Sequestro preventivo finalizzato alla confisca, la Cassazione precisa la nozione di profitto

In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, costituisce profitto del reato anche il bene acquistato con somme di denaro illecitamente conseguite, quando l'impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all'autore di quest'ultimo .

Con la sentenza in esame, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla validità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di somme di denaro nella disponibilità dell'imputato, costituenti il profitto del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale da quest'ultimo commesso in relazione al fallimento di una s.p.a. Nello specifico, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 240 c.p. e 321 c.p.p., in quanto difetterebbe il nesso pertinenziale tra il delitto di bancarotta fraudolenta e la somma oggetto di sequestro, non derivando essa in via diretta ed immediata da tale delitto. La doglianza è infondata. La Corte di Cassazione, infatti, ha chiarito che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca costituisce profitto del reato anche il bene acquistato con somme di denaro illecitamente conseguite, quando l'impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all'autore di quest'ultimo Cass. pen., sez. unite, n. 10280/2007 . In particolare, i Giudici precisano che nel concetto di prodotto o provento di reato vanno compresi non soltanto i beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto e immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilità che lo stesso realizza come effetto anche mediato ed indiretto della sua attività criminosa . Pertanto, qualsiasi trasformazione che il denaro illecitamente conseguito subisca per effetto di investimento dello stesso deve essere considerata profitto del reato quando sia causalmente collegata al reato stesso ed al profitto immediato - il denaro - conseguito e sia soggettivamente attribuibile all'autore del reato, che quella trasformazione abbia voluto . Ne consegue che il bene costituente profitto del reato è suscettibile di confisca diretta ogni qualvolta esso sia ricollegabile causalmente in modo preciso all' attività criminosa posta in essere dall' agente . Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Presidente De Marzo – Relatore Romano Ritenuto in fatto 1. Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Milano, accogliendo parzialmente l'appello del Pubblico ministero avverso il decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano del 10 marzo 2021, ha disposto il sequestro preventivo della somma di Euro 4.800.000,00 nei confronti di T.G. 2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano aveva richiesto al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano il sequestro preventivo di somme di denaro nella disponibilità di diversi soggetti - e tra questi anche di T.G. - e costituenti il profitto dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale da essi commessi in relazione al fallimento della omissis in breve omissis , dichiarata fallita il omissis . Secondo l'ipotesi accusatoria, per quanto di interesse in questa sede, T.G., quale amministratore della fallita e di altre società a questa collegate, agendo in concorso con altri soggetti, avrebbe distratto la somma di Euro 6.000.000,00 mediante prelievi sui conti intestati alla società o dalla cassa della società e poi facendo affluire le somme così prelevate sul conto corrente bancario di T.F.C. o impiegati da T.V.E. per spese proprie o di familiari capo b , nonché, in concorso con altri soggetti, avrebbe trasferito alla controllante omissis la somma complessiva di Euro 25.850.000, di cui Euro 4.500.000,00 a titolo di dividendi ed Euro 21.350.000,00 per finanziamenti, oltre ad Euro 6.191.205,00 a titolo di crediti per consolidato fiscale e poi tale somma, attraverso le società omissis , sarebbe stata riversata su conti intestati ai vari soci coamministratori capo d . 3. Il Giudice per le indagini preliminari, con il decreto del 10 marzo 2021, pur ritenendo sussistente il fumus dei delitti contestati, ha ritenuto che, trattandosi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta ed occorrendo quindi l'accertamento del nesso pertinenziale tra la somma sequestrata ed il reato, non potesse prescindersi, in caso di concorso di persone nel reato, dall'effettivo vantaggio conseguito dal singolo concorrente e quindi non potesse essere disposto un sequestro nei confronti di chi non avesse materialmente appreso tale profitto. Ha osservato che, nel caso di specie, l'analisi effettuata dal consulente tecnico del Pubblico ministero si limitava a descrivere i flussi di denaro