Responsabile l’avvocato che trattiene il denaro ricevuto in nome e per conto del cliente

«L’avvocato che si appropri dell’importo dell’assegno emesso a favore del proprio assistito dalla controparte soccombente in un giudizio civile, omettendo di informare il cliente dell’esito del processo che lo aveva visto vittorioso e di restituirgli le somme di sua pertinenza, pone in essere una condotta connotata dalla continuità della violazione deontologica, destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione del cliente delle somme di sua spettanza».

Un avvocato ricorre in Cassazione, impugnando la pronuncia del CNF, deducendo di non essere responsabile per aver trattenuto direttamente le somme dovutegli da parte dei suoi clienti, in quanto autorizzato specificatamente da quest'ultimi. La doglianza è, però, infondata. In base all'articolo 31 del Codice deontologico forense, «l'avvocato è tenuto a mettere immediatamente a disposizione della parte assistita le somme, riscosse per conto di questa, che possono essere oggetto di lecita compensazione solo in presenza di preventivo ed inequivoco consenso prestato dal cliente». Nel caso di specie, il CNF avrebbe quindi osservato che «l'illiceità disciplinare del comportamento posto in essere dal professionista debba essere valutata solo in relazione alla sua idoneità a ledere la dignità e il decoro professionale, indipendentemente dal rilievo che tali comportamenti assumano sul piano civile o penale». Inoltre, in materia di responsabilità disciplinare degli avvocati, «le norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative integrative del precetto legislativo che attribuisce al CNF il potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale appartenente all'ordinamento generale dello Stato, e come tali sono interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità» Cass. numero 26810/2010, numero 8313/2019, numero 15852/2009 . Anche le Sezioni Unite hanno avuto modo di esprimersi a riguardo, sottolineando come «l'avvocato che si appropri dell'importo dell'assegno emesso a favore del proprio assistito dalla controparte soccombente in un giudizio civile, omettendo di informare il cliente dell'esito del processo che lo aveva visto vittorioso e di restituirgli le somme di sua pertinenza, pone in essere una condotta connotata dalla continuità della violazione deontologica, destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione del cliente delle somme di sua spettanza» Cass. numero 5200/2019 . Per tutti questi motivi la S.C. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Presidente Virgilio – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - Il 3 agosto 2010 i signori F.A. e Fa.Gi. hanno presentato un esposto in cui era rappresentato al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Venezia che essi avevano conferito un incarico professionale all'avvocato C.E. , al fine di ottenere il risarcimento dei danni da loro sofferti a seguito delle lesioni riportate dal figlio in occasione del parto danni per i quali si configurava una responsabilità del personale medico hanno precisato che il giudizio promosso dal professionista innanzi al Tribunale di Cagliari si era concluso con la condanna della parte convenuta a risarcire agli attori un danno liquidato nella complessiva somma di Euro 2.130.681,00, oltre interessi i predetti F. e Fa. hanno riferito che l'avvocato C. , senza alcuna autorizzazione, aveva incassato la somma complessiva di Euro 2.220.895,20, accreditata sul conto corrente del medesimo professionista, e che solo a seguito di loro rimostranze gli era stata bonificata la minor somma di Euro 1.753.168,67 il restante importo di Euro 467.726,53, fatturato quale compenso per la difesa e giustificato sulla base di un accordo che sarebbe precedentemente intercorso, era stato trattenuto dall'avvocato senza il loro consenso. Il professionista si è difeso assumendo che i clienti avevano sottoscritto una convenzione relativa all'onorario che i nominati Fa. e F. erano ben consapevoli del contenuto dell'accordo sul compenso e che i medesimi lo avevano delegato a ricevere il versamento direttamente sul proprio conto corrente, corrispondendogli