Il riconoscimento della continuazione tra reati

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un uomo al quale non era stata riconosciuta la continuazione tra reati riferiti a due distinte sentenze di condanna.

Il GIP del Tribunale di Milano aveva respinto la richiesta formulata dall'imputato C.A. per il riconoscimento della continuazione tra i reati relativi di due distinte sentenze, una per appropriazione indebita e l'altra per il reato di bancarotta. C.A. ha pertanto proposto ricorso per Cassazione adducendo con l'unico motivo la violazione dell'art 81 c.p. e dell'articolo 671 c.p.p. Il ricorso è fondato. La Corte di Cassazione si è concentrata sulla continuazione tra i reati ricordando che nel procedimento ai sensi dell'articolo 671 c.p.p. al giudice dell'esecuzione è demandato un giudizio, proprio nella fase di cognizione, per la riconducibilità dei reati oggetto dell'istanza ad un comune disegno criminoso. Il Collegio ha voluto chiarire che con il concetto di “comune disegno criminoso” si deve intendere la rappresentazione in capo ad un soggetto della futura commissione di reati, che abbia programmato una pluralità di condotte riconducibili ad un unico fine. La Corte ha poi ricordato che con riguardo ai rapporti tra i giudizi di cognizione e quello instaurato ai sensi dell'articolo 671 c.p.p. «anche ove fosse stato possibile, la mancata prospettazione dell'unitarietà del disegno criminoso in sede di cognizione non costituisce indice negativo della sua esistenza, che può essere quindi riconosciuta nella fase esecutiva». Per questi motivi la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e annulla l'ordinanza impugnata dall'imputato.

Presidente Zaza – Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza depositata in data 12 maggio 2021 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano ha respinto la richiesta, formulata da A.C., riconoscimento della continuazione tra i reati giudicati dalle sentenze pronunciate, in data 14 novembre 2017, dal Tribunale di Milano e, in data 7 maggio 2019, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano. La prima sentenza, confermata in grado di appello, aveva riguardato due reati di appropriazione indebita, commessi in danno, rispettivamente, di omissis s.a.s. e di omissis s.r.l., mediante ripetute condotte commesse, nel primo caso, tra il 22 luglio e il 18 novembre 2011 e, nel secondo caso, tra il 25 gennaio 2011 e il 31 maggio 2012. La seconda sentenza, pronunciata ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., concerneva condotte di bancarotta in relazione al fallimento di omissis s.r.l., dichiarato il 26 novembre 2015. Vi era stato un ampio distacco cronologico tra le condotte di appropriazione e la dichiarazione di fallimento della società omissis s.r.l., e non vi era alcun dato significativo del fatto che già all'epoca delle condotte di appropriazione indebita A. avesse preordinato di alterare o sottrarre la contabilità per impedire la successiva ricostruzione del movimento degli affari nè di non impedire l'aggravarsi del dissesto. L'istante si era limitato a elencare una serie di dati inidonei a giustificare il riconoscimento della continuazione, in violazione dei principi, dettati dalla giurisprudenza, secondo i quali, da una parte, chi chiede il riconoscimento della continuazione in executivis, ha l'onere di allegare elementi specifici e concreti, al di là del mero dato della prossimità cronologica ovvero della omogeneità, e, dall'altra, la mancata richiesta del riconoscimento della continuazione nel giudizio di cognizione, da parte di chi sia nelle condizioni di farlo, costituisce indicatore negativo dell'identità del disegno criminoso. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di A.C., chiedendo l'annullamento dell'impugnata ordinanza. Con l'unico motivo vengono denunciati violazione dell'articolo 81 c.p. e articolo 671 c.p.p. e difetto di motivazione della decisione assunta. La parte, conformemente al principio secondo il quale il condannato ha un onere di allegazione che discende dall'interesse a rappresentare elementi che riguardano il momento ideativo del reato, aveva con l'istanza indicato una serie di circostanze che il primo giudice non ha adeguatamente valutato in termini complessivi. Quanto al dato che concerne la mancata richiesta della continuazione nel giudizio di cognizione, elemento che la giurisprudenza richiede sia valutato in termini complessivi, si evidenzia che vi era stata contestualità tra la irrevocabilità della prima condanna e la sentenza definita ai sensi dell'articolo 444 c.p.p Il dato cronologico doveva essere valutato in riferimento all'epoca di commissione delle condotte che costituiscono l'elemento oggettivo dei reati e non con riferimento alla data della sentenza di fallimento. Dagli atti di indagine, e dalla relativa sentenza, in ordine ai reati fallimentari era desumibile che la mancata tenuta delle scritture contabili era iniziata contestualmente alle condotte di appropriazione indebita, che, nel procedimento per bancarotta, erano state qualificate come operazioni dolose di distrazione. Nel procedimento per bancarotta, infatti, l'imputazione relativa alle condotte distrattive era stata stralciata e trattata in diverso procedimento definito con sentenza di non doversi procedere per bis in idem. 3. Il Procuratore generale ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e va pronunciato annullamento, con rinvio, dell'ordinanza impugnata. 