Marito aggredisce e minaccia la moglie: deve risarcirle non solo le lesioni fisiche ma anche il danno morale

Da ricalcolare in aumento il ristoro economico stabilito in Appello e fissato in duemila euro. Necessario, difatti, tenere conto non solo dell’inabilità temporanea riportata dalla donna a causa dei comportamenti del marito, ma anche del danno morale e alla vita di relazione da lei riportato.

Se il marito aggredisce e minaccia la moglie, deve risarcirle non solo le lesioni causate sul piano fisico ma anche il danno morale e alla vita di relazione da lei riportato. All'origine della vicenda è l'aggressione messa in atto da un uomo – Saverio, nome di fantasia – ai danni della moglie – Elena, nome di fantasia –. Primo fronte giudiziario è quello penale i giudici escludono la condanna penale per il reato di maltrattamenti in famiglia ma sanzionano comunque l'uomo per le lesioni e le minacce realizzate nei confronti della consorte. Secondo strascico giudiziario è quello civile. Su questo fronte Saverio viene obbligato a versare ad Elena 7mila euro come risarcimento. In Appello, però, preso atto della caduta dell'accusa relativa al reato di maltrattamenti in famiglia, il ristoro economico viene ridimensionato e fissato in 2mila euro. I giudici osservano che «nessun contributo tecnico-probatorio è stato indicato dalla signora, non essendovi stata consulenza tecnica sul suo stato psico-fisico» e richiamano poi «i dati certi emergenti dal procedimento penale, costituiti dall'esistenza concreta delle lesioni e delle escoriazioni, guaribili in sette giorni» riportate dalla donna. Altro elemento certo, alla luce del procedimento penale, è «la gravità dei comportamenti posti in essere dall'uomo nei confronti della moglie, comportamenti qualificati come minacce ripetute e gravi». Inutile il ricorso in Cassazione proposto dall'uomo e mirato a mettere in discussione la cifra stabilita come risarcimento in favore della moglie. Questa cifra è invece destinata ad essere ancora aumentata. Ciò perché sono ritenute legittime le osservazioni proposte da Elena e centrate sulla considerazione che «fissando il risarcimento di 2mila euro a titolo di danno biologico» non si è tenuto conto delle «ulteriori voci di danno» da lei sofferte, e cioè, in particolare, «il danno morale e alla vita di relazione causati dai reati compiuti dal marito, correttamente riconosciuti in sede penale». Su questo punto i Giudici di terzo grado richiamano la «sofferenza continua» subita dalla donna a causa dei gravi comportamenti posti in essere nei suoi confronti dal marito. Non sufficiente, quindi, il risarcimento poggiato solo sul «riconoscimento della inabilità temporanea» subita dalla donna. Necessario perciò un nuovo giudizio in Appello per ampliare il ristoro economico in favore di Elena, considerando anche il danno morale subito a causa dei comportamenti tenuti tra le mura domestiche dal marito.