senza un preciso riferimento temporale non era sempre possibile stabilire se gli spostamenti di denaro dai conti della fallita a quelli della holding e poi da questa alle società controllate e quindi agli indagati fossero contestuali e quindi facessero parte di un'operazione unitaria o se, ferma la foro natura distrattiva già al momento del trasferimento alla holding, rispondessero a logiche diverse e comunque non era sempre possibile stabilire in modo certo quali indagati ed in che misura ne avessero beneficiato. Il Giudice per le indagini preliminari ha pure escluso il periculum in mora, osservando che la durata delle condotte e la loro risalenza nel tempo, nonché la natura del bene distratto e la notorietà del procedimento penale non consentivano di affermare che, durante l'ulteriore corso del procedimento, sussistesse il pericolo che il bene confiscabile potesse essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato o alienato. 4. Il Tribunale del riesame, come si è già detto, accogliendo parzialmente l'appello del Pubblico ministero, ha disposto con distinte ordinanze il sequestro delle somme di cui ha ritenuto accertata la distrazione in favore di ciascuno dei vari concorrenti nei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e, quanto a T.G., ha determinato l'importo della somma da sequestrare in Euro 4.800.000,00. 5. Avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame che lo riguarda ha proposto ricorso T.G., a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando cinque motivi. 5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. c , la mancanza o mera apparenza della motivazione per non avere il Tribunale del riesame argomentato la sua decisione in modo tale da far ritenere superati i rilievi del Giudice per le indagini preliminari che aveva escluso che fosse stato dimostrato il nesso pertinenziale tra le somme da sequestrare ed i reati contestati e che non era possibile stabilire quali indagati ed in che misura avessero tratto profitto dalle condotte delittuose. 5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. c , la ‘mancanza o mera apparenza della motivazione per non essersi il Tribunale del riesame confrontato con gli argomenti posti dal Giudice per le indagini preliminari a sostegno della negazione del periculum in mora. In proposito il Tribunale del riesame si è limitato ad affermare che dalla ricostruzione del consulente tecnico del Pubblico ministero emergeva una spiccata capacità di distribuzione del profitto illecito da parte dei coindagati in numerose e ramificate modalità, che era stato possibile ricostruire solo per i percorsi tracciabili , e quindi con esclusione delle somme uscite per contanti, e che tale circostanza rendeva immanente il rischio di aggravamento delle conseguenze del reato. In tal modo il Tribunale del riesame ha omesso di confutare gli argomenti addotti dal Giudice per le indagini preliminari, limitandosi a motivare in modo meramente apparente. In realtà la massima parte dei movimenti era tracciabile ed era avvenuta in Italia e non su conti esteri e comunque gran parte dei movimenti da omissis alle società omissis costituivano restituzione di finanziamenti in precedenza ricevuti dalla Holding e provenienti dalle predette società ed erano avvenuti in un periodo di estrema floridità dell'intero gruppo societario. Inoltre, non si era tenuto conto che le società beneficiarie dei finanziamenti e le società immobiliari erano rientrate nel perimetro di omissis e pertanto gli amministratori avevano fatto rientrare nel patrimonio della omissis ciò che ne era uscito a titolo di investimento immobiliare. 5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. c , la mancanza o mera apparenza della motivazione per non avere il Tribunale del riesame esaminato taluni punti che il ricorrente assume essere decisivi. Nella memoria difensiva depositata innanzi al Tribunale del riesame si era dedotto che 1 il finanziamento da […]alla omissis era stato erogato quasi interamente prima del 2012, quando il gruppo societario versava in floride condizioni ed appariva opportuno diversificare gli investimenti nel settore immobiliare 2 nel 2016, la omissis , con un patrimonio di 17 milioni di Euro, era stata conferita a […] e prima dell'istanza di fallimento anche altre società del gruppo, anch'esse dotate di cospicuo patrimonio, erano state cedute a […] unitamente ai crediti dei soci verso le stesse società e verso s.r.l. 3 i conferimenti e le cessioni rappresentavano forme di restituzione dei flussi originari 4 lo stesso consulente del Pubblico ministero aveva riconosciuto che tali conferimenti e cessioni rappresentavano forme di restituzione dei flussi di