1. Vanno ripresi alcuni principi che presiedono al giudizio sulla continuazione. 1. 1. Nel procedimento ai sensi dell'articolo 671 c.p.p. al giudice dell'esecuzione è demandato un giudizio, proprio della sede di cognizione, in ordine alla riconducibilità dei reati oggetto della istanza ad un comune disegno criminoso. Quanto alla nozione di medesimo disegno criminoso , è stato chiarito che si tratta della rappresentazione, in capo al soggetto agente, della futura commissione dei reati, e dunque di elemento, che attiene alla sfera psicologica del soggetto, risalente a un momento precedente la commissione del primo fra i reati della serie considerata. La ratio propria dell'istituto del reato continuato risiede nella considerazione che l'esistenza di un unitario momento deliberativo di più reati giustifica un trattamento sanzionatorio più favorevole e discrezionalmente determinato, non secondo i limiti edittali individuati da ciascuna fattispecie incriminatrice, bensì nel rispetto delle regole di cui all'articolo 81 c.p In ordine al contenuto della rappresentazione delle future condotte criminose, va osservato che, da una parte, non può riguardare una scelta di vita, che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, nè una generale tendenza a porre in essere determinati reati la dedizione al delitto, il ricorso abituale ai proventi dell'attività criminosa e la soggettiva inclinazione a commettere gravi delitti dolosi sono connotazioni proprie del profilo soggettivo del reo che determinano, ai sensi degli articolo 102 e 108 c.p., un più grave trattamento sanzionatorio, e quindi risultano incompatibili con l'istituto della continuazione fra reati. Dall'altra, la nozione di continuazione non può ridursi all'ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, giacché siffatta definizione di dettaglio, oltre a non apparire conforme al dettato normativo - che parla soltanto di disegno - e a non risultare necessaria per l'attenuazione del trattamento sanzionatorio, non considera la variabilità delle situazioni di fatto e la loro prevedibilità normalmente solo in via di larga approssimazione. Quello che occorre, invece, e che è sufficiente, è che si abbia una programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte delineate disegnate in vista di un unico fine. La programmazione può essere, perciò, ab origine anche priva di specificità, purché i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale - con l'inevitabile riserva di adattamento alle eventualità del caso - come mezzo diretto al conseguimento di un unico scopo o intento, parimenti prefissato e sufficientemente specifico. È significativo che anche la Corte costituzionale sentenza numero 183 del 2013 abbia precisato che il giudizio sulla continuazione fra reati richiede sia accertato che il soggetto agente, prima di dare inizio alla serie criminosa, abbia avuto una rappresentazione, almeno sommaria, dei reati che si accingeva a commettere e che detti reati siano stati ispirati ad una finalità unitaria. L'accertamento dell'esistenza di un momento ideativo e deliberativo comune a più reati va compiuto, come ordinariamente avviene per l'accertamento degli stati soggettivi, secondo le regole della prova indiziaria. Sono stati individuati, con elencazione non tassativa, ma esemplificativa, una serie di elementi il contesto di tempo e di luogo, le modalità esecutive, la comunanza di correi, il bene giuridico rilevanti nell'accertamento in parola, da considerare con apprezzamento analitico, quanto alla specifica rilevanza di ciascuno, e complessivo, che li valuti in maniera unitaria. 