Presidente Graziosi – Relatore Pellecchia Rilevato che 1. La questione trae origine dalla aggressione subita da A.G. da parte del marito C.E. . Per quel che qui rileva, all'esito del giudizio penale per i reati di cui agli articolo 572,582 e 585 c.p., perpetrati nei confronti della moglie, il Tribunale di Udine ha dichiarato il C. responsabile dei reati a lui ascritti, limitatamente all'anno 2014, e lo ha condannato alla pena di due anni di reclusione e alla corresponsione di Euro 7.000,00 in favore della parte civile, a titolo di risarcimento dei danni subiti. La Corte d'appello di Trieste con sentenza numero 582/2017, facendo applicazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, ha assolto l'imputato dall'accusa di maltrattamenti, anche per l'anno 2014, non reputando gli elementi di prova raccolti sufficienti a sostenere tale ipotesi accusatoria. La Corte ha ritenuto che i fatti commessi dal C. dovessero essere esaminati singolarmente e riqualificati quali reati di minacce e di lesioni, condannandolo alla pena di sei mesi di reclusione. Ciononostante, ha confermato la sentenza impugnata in merito alle statuizioni risarcitorie civili, alla luce della gravità delle lesioni cagionate e delle reiterate minacce rivolte nei confronti della A. . La Corte di Cassazione con sentenza numero 4754/19 ha annullato la sentenza impugnata relativamente alle statuizioni civili e rinviato la quantificazione del danno al giudice civile competente per valore in grado di appello. 2. La Corte d'appello di Trieste, a seguilo della riassunzione del giudizio da parte della A. , con la sentenza numero 359 del 28 luglio 2020 ha rideterminato il risarcimento dovuto dal C. , condannandolo a corrispondere alla moglie Euro 2.000,00. Ha ritenuto che nessun contributo tecnico probatorio sia stato indicato dalla signora A. non essendovi stata consulenza tecnica sullo stato psicofisico della stessa. Ha ritenuto, quindi, di valutare i dati certi emergenti dal procedimento penale costituiti dall'esistenza concreta delle lesioni, escoriazioni guaribili in sette giorni, dalla certezza acquisita per il passaggio in giudicato della sentenza penale sul punto della gravità dei comportamenti posti in essere dal C. nei confronti della moglie, qualificati come minacce ripetute e gravi. Pertanto, il giudice dell'appello per la liquidazione del danno, nell'impossibilità di utilizzare integralmente criteri di cui alle tabelle di Milano per il danno biologico, ha utilizzato il criterio equitativo puro. 3. Avverso tale pronuncia C.E. propone ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso A.G. e spiega, altresì, ricorso incidentale affidato a un solo motivo. Tutte le parti hanno depositato memorie. Considerato che 4. Con l'unico motivo di ricorso, il ricorrente principale lamenta la violazione o falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c., e degli articolo 2043, 2059 e 1226 c.c., in relazione all'articolo 2697 c.c. , per avere la Corte d'appello erroneamente applicato il criterio equitativo puro per la quantificazione del risarcimento dovuto alla A. . In particolare, il ricorrente afferma che i presupposti di applicazione del criterio equitativo siano la certezza sull'an, ossia sull'esistenza del danno, e l'incertezza non superabile sul quantum. Nel caso di specie, il secondo presupposto non doveva ritenersi sussistente, dal momento che in sede di riassunzione la A. , pur avendone la possibilità, non ha offerto elementi probatori volti alla determinazione del danno nel suo preciso ammontare. Con la conseguenza che la valutazione equitativa adottata dalla Corte ha avuto in concreto la funzione di sopperire all'inerzia della danneggiata. Il motivo è infondato. In conformità con l'orientamento di questa Corte, l'esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, purché a condizione che la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell'uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito, restando, poi, inteso che al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, occorre che il giudice indichi, anche solo sommariamente e nell'ambito dell'ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti, per determinare l'entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum, senza però che egli sia tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata di un univoco e necessario rapporto di consequenzialità di ciascuno degli elementi esaminati e l'ammontare del danno liquidato, essendo sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata Cass. civ. sez. III, 13/02/2020, numero 3691, Cass. numero 5090 del 2016 cfr., tra le altre, Cass. numero 8213 del 2013 e Cass. numero 22885 del 2015 . 5. Con l'unico motivo di ricorso incidentale, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c., nonché degli articolo 2043,2059 e 1226 c.c., in relazione all'articolo 2697 . La Corte d'appello, fissando il risarcimento di Euro 2.000,00, a titolo di danno biologico, non avrebbe tenuto in considerazione le ulteriori voci di danno sofferte dalla A. , in particolare il danno morale e alla vita di relazione causati dai reati del C. , che erano invece stati correttamente riconosciuti in sede penale. Il motivo di ricorso incidentale è fondato. Effettivamente, la Corte d'Appello a pag. 7 della sentenza impugnata ritiene di dover valutare i dati certi emergenti dagli atti del procedimento costituiti dall'esistenza concreta delle lesioni, escoriazioni guaribili in sette giorni, nonché dalla certezza, acquisita per il passaggio in giudicato della sentenza d'appello sul punto, della gravità dei comportamenti posti in essere dal C. nei confronti della moglie e qualificati come minacce gravi e ripetute profferite in molte occasioni nel contesto descritto nel corso del procedimento che non possono che aver provocato alla donna, per elementare ragionamento logico, una sofferenza continua e di facile comprensione nell'arco temporale individuato, aldilà ed a prescindere dalla qualità delle relazioni e dei ruoli dei coniugi all'interno della stessa che non legittimava comunque l'uso della violenza . Ma, dopo aver valutato l'an, il giudice del merito nell'affrontare il quantum valuta solo il riconoscimento dell'inabilità temporanea durante i sette giorni di cui al reato di lesioni, per un importo di Euro 1029 arrotondando poi ad Euro 2000 per effetto delle sofferenze derivante dalle minacce. Omette di quantificare i danni enunciati nel capoverso precedente. 6. Pertanto la Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, accogliendo invece il ricorso incidentale di A.G. come in motivazione, cassa la sentenza in relazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d'Appello di Trieste in diversa composizione. P.Q.M. la Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza in relazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d'Appello di Trieste in diversa composizione. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato articolo 13, comma 1-bis.