Respinta la domanda di rivendica avanzata dalla moglie del defunto, sul presupposto che l'anello di nozze, in seguito alla morte della persona a cui apparteneva, segue la disciplina successoria che viene ad aprirsi per legge o testamento.
La vicenda da cui origina la questione sottoposta all’esame del Tribunale di Torino riguarda la domanda di rivendica di un anello nunziale, avanzata da una donna nei confronti della figlia in quanto, al momento del decesso del padre, quest’ultima aveva sfilato dalla mano del defunto l’anello appartenutogli in vita. In particolare, la donna chiedeva che la figlia venisse condannata alla restituzione in proprio favore dell'anello di nozze, sul presupposto che la fede nuziale appartenesse al coniuge superstite, non entrando nell'asse ereditario. I Giudici respingono la richiesta, in quanto la ricorrente non aveva allegato alcun valido titolo di proprietà dell’anello di nozze, non potendo ritenersi tale quello fondato sull’affermazione secondo cui, dopo la morte della persona, «la fede nuziale appartiene al coniuge superstite e non entra nell'asse ereditario» a ciò si aggiunge il fatto che il rito cattolico, con cui i coniugi avevano contratto matrimonio, prevede «lo scambio degli anelli tra gli sposi come segno di amore e fedeltà». A riguardo, i Giudici chiariscono che è tradizione che siano i testimoni o anche uno solo di essi ad acquistare le fedi per la coppia, e, nel momento in cui l'anello viene consegnato agli sposi nel corso della celebrazione, l'oggetto - seppur avente la funzione simbolica di segno di amore e fedeltà di ciascun coniuge verso l'altro - passa nella sfera patrimoniale della persona che lo riceve. Pertanto, la fede nuziale rientra nel patrimonio della persona che la indossa, alla quale appartiene e «la quale, per assurdo, potrebbe anche disporne, in vita ed in costanza di matrimonio, a favore di persone diverse dall'altro coniuge». Ne consegue che l'anello nuziale, in seguito alla morte della persona a cui apparteneva, rientra nel patrimonio ereditario del de cuius e segue la disciplina successoria che viene ad aprirsi per legge o testamento. Nel caso in esame, dunque, la ricorrente avrebbe dovuto esperire un'azione di petizione ereditaria, e non domanda di rivendica per questi motivi, il Tribunale rigetta il ricorso.
Giudice Moroni Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con atto di citazione datato 18.09.2019 l'attrice C.O. conveniva in giudizio la figlia C.C., esponendo che, in data 17.03.2018, al momento del decesso di C.A. coniuge dell'attrice e padre della convenuta , avvenuto presso l'Ospedale [ ] di Torino, la figlia avesse sfilato l'anello nuziale dalla mano del defunto a questi appartenuto in vita. Sul presupposto che la fede nuziale appartenesse al coniuge superstite, non entrando nell'asse ereditario, l'attrice chiedeva che la convenuta venisse condannata alla restituzione in proprio favore dell'anello di nozze o, in subordine, al risarcimento del danno, quantificato in Euro 50.000,00 da devolversi in beneficienza all'ente . Regolarmente costituitasi in giudizio, la convenuta - preliminarmente eccepita la nullità dell'atto di citazione ex articolo 163, comma 3, nnumero 3 e 4 e 164, comma 4 c.p.c. - contestava integralmente la ricostruzione in fatto offerta da controparte, sostenendo come fosse stata proprio l'attrice a consegnarle, il giorno in cui il padre era mancato, la fede nuziale in ricordo del genitore appena scomparso. Nel merito, la C. concludeva per l'infondatezza delle domande attoree, chiedendone il rigetto. Quindi, rigettata l'eccezione di nullità sollevata da parte convenuta, assegnati alle parti i termini per il deposito di memorie di cui all'articolo 183 VI comma c.p.c., il Giudice, ritenendo superflua l'istruttoria orale richiesta dalle parti ai fini della decisione, invitava le parti a precisare le conclusioni, rassegnate all'udienza del 14.09.2021, all'esito della quale, quindi, la causa veniva trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini di cui all'articolo 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. La domanda svolta dall'attrice nel presente giudizio non è meritevole di accoglimento. Invero, la domanda in oggetto, per come formulata ed argomentata da parte attrice, deve qualificarsi come azione di rivendica, in quanto volta, appunto, a rivendicare la proprietà esclusiva della fede