1.2. Quanto alla ripartizione dell'onere probatorio nel giudizio ai sensi dell'articolo 671 c.p.p., si è affermato che la parte istante ha l'onere di indicare le sentenze che riguardano i reati in relazione ai quali è chiesto il riconoscimento della continuazione, ma non anche quello di produrre le sentenze, dato che in esecuzione si applica, diversamente dal giudizio di cognizione, la norma di cui all'articolo 186 disp. att. c.p.p., che onera il giudice dell'acquisizione della copia delle sentenze Sez. 2, 18.11.2010, Turnone, Rv. 249205 Sez. 2, 14.2.2014, Tassone, Rv. 259069 . Quanto al principio, ricorrente in giurisprudenza, secondo cui l'istante, in sede esecutiva, avrebbe l'onere di allegare gli elementi che dovrebbero fondare il riconoscimento della continuazione Sez. 1, 25.11.2009, Marianera, Rv. 245970 Sez. 5, 6.5.2010, Faneli, Rv. 247356 Sez. 1, 20.4.2016, D'Amico, Rv. 267580 , il collegio rileva che impropriamente si parla di onere, istituto che, secondo la tradizionale dottrina, significa l'esistenza, a carico di una parte, di un dovere, seppur diverso dall'obbligo e dalla soggezione. D'altra parte, la giurisprudenza che afferma l'esistenza del menzionato onere di allegazione di elementi specifici a sostegno dell'istanza, in realtà, sottolinea la necessità che la prova dell'esistenza di un comune disegno criminoso sia effettiva, e non si limiti a registrare l'esistenza di elementi, come la prossimità spazio-temporale e l'identità del bene giuridico leso, che, di per sé, sono neutri, essendo anche compatibili con la mera inclinazione a delinquere, fenomeno ben diverso dalla unitaria programmazione, anche generica, di più reati. Piuttosto, dunque, si deve affermare che, trattandosi di una indagine che ha ad oggetto il momento ideativo e deliberativo del reato, spesso non rilevante e quindi trascurato nell'accertamento di merito, è interesse della parte rappresentare ed evidenziare al giudice gli elementi significativi dell'esistenza di un disegno criminoso comune a più reati, elementi che potrebbero non risultare dalle sentenze di merito. La configurazione, quindi, di un mero interesse della parte, e non di un onere giuridico, comporta che la mancata allegazione di elementi specifici a sostegno dell'istanza non può, di per sé, essere valorizzata dal giudice in senso negativo all'accoglimento della stessa. 1.3. La motivazione del provvedimento del giudice dell'esecuzione deve, confrontandosi con quanto, eventualmente, rappresentato nell'istanza della parte, indicare gli elementi, desumibili da quanto accertato dalle sentenze di condanna, ritenuti rilevanti nella formulazione del giudizio sulla richiesta continuazione. Motivazione sindacabile, nel giudizio di legittimità, nei limiti del controllo consentito ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lett. e. 1.4. Quanto al rapporto specifico con il giudizio di cognizione, a norma dell'articolo 671 c.p.p., innanzitutto, la continuazione può essere riconosciuta dal giudice dell'esecuzione sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione . Sul punto, si è precisato che, se è pur vero che Il giudice della cognizione può riconoscere d'ufficio la continuazione tra il reato rimesso alla sua cognizione e altro per cui l'imputato ha riportato in precedenza condanna divenuta definitiva Sez. 1, 24/01/2017, Dogali, Rv. 269822 , peraltro il giudicato si forma in relazione alle questioni decise dal giudice, e non anche in ordine alle questioni che non sono state devolute alla cognizione del giudice e che questi, pur potendole decidere d'ufficio, non ha esaminato Sez. 1, 24/09/2015, Domokos, Rv. 265251 . D'altra parte, con specifico riferimento alla domanda, posta nella cognizione, di riconoscimento della continuazione così detta esterna, si è precisato che, da una parte, la difesa ha l'onere di indicare e depositare le sentenze condanna già divenute irrevocabili e, dall'altra, in caso di inosservanza di tale onere, il mancato esame nel merito della sussistenza del reato continuato non comporta giudicato negativo sul punto e non preclude perciò l'esame della questione ai sensi dell'articolo 671 c.p.p., comma 1, Sez. 6, 14/01/1999, Gaglioti, Rv. 212706 Sez. 1, 4/11/2009, Megna, Rv. 244947 . Con riguardo ai rapporti tra i giudizi di cognizione e quello instaurato ai sensi dell'articolo 671 c.p.p., è consolidato l'orientamento, condiviso da questo collegio, secondo il quale, anche ove fosse stato possibile, la mancata prospettazione dell'unitarietà del disegno criminoso in sede di cognizione non costituisce indice negativo della sua esistenza, che può essere quindi riconosciuta nella fase esecutiva Sez. 1, 13/07/2018, ARGIRÒ, Rv. 274327 Sez. 1, 11/07/2019, GUTTAGLIERE, Rv. 277483 Sez, 1, 03/06/2020, FORMA, Rv. 279188 contra, Sez. 1, 4/04/2014, Marino, Rv. 260088 . In particolare, le scelte processuali compiute nel giudizio di cognizione come il silenzio tenuto in ordine a dati fattuali che potrebbero essere rilevanti al fine del riconoscimento della continuazione ovvero la scelta di non formulare la richiesta ai sensi dell'articolo 81 c.p. con riguardo a reati già giudicati – non costituiscono di per sé dati rilevanti nel giudizio sulla continuazione, trattandosi di scelte dettate dall'interesse difensivo nel giudizio di cognizione. Piuttosto, va rilevato che il giudice dell'esecuzione deve fondare il proprio giudizio sulla base di quanto accertato nei giudizi di cognizione e quindi quelle scelte difensive possono incidere sulla formazione dei