i giudici osservano che «l'uomo aveva affermato, all'atto dell'ispezione, il consumo personale in relazione ad un modesto quantitativo di marijuana, pari a circa 10 grammi, custodita in uno zaino» e spontaneamente consegnata agli uomini delle forze dell'ordine, mentre «nulla aveva dichiarato in merito alle ragioni della coltivazione». Allo stesso tempo, per certificare la rilevanza penale della coltivazione viene posto in risalto «il dato relativo al numero delle singole dosi ricavabili dal quantitativo di principio attivo, incompatibile», sottolineano i giudici, «con la nozione di coltivazione domestica di minime dimensioni». Per essere precisi, «quale indice di una coltivazione di sostanza stupefacente penalmente rilevante, cioè non rivolta in via esclusiva all'uso personale del coltivatore» viene valorizzata «l'entità della coltivazione avente ad oggetto ventiquattro piante e il dato ponderale, ovvero il numero di dosi ricavabili dalla sostanza coltivata, pari a 946 dosi singole». Impossibile, quindi, parlare di «coltivazione di sostanze stupefacenti a carattere domestico».
Presidente Ferranti – Relatore Ricci Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Firenze, in riforma della sentenza di assoluzione del GUP del Tribunale di Lucca emessa in rito abbreviato, ha ritenuto l'imputato C.F. responsabile del reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, articolo 73, comma 4 per aver coltivato, nel giardino di una casa in stato di abbandono e nella sua esclusiva e diretta disponibilità, ventiquattro piante di marijuana di cui cinque interrate e diciannove in vaso e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, lo ha condannato alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed Euro 4000,00 di multa. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato con il difensore, formulando due motivi. Con il primo motivo ha dedotto la violazione di legge in relazione alle modalità del campionamento effettuato dal laboratorio di analisi. Osserva il ricorrente che l'autorità giudiziaria non aveva nel caso in esame disposto alcun campionamento, ma aveva trasmesso alla asl competente le ventiquattro piante sequestrate, affinché ne accertasse la natura e la quantità di principio attivo. La Asl aveva, indi, effettuato le analisi solo su sei piante, dopo aver raggruppato l'intero quantitativo non già sulla base della specie botanica, bensì solo in base alla grandezza delle piante e alla presenza o meno di un vaso, sicché i risultati relativi ai sei campioni non avrebbero potuto essere estesi alle altre piante non analizzate. Con il secondo motivo ha dedotto la illogicità della motivazione. La Corte avrebbe ritenuto superati i valori soglia in tutti i campioni analizzati quando invece tali valori non erano superati in relazione alla pianta verde 0.14 THC ed alle piante grandi in vaso 0,14 THC ed avrebbe arbitrariamente ritenuto di estendere i risultati delle analisi sulle piante campionate anche alle altre piante. Inoltre la Corte avrebbe escluso che la coltivazione fosse per uso personale sulla base del rilievo che nulla in tal senso aveva detto lo stesso imputato, quando, invece, sia al momento della consegna dello stupefacente agli inquirenti il 5.7.2015, sia con memoria successiva depositata il 28.7.2015 C. aveva riferito di essere consumatore di marijuana. 3. Il Procuratore generale, nella persona del sostituto omissis , ha chiesto rigettarsi il ricorso. 4. Con memoria datata 24.3.2022 il difensore dell'imputato ha chiesto accogliersi il ricorso e annullarsi la sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato. 2. La Corte d'Appello, dopo che il Gup aveva assolto l'imputato evidenziando che l'analisi tossicologica era stata compiuta a seguito di un campionamento arbitrario solo su sei piante delle ventiquattro sottoposte a sequestro e rilevando comunque la loro ridotta capacità drogante, ha ritenuto, invece, corretta l'operazione di campionamento delle piante effettuata dal laboratorio della ASL, previo raggruppamento delle stesse sulla base della loro tipologia, e corretta anche l'estensione dei risultati delle analisi sulle piante campionate alle altre piante facenti parte della stessa tipologia. Sulla base di tali analisi - hanno osservato i giudici - il dato complessivo di THC ricavabile dalla coltivazione praticata da C.era pari a 946 dosi medie singole. La Corte ha rilevato che gli accertamenti erano stati condotti dal personale del Laboratorio Analisi chimiche dell'ospedale omissis su un campione per quattro diverse tipologie omogenee di piante ovvero piante piccole con influorescenza, piante grandi, piante grandi in vaso e pianta verde e che in tutti i campioni esaminati era stato riscontrato un principio attivo superiore alla soglia minima. A fronte di tale dato e del rilevante numero di dosi ricavabili, l'imputato non aveva addotto alcuna giustificazione in ordine alla coltivazione, nè esigenze di uso personale. 3. I motivi sono entrambi infondati. 