nuziale appartenuta in vita al defunto marito C.A., così da ottenerne la conseguente restituzione. Sennonché, l'azione di rivendica presuppone, in primo luogo, che venga allegato il titolo di proprietà esclusiva sul quale l'azione stessa si fonda. Orbene, ritiene il Giudice come, sotto tale specifico profilo, la C. non abbia allegato alcun valido titolo di proprietà tale da giustificare la sua iniziativa giudiziale, non potendo ritenersi tale quello fondato sulla apodittica affermazione secondo cui, dopo la morte della persona, la fede nuziale appartiene al coniuge superstite e non entra nell'asse ereditario . Né può condividersi l'affermazione pure rimasta indimostrata secondo cui l'anello nuziale indossato dal marito dell'attrice era in realtà di proprietà di quest'ultima e quello indossato da lei era di proprietà del marito , prevedendo il rito cattolico, con cui i coniugi avevano contratto matrimonio, lo scambio degli anelli tra gli sposi come segno di amore e fedeltà . Premesso, al riguardo, che è costume e tradizione che siano i testimoni o anche uno solo di essi ad acquistare le fedi per la coppia cosicché se la C. si fosse discostata da tale usanza avrebbe dovuto darne puntuale dimostrazione , è chiaro comunque come, nel momento in cui l'anello viene consegnato agli sposi nel corso della celebrazione, l'oggetto - seppur avente la funzione simbolica di segno di amore e fedeltà di ciascun coniuge verso l'altro - passi nella sfera patrimoniale della persona che lo riceve. Deve, dunque, ritenersi pacifico che la fede nuziale rientri nel patrimonio della persona che la indossa, alla quale pertanto appartiene e la quale, per assurdo, potrebbe anche disporne, in vita ed in costanza di matrimonio, a favore di persone diverse dall'altro coniuge. Ne consegue come l'anello nuziale, in seguito alla morte della persona a cui apparteneva, rientri nel patrimonio ereditario del de cuius e segua la disciplina successoria che viene ad aprirsi per legge o testamento. L'attrice, dunque, avrebbe dovuto al più esperire un'azione di petizione ereditaria. Nel caso di specie, peraltro, la successione ereditaria di C.A. è regolata dal testamento olografo del [ ] che è oggetto di altro giudizio tra le parti, volto a dirimere la disputa legata alla interpretazione della volontà testamentaria del de cuius. Dal mancato accoglimento della domanda principale consegue il rigetto della domanda risarcitoria che strettamente connessa alla mancata restituzione dell'anello ma sempre sul presupposto che l'oggetto appartenga alla C. se l'anello nuziale appartiene alla vedova, la mancata restituzione dà diritto al risarcimento del danno . Poiché nella presente sede è stata rigettata la domanda di rivendica avente ad oggetto il riconoscimento della proprietà, in capo all'attrice, dell'anello nuziale defunto marito, dovendo, invece, ritenersi tale oggetto rientrante nel compendio ereditario morendo dismesso dal de cuius, è chiaro come pure la domanda risarcitoria debba essere rigettata. Da ultimo non può trovare accoglimento la domanda della convenuta di condanna ex articolo 96 c.p.c. per avere l'odierna attrice agito con malafede o colpa grave. La C. ha, infatti, introdotto il giudizio non già con la consapevolezza di essere priva di qualsiasi prova delle proprie asserzioni ma, piuttosto, sulla base di una differente interpretazione della disciplina giuridica che regola le sorti della fede nuziale posizione che, peraltro, seppur il giudice ha ritenuto di non accogliere dal punto di vista processuale, risulta comunque più che comprensibile dal punto di vista umano atteso ciò che simboleggia l'anello nuziale nel rapporto tra gli sposi, rapporto cui sono sostanzialmente estranei i figli . Non appare, pertanto, integrata la previsione dell'articolo 96 c.p.c., a norma della quale il giudice può condannare al risarcimento dei danni la parte soccombente che ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave . Rimane da affrontare il profilo della disciplina delle spese di lite, in ordine al quale ritiene il Giudice di dover disporre la integrale compensazione, tenuto conto della assoluta novità della questione trattata , non constando precedenti pronunce sul punto. P.Q.M. il Tribunale di Torino, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando rigetta le domande di parte attrice. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite.