Farmaci a raffica agli anziani ospiti della Casa famiglia: legittima la condanna del titolare

Alla persona che gestiva la struttura sono addebitati i reati di maltrattamenti in famiglia e di lesioni personali. Inequivocabili i comportamenti da lui tenuti nei confronti, in particolare, di due uomini, sottoposti a una ingiustificata abnorme somministrazione di farmaci.

Farmaci a raffica per tenere buoni gli anziani ospiti della Casa-famiglia. Legittima la condanna del titolare della struttura, ritenuto colpevole di maltrattamenti in famiglia e di lesioni personali. A essere prese in esame sono le precarie condizioni riscontrate su due uomini ospitati nella Casa-famiglia e provocate da una evidente trascuratezza e dal ricorso a un'eccessiva e ingiustificata somministrazione di farmaci. Per i giudici di merito è inequivocabile il quadro probatorio emerso. Ciò comporta la condanna, sia in primo che in secondo grado, del titolare della struttura, arrestato a fine maggio del 2018, sanzionato in Tribunale con otto anni di reclusione, pena poi ridotta in Appello a sei anni e otto mesi di reclusione. Sulla stessa linea si attesta anche la Cassazione, respingendo le obiezioni difensive mirate a ridimensionare la gravità delle condotte contestate al titolare della Casa-famiglia. Per quanto concerne il primo anziano – Paolo, nome di fantasia –, i giudici sottolineano che gli sono stati somministrati «in modo abnorme farmaci ad azione psicotropa» e ciò al fine di «ridurlo in uno stato di costante sopore». Da tale condotta è derivata la conseguenza di «aver posto Paolo in pericolo di vita». Su questo fronte i giudici sottolineano che «la situazione di grave intossicazione in cui versava Paolo, cagionata dalla eccessiva somministrazione di psicofarmaci, se non interrotta avrebbe condotto all'aggravarsi delle condizioni generali, determinandone la morte». E in questa ottica è irrilevante l'osservazione centrata sul fatto che «Paolo, una volta ricoverato in ospedale, non ha avuto necessità di particolari terapie salvavita», poiché «l'elemento che ha interrotto il decorso, che avrebbe condotto alla morte di Paolo, è consistito in primo luogo nell'interruzione della somministrazione, in dosi elevatissime, dei farmaci indebitamente fatti assumere all'anziano dal titolare della ‘casa famiglia'». Identica prospettiva viene adottata anche in riferimento al deprecabile trattamento riservato a un altro ospite – Mario, nome di fantasia – della struttura. Evidenti, difatti, le lesioni riportate dall'anziano, che «presentava, al momento del ricovero in ospedale, insufficienza renale acuta ostruttiva, cagionata dal ritardo», addebitabile al titolare della ‘casa famiglia', «nel disporne il trasferimento nel nosocomio». Precedentemente, peraltro, sempre il titolare della Casa-famiglia «aveva ignorato l'indicazione proveniente dal medico interno alla struttura» in merito alla necessità di un «ricovero in ospedale» e «aveva provvedeva ad applicare un catetere a Mario, nonché a somministrargli massicce dosi di sedativi». E tali condotte, «assunte al di fuori del controllo medico», hanno determinato, sottolineano i Giudici, «un aggravamento delle già compromesse condizioni dell'anziano, cagionando un blocco renale, evento di per sé inquadrabile nell'ampia nozione delle lesioni personali».