3.1 Quanto al primo motivo relativo alle modalità di campionamento ed alla effettuazione delle analisi solo su un esemplare per ciascun gruppo di piante sequestrate, preliminarmente va chiarito che, in caso di rinvenimento di una piantagione destinata alla produzione di sostanze stupefacenti, la polizia giudiziaria ben può limitare il sequestro ad alcune piante scelte a campione, procedendo contestualmente alla distruzione delle altre, e nella selezione delle piante da sottoporre al vincolo, non deve adottare le modalità previste dal D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 87, atteso che tale disposizione disciplina la campionatura dello stupefacente già oggetto di cautela reale e non l'estrazione preliminare alla sua apposizione Sez. 4, numero 43184 del 20/09/2013 Ud., Carioti e altro Rv. 258094 - 01 . A fronte del sequestro delle piante, poi, le analisi sulla sostanza stupefacente da parte dei laboratori o dei consulenti tecnici incaricati vengono effettuati non già sull'intero quantitativo di sostanza stupefacente in sequestro, bensì su singoli campioni debitamente repertati, rappresentativi della partita da cui il campione è stato prelevato. Fra l'altro questa Corte ha anche chiarito che la consulenza disposta dal pubblico ministero su campioni di sostanze stupefacenti non costituisce accertamento tecnico irripetibile, atteso che tali sostanze conservano nel tempo le intrinseche caratteristiche e possono, pertanto, ove necessario, essere sottoposte a nuovo esame Sez. 4, numero 53547 del 08/11/2017 Pisano, Rv. 271684 - 01 Sez. 4, numero 34176 del 19/07/2012, Minniti Rv. 253529 - 01 con riferimento specifico alle piante di canapa indiana . Nel caso in esame la procedura adottata è stata corretta, in quanto nel verbale della Asl si dà atto che il campionamento è stato operato sulla base della stessa tipologia di piante con un giudizio di tipo tecnico non sindacabile in questa sede. A fronte di un campionamento correttamente attuato, l'estensione dei risultati delle analisi effettuate sul campione alle altre piante facenti parte del medesimo gruppo è operazione esente da censure. 3.2 Il secondo motivo relativo alla illogicità della motivazione della sentenza della Corte nella parte in cui non prende in considerazione l'ipotesi che la coltivazione fosse attuata per il consumo personale del C. è parimenti infondato. Nel caso in esame il ricorrente, all'atto dell'ispezione, aveva affermato il consumo personale in relazione ad un modesto quantitativo di sostanza stupefacente del tipo marijuana, pari a circa 10 gr., custodita nello zaino e spontaneamente consegnata agli operanti, mentre nulla aveva dichiarato in merito alle ragioni della coltivazione. Così pure nella memoria datata 28.7.2015 il ricorrente si era limitato a chiedere un accertamento tecnico ex articolo 360 c.p.p. sulle piante sequestrate al fine di verificarne, per ciascuna di esse natura e quantitativo di principio attivo, e a richiedere che fosse utilizzato quale parametro quello della Q.M.D. quantità massima detenibile idonea per dimostrare la costituzione di una piccola scorta che risulti compatibile con la destinazione del prodotto detenuto e coltivato con un consumo esclusivamente personale . Anche in tale occasione, dunque, non aveva dedotto alcuna indicazione relativa alla sua condizione personale, ma aveva fatto solo una affermazione di carattere generale. La Corte, dunque, ha rilevato che l'imputato non aveva addotto alcuna giustificazione in merito alle ragioni della coltivazione, conformemente alle emergenze processuali, e, nell'affermare la rilevanza penale della coltivazione in esame, ha posto in risalto il dato relativo al numero delle singole dosi ricavabili dal quantitativo di principio attivo, incompatibile con la nozione di coltivazione domestica di minime dimensioni. È noto che le Sezioni Unite della Corte avevano in passato affermato la penale rilevanza di ogni condotta che si traduca in un'attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale cfr. Sez. U., numero 28605 del 24/4/2008, Di Salvia, Rv. 239920 . Si erano, in seguito, registrate pronunce di legittimità che avevano ratificato decisioni di assoluzione in ordine alla coltivazione domestica di stupefacente fondate sull'assenza in concreto della offensività della condotta cfr. sez. 4, numero 25674 del 17/2/2011, Rv. 250721, sez. 6, numero 33385 del 8/4/2014, Rv. 260170 sez. 6, numero 22110 del 2/5/2013, Rv. 255733 . Le Sezioni Unite hanno, così, composto il contrasto affermando che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente, ma che devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all'ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore Sez. U. numero 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, Caruso Giuseppe, Rv. 278624 . Nel caso in esame, la Corte d'appello ha valorizzato, quale indice di una coltivazione di sostanza stupefacente penalmente rilevante in quanto non rivolta in via esclusiva all'uso personale del coltivatore, l'entità della coltivazione avente ad oggetto ventiquattro piante e il dato ponderale, ovvero il numero di dosi ricavabili dalla sostanza coltivata, pari a 946 dosi singole, giungendo alla conclusione che quella coltivazione non potesse considerarsi neutra, pur in assenza di altri indici. La motivazione adottata, aderente ai dati emergenti dalle indagini e rispondente ai principi adottati da questa Corte in ordine ai presupposti per ritenere la coltivazione di sostanza stupefacente a carattere domestico, vale a supportare l'affermazione della responsabilità penale del ricorrente. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.