dati valutabili nel giudizio ai sensi dell'articolo 671 c.p.p 2. Nel caso in esame giudice dell'esecuzione ha valorizzato taluni principi di diritto ed ha fondato il giudizio negativo su alcuni accertamenti in fatto. Da una parte, si afferma, la parte, pur potendolo, non aveva avanzato nel secondo giudizio di cognizione l'istanza di riconoscimento della continuazione con il reato già giudicato e, pur gravata da onere di allegazione di specifici elementi a sostegno dell'istanza, si era limitata ad una pedissequa elencazione di elementi oggettivi , e, dall'altra, notevole era la distanza cronologica tra le condotte di appropriazione indebita e la dichiarazione di fallimento. La comune natura patrimoniale del danno cagionato dalle condotte criminose ovvero l'attività imprenditoriale connessa ai reati erano elementi neutri , che non apportavano alcun contributo nell'accertamento in ordine al momento deliberativo dei reati. 3. Le censure proposte dal ricorrente sono fondate. 3.1. Quanto ai principi sull'onere probatorio, rilevanti nella definizione dell'ambito del giudizio richiesto al giudice dell'esecuzione, il provvedimento impugnato ha esplicitamente affermato - laddove ha rilevato che L'istante dovrebbe o avrebbe dovuto provare che nel momento in cui egli si appropriava delle somme dell'allora società egli già aveva programmato di . - esservi a carico della parte l'onere di provare l'identità del disegno criminoso comune a tutti i reati, onere che la giurisprudenza esclude, in coerenza con la natura del giudizio esecutivo che richiede l'iniziativa della parte, ma riserva al giudice un potere di iniziativa nell'istruzione probatoria, ove necessaria. L'illegittima impostazione metodologica seguita dal giudice dell'esecuzione è espressa anche dal rilievo negativo attribuito alla mancata richiesta della continuazione nel secondo giudizio di cognizione, successivo alla irrevocabilità della prima condanna e dalla negativa considerazione dei dati indicati nell'istanza originaria. Sul punto, il giudice dell'esecuzione ha rilevato che relencazione di elementi oggettivi non aveva offerto una adeguata chiave interpretativa delle condotte nel senso invocato . Invero, l'onere motivazionale, sul punto, richiedeva che il giudice si confrontasse con i dati oggettivi indicati dalla parte, valutandone, ove risultanti dalle sentenze, il loro rilievo nel complessivo giudizio richiesto, e non limitandosi, come pare abbia fatto il provvedimento impugnato, a esprimere un giudizio in ordine alla loro autonoma valenza probatoria. 3.2. Quanto ai dati fattuali posti dal primo giudice a fondamento della decisione, si deve rilevare che il dato cronologico è stato valutato in termini manifestamente illogici in quanto è stata considerata la data della sentenza di fallimento, che è un evento distinto e successivo, anche a notevole distanza di tempo, alla condotta dell'agente, mentre doveva essere considerata la data di commissione delle diverse condotte criminose. Quanto agli ulteriori elementi - concernenti il comune danno patrimoniale e l'identità del contesto caratterizzato dall'attività imprenditoriale svolta - il giudice dell'esecuzione ha espresso un giudizio negativo, a partire dalla considerazione parcellizzata di ciascun elemento, quando, invece, doveva essere compiuta una valutazione complessiva di tutti i dati disponibili. Si deve, inoltre, rilevare che il giudizio di neutralità del dato relativo all'attività imprenditoriale svolta - alcune condotte di appropriazione indebita erano state commesse quale presidente del consiglio di amministrazione della società poi fallita - non si confronta con il parametro legale formulato dall'articolo 219 L. Fall., laddove disciplina la così detta continuazione fallimentare Sez. U, numero 21039 del 2011, Loy, Rv. 249665 . La norma, pur ricorrendo alla formale formulazione di una circostanza aggravante, disciplina il concorso di condotte di bancarotta, stabilendo che, qualora siano relative ad una medesima procedura fallimentare, ricorre la continuazione, in relazione alla quale la norma detta un trattamento sanzionatorio aumento fino a un terzo più favorevole rispetto alla previsione dell'articolo 81 c.p. aumento fino al triplo , disciplina, si è precisato, applicabile sia nel giudizio di cognizione che in quello ai sensi dell'articolo 671 c.p.p 4. Va dunque pronunciato annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, diversa persona fisica, per nuovo giudizio sulla richiesta della parte. In sede di rinvio, il giudice, senza vincoli nel merito del giudizio, dovrà procedere ad un nuovo esame della domanda formulata dalla parte applicando i principi di diritto affermati al punto 3.1. ed evitando le carenze motivazionali censurate al punto 3.2 P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Milano, ufficio del Giudice per le indagini preliminari.