Presidente Fidelbo – Relatore Di Geronimo Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Bologna, riformando parzialmente la sentenza di primo grado con riguardo al trattamento sanzionatorio, confermava la condanna di D.V. per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali, commesse a danni di alcuni anziani ospiti della casa-famiglia dal predetto gestita. 2. Avverso la suddetta pronuncia, l'imputato ha proposto ricorso formulando tre motivi, di seguito sintetizzati. 2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge in relazione al principio di correlazione sostenendo che, con riferimento alla condotta posta in essere ai danni della persona offesa L.D. , la sentenza avrebbe riconosciuto l'aggravante dell'aver cagionato una lesione grave, non contestata nell'imputazione. Sostiene il ricorrente che il capo di imputazione descriveva una diversa aggravante, consistente nell'esser derivato dalle condotte di maltrattamenti la morte di Lu.Da. , mentre fin dalla sentenza di primo grado era stata pronunciata condanna con riguardo all'aggravante di cui all'articolo 572, comma 4, c.p L'aggravante riconosciuta, pertanto, consisterebbe in un evento del tutto diverso, rispetto al quale l'imputato non era stato posto in condizioni di difendersi. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso, deduce violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la Corte di appello errato nel giudicare la gravità delle condizioni di salute di L.D. che, al momento del ricovero in ospedale, non presentava un imminente pericolo di vita, non necessitava di specifiche terapie d'urgenza ed era deceduto a distanza di circa tre mesi dal ricovero. 2.3. Con il terzo motivo di ricorso, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di lesioni aggravate commesso ai danni di T.L. . La Corte di appello, in particolare, avrebbe formulato il giudizio di responsabilità in assenza di elementi probatori e travisando le conclusioni cui era giunto lo stesso consulente del Pubblico ministero. Le prove acquisite, infatti, non consentirebbero di ritenere sussistente il nesso causale tra la condotta attribuita all'imputato e lo stato patologico riscontrato al momento del ricovero in ospedale di T.L. . Considerato in diritto 2. La dedotta violazione del principio di correlazione non sussiste, essendo condivisibili le osservazioni sul punto svolte dalla Corte di appello, volte ad evidenziare come, a fronte dell'originaria contestazione dell'aver cagionato la morte di L.D. , l'imputato era stato posto in condizione di conoscere i fatti in concreto oggetto dell'addebito e fin dalla sentenza di primo grado risulta aver interloquito in ordine al riconoscimento dell'aggravante dell'aver cagionato alla persona offesa lesioni gravi. Secondo consolidata giurisprudenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione Sez.U, numero 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 . In applicazione di tale principio, si è recentemente affermato che il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato quando nei fatti, rispettivamente descritti e ritenuti, non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, in rapporto di eterogeneità ed incompatibilità, rendendo impossibile per l'imputato difendersi Sez.3, numero 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun, Rv. 281477 . Nel caso di specie, il fatto storico è rimasto sostanzialmente immutato, essendosi contestato all'imputato di aver somministrato alla persona offesa farmaci ad azione psicotropa in modo abnorme ed al fine di ridurre l'anziano ospite della casa famiglia in uno stato di costante sopore. Ciò che è mutata, quindi, non è la descrizione della condotta, bensì l'individuazione delle conseguenze della stessa, posto che a fronte della più grave contestazione iniziale dell'aver cagionato la morte di L. , è stata riconosciuta la più lieve ipotesi dell'aver messo in pericolo di vita la persona offesa, in tal modo ritenendo sussistente l'aggravante delle lesioni gravi. Nel caso di specie, tuttavia, si è evidentemente in presenza di una condotta lesiva di beni giuridici omogenei - diritto alla vita ed alla salute - a fronte della quale l'avvenuta contestazione dell'evento maggiore morte , implicitamente ricomprende anche l'evento minore lesioni gravi . 3. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta l'avvenuto riconoscimento del pericolo di vita che sarebbe conseguito per effetto della massiccia somministrazione di psicofarmaci a L.D. . Si assume, infatti, che l'aggravante di cui al combinato disposto dell'articolo 572 c.p. e articolo 583 c.p., comma 1, presuppone che il pericolo di vita sia attuale e concreto, condizioni non ricorrenti secondo il giudizio della difesa. 3.1. Sul punto si segnala la convergente motivazione delle sentenze di merito, entrambe incentrate sulle risultanze dell'accertamento svolto dal consulente del pubblico ministero, secondo il quale la situazione di grave intossicazione in cui versava L. , cagionata dalla eccessiva somministrazione di psicofarmaci, se non interrotta avrebbe condotto all'aggravarsi delle condizioni generali, determinando la morte della persona offesa. Rispetto a tale conclusione, i giudici di merito hanno esaminato anche le osservazioni svolte dal consulente della difesa, ritenendo - con motivazione di merito non sindacabile in assenza di profili di illogicità e contraddittorietà - che non vi fossero elementi per superare il giudizio formulato dai consulenti dell'accusa. Nè vale osservare che L. , una volta ricoverato in ospedale, non avrebbe avuto necessità di particolari terapie salvavita. Invero, i giudici di merito hanno chiaramente evidenziato come l'elemento che ha interrotto il decorso, che avrebbe condotto alla morte della persona offesa, è consistito in primo luogo nell'interruzione della somministrazione, in dosi elevatissime, dei farmaci indebitamente fatti assumere dall'imputato. Anche su tale aspetto, pertanto, la motivazione è logica ed immune da censure. Quanto detto conduce a ritenere che il vaglio di merito in ordine alla concreta idoneità delle condotte dell'imputato a porre a rischio la vita di L.D. sia stato compiutamente svolto dai giudici di merito, non essendo consentito in sede di legittimità sottoporre ad un'ulteriore valutazione in punto di fatto le suddette conclusioni. 4. Il terzo motivo di ricorso concerne la condotta posta in essere ai danni di T.L. , in relazione alla quale l'imputato sostiene che la Corte di appello avrebbe ritenuto la sussistenza delle lesioni aggravate in assenza di una corretta valutazione dei dati probatori acquisiti sul punto e, sostanzialmente, basandosi su una valutazione scientifica dei dati compiuta direttamente dal collegio giudicante. La Corte di appello ha motivato il riconoscimento delle lesioni personali sottolineando come, al momento del ricovero di T. , questi presentava insufficienza renale acuta ostruttiva, cagionata dal ritardo da parte dell'imputato nel disporne il trasferimento in ospedale. Maggiormente dettagliata è la sentenza di primo grado che, sul punto, integra quella di appello, lì dove si dà atto di come l'imputato, ignorando l'indicazione proveniente dal medico interno alla struttura secondo il quale sarebbe stato necessario il ricovero in ospedale, provvedeva ad applicare un catetere all'anziano degente, nonché a somministrare massicce dosi di sedativi. Tali condotte, assunte al di fuori di controllo medico, determinavano un aggravamento delle già compromesse condizioni dell'anziano, cagionandole un blocco renale, evento di per sé inquadrabile nell'ampia nozione di lesioni personali. Le doglianze della difesa, pertanto, non colgono nel segno, posto che si limitano a confutare la sussistenza del pericolo di vita, senza considerare che tale pericolo non è stato riconosciuto neppure nelle conformi sentenze di merito, con le quali si è solo ritenuto, con motivazione logica ed immune da censure, che le condotte poste in essere dall'imputato hanno aggravato le condizioni di salute di T. , per ciò solo integrando il reato di lesioni personali di cui all'articolo 582 c.p 5. Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché di quelle di difesa sostenute dalle parti civili costituite. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in Euro 3.510,0 oltre accessori di legge, in favore del Comune di San Lazzaro di Savena, in Euro 3.015,00 oltre accessori di legge, in favore della OMISSIS , in Euro 3.510,00, oltre accessori di legge, in favore di T.S. .