denaro arrivati da […] 5 anche i flussi di denaro da omissis alle società […] omissis integravano restituzioni di finanziamenti ricevute da queste 5 tali restituzioni, avvenute in un periodo in cui la fallita non versava in crisi, erano da ritenersi legittime e il fallimento della […] non era riconducibile a tali esborsi, ma alla crisi che aveva colpito il settore nel 2016. In risposta il Tribunale del riesame si è limitato a rinviare alla sede di merito la valutazione di tali aspetti, escludendo che ricorresse la fattispecie della cosiddetta bancarotta riparata . In realtà i suddetti argomenti erano decisivi onde valutare la sussistenza del fumus dei reati ipotizzati, del periculum e dell quantum da confiscare. Avendo il Tribunale del riesame omesso di prendere in considerazione detti argomenti, la motivazione del provvedimento impugnato risulta mancante o comunque meramente apparente. 5.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. b , la violazione degli artt. 240 c.p. , e 321 c.p.p. Sostiene che nel caso di specie difetta il nesso pertinenziale tra i delitti per i quali si procede e la somma di cui è stato disposto il sequestro, non derivando essa in via diretta ed immediata da tali delitti, mentre tale diretta derivazione è essenziale affinché possa procedersi alla confisca diretta e non per equivalente. Se, come nel caso di specie, il denaro è confluito su un conto corrente successivamente al reato, esso non può costituirne il profitto, nè essere oggetto di confisca diretta. Il Tribunale ha pure fondato la sua ordinanza sulla fungibilità del denaro, in tal modo confondendo il sequestro finalizzato alla confisca diretta e quello finalizzato alla confisca per equivalente. 5.5. Con il quinto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. c , della violazione degli artt. 322-bis c.p.p. , comma 2, e art. 310 c.p.p. , per avere il Tribunale del riesame disposto che la ordinanza impugnata in questa sede fosse immediatamente eseguita. Segnala il ricorrente che questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di misure cautelari reali, che gli effetti dell'ordinanza emessa dal tribunale del riesame a norma dell' art. 322-bis c.p.p. , che, accogliendo l'appello del pubblico ministero, abbia annullato la revoca del sequestro preventivo disposta dal giudice per le indagini preliminari, sono sospesi fino a che detta pronuncia sia divenuta definitiva, in quanto il rinvio, operato dalla medesima norma, alle disposizioni di cui all' art. 310 c.p.p. , include anche l'operatività del comma 3 di tale articolo, che tale sospensione stabilisce, trattandosi di previsione compatibile con le misure cautelari reali Sez. 3, n. 25052 del 21/07/2020, Belmonte, Rv. 279864 . Considerato in diritto 1. I primi tre motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi in quanto tutti volti a lamentare la carenza o la mera apparenza della motivazione, sia pure in relazione a presupposti diversi della misura cautelare reale, sono inammissibili. Il Tribunale del riesame ha fornito una motivazione che consente di comprendere il ragionamento logico-giuridico che l'ha condotto a disporre il sequestro preventivo delle somme ritenute il profitto dei delitti di bancarotta patrimoniale per i quali si procede. La motivazione addotta per giustificare il provvedimento cautelare non appare mancante o meramente apparente. Laddove il ricorrente si duole che il Tribunale del riesame non si sia confrontato in modo puntuale e specifico con gli argomenti utilizzati dal Giudice per le indagini preliminari per rigettare la richiesta di sequestro preventivo avanzata dal Pubblico ministero, egli in sostanza si duole della violazione di un preteso dovere di motivazione rafforzata che, nella materia cautelare reale, è insussistente. Questa Corte di cassazione ha più volte affermato, in tema di appello cautelare personale, che il tribunale del riesame, che accoglie l'appello del pubblico ministero avverso decisione di rigel to della misura cautelare del giudice per le indagini preliminari, seppure non è tenuto ad una motivazione rafforzata, necessaria solo in sede di giudizio quando viene riformata una sentenza assolutoria, deve comunque procedere ad una verifica, sia pure implicita, degli argomenti a sostegno della decisione impugnata, se interferenti con i presupposti della divergente valutazione adottata in sede di appello, configurandosi altrimenti un vizio della motivazione Sez. 5, n. 10995 del 12/12/2019, dep. 2020, Di Matteo, Rv. 278797 . L'onere della motivazione rafforzata è collegato al canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio imposto dall' art. 533 c.p.p. , comma 1, secondo il quale la penale responsabilità dell'imputato può essere affermata solo qualora essa sia assolutamente certa le necessità di tale certezza al giudice dell'impugnazione impone il superamento degli argomenti addotti dal giudice di primo grado a sostegno della decisione di proscioglimento. Per l'applicazione di una misura cautelare personale è invece sufficiente che ricorrano gravi indizi di colpevolezza e quindi basta un giudizio sommario. Tali principi, elaborati in relazione alle misure cautelari personali, valgono a maggior ragione in relazione alle misure cautelari reali, per la cui adozione non è neppure richiesto il presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, essendo sufficiente, ai fini della sussistenza del fumus commissi delicti per l'adozione di un sequestro preventivo, l'esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l'evento punito dalla norma penale alla condotta dell'indagato Sez. 5, n. 3722 del 11/12/2019, dep. 2020, Gheri, Rv. 278152 Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, Polifroni, Rv. 272927 . Peraltro, il mancato rispetto del dovere di motivazione rafforzata determina un vizio motivazionale del provvedimento impugnato che, non essendo assimilabile alla mancanza o mera apparenza della motivazione, non rientra tra i motivi consentiti dall' art. 325 c.p.p. Analoghe considerazioni valgono in relazione all'omessa motivazione in ordine agli argomenti contenuti nella memoria difensiva, potendo da tale omissione derivare solo una illogicità della motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame. L'omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisc e la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Cilio, Rv. 279578 . Nè, per quanto sopra esposto, il provvedimento impugnato è censurabile in questa sede per avere rinviato alla eventuale successiva fase di merito accertamenti che risultano incompatibili con la natura sommaria del giudizio cautelare. In proposito deve ricordarsi che in sede di sequestro preventivo non occorre che sussistano gravi indizi e che questa Corte di cassazione ha affermato che, in sede di riesame o di appello avverso una misura cautelare reale, il tribunale non è tenuto a dirimere le questioni tecniche e contabili per la cui risoluzione è necessario il ricorso ad un accertamento peritale, costituendo questo un mezzo istruttorio incompatibile con l'incidente cautelare Sez. 3, n. 19011 del 11/02/2015, Citarella, Rv. 263554 . 2. Il quarto motivo di ricorso è infondato. 2.1. In ordine al rapporto tra il bene da sequestrare ai fini della confisca diretta ed il reato dal quale è derivato il profitto le Sezioni Unite hanno affermato, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall'art. 322-ter c.p., che costituisce profitto del reato anche il bene immobile acquistato con somme di denaro illecitamente conseguite, quando l'impiego del denaro sia causalmente colleciabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all'autore di quest'ultimo Sez . U, n. 10280 del 25/10/2007, dep. 2008, Miragliotta, Rv. 238700 . In particolare, con detta sentenza è stato affermato che nel concetto di prodotto o provento di reato vanno compresi non soltanto i beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto e immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilità che lo stesso realizza come effetto anche mediato ed indiretto della sua attività criminosa. Pertanto, la nozione di profitto del reato deve essere riguardata in rapporto all'arricchimento complessivo e una corretta interpretazione letterale dell' art. 240 c.p. , e logico-sistematica dell'istituto della confisca impone che qualsiasi trasformazione che il denaro illecitamente conseguito subisca per effetto di investimento dello stesso deve essere considerata profitto del reato quando sia causalmente collegata al reato stesso ed al profitto immediato - il denaro - conseguito e sia soggettivamente attribuibile all'autore del reato, che quella trasformazione abbia voluto . Dopo aver ritenuto di dover superare sia le decisioni che suggeriscono una interpretazione più restrittiva della nozione di profitto e che sottolineano la necessità di una stretta e diretta correlazione tra il profitto confiscabile e la condotta illecita Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, Focarelli, cit. Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Montella, Rv. 226490 , sia la dottrina che riferisce il profitto del reato unicamente al primo rapporto di scambio , la sentenza sopra citata ha quindi affermato che il bene costituente profitto di reato è suscettibile di confisca diretta ogni qualvolta esso sia ricollegabile causalmente in modo preciso all'attività criminosa posta in essere dall'agente. Sicché è necessario che siano indicati in modo chiaro gli elementi indiziari sulla cui base determinare come i beni sequestrati possano considerarsi in tutto o in parte l'immediato prodotto di una condotta penalmente rilevante o l'indiretto profitto della stessa, siccome frutto di reimpiego da parte del reo del denaro o di altre utilità direttamente ottenute dai concussi , non risultando comprensibile un'interpretazione degli artt. 240 e 322-ter c.p., comma 1, prima parte, che consenta la confisca del denaro ricevuto dal concussore e non anche del bene immobile acquistato con tale denaro perché non di diretta derivazione causale dall'attività del reo . Anche in relazione al profitto derivante da reato tributario e corrispondente all'imposta evasa le Sezioni Unite Sez. U., n. 10561 del 30 gennaio 2014, Gubert, Rv. 258647 hanno affermato che rientrano nella nozione di profitto derivante dal reato e sono suscettibili di confisca diretta non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell'attività criminosa la trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è quindi di ostacolo al sequestro preventivo il quale ben può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito. Infatti, il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca e quindi nelle indagini preliminari, ai sensi dell' art. 321 c.p.p. , comma 2, il suddetto sequestro, deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa . Sulla base di tale principio, la Corte di cassazione ha espressamente qualificato come risparmio di spesa il profitto causato dal reato tributario e, al contempo, ha ritenuto configurabile la confisca diretta del denaro corrispondente all'imposta evasa, rimasto nel patrimonio della persona giuridica nel cui interesse o vantaggio il reato sia stato commesso, non potendo l'ente considerarsi terzo estraneo rispetto al reato. 2.2. Applicando detti principi al caso di specie, deve ritenersi, sulla base della ricostruzione fattuale operata dal Tribunale del riesame, che gli indagati abbiano acquisito la diretta disponibilità delle somme distratte già nel momento in cui esse sono state trasferite alla omissis s.p.a., società della quale essi avevano il controllo e del cui patrimonio potevano disporre, e che essi abbiano poi disposto il trasferimento delle somme distratte dapprima alle società omissis e poi in favore di se stessi, essendo le somme state poi accreditate sui loro conti personali. Non rileva che le somme non siano state trasferite direttamente dal patrimonio della società fallita ai patrimoni dei singoli indagati, ma siano state fatte transitare attraverso le società di cui questi avevano il controllo, potendo essere oggetto di confisca diretta anche i beni indirettamente provenienti dal delitto e di cui comunque costituiscano il profitto. 2.3. Quanto alla fungibilità del denaro, le Sezioni Unite hanno recentemente affermato che la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell'autore della condotta, e che rappresenti l'effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l'allegazione o la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037 . Ne consegue che è del tutto irrilevante l'origine lecita delle somme sequestrate e che pertanto non ha fondamento la tesi sostenuta dal ricorrente secondo la quale la possibilità di confiscare in via diretta - e quindi di sequestrare a cautela di detta confisca - le somme di denaro affluite sul conto corrente o comunque nella disponibilità dell'imputato postulerebbe quanto meno una confusione tra somme di origine lecita e somme provenienti dal delitto, trovando in tale ipotesi la confisca giustificazione nell'impossibilità di distinguere le une dalle altre. Potendo essere oggetto di confisca in via diretta anche somme di denaro di cui è certa l'origine lecita, essa ben può aggredire somme giacenti su conti intestati all'imputato ed affluite prima della commissione del reato o anche somme pervenute successivamente e che non si siano confuse con quelle provenienti direttamente o indirettamente dal reato per cui si procede. 3. Il quinto motivo è inammissibile per difetto di interesse. A seguito del rigetto del ricorso con la presente sentenza, il sequestro disposto con l'ordinanza qui impugnata, anche aderendo alla tesi sostenuta dal ricorrente, è comunque ormai divenuto esecutivo. Nè il ricorrente allega un suo specifico interesse a che venga dichiarata l'inefficacia del sequestro nel periodo intercorrente tra l'emissione del provvedimento impugnato in questa sede e la presente sentenza. 4. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell' art. 616 c.p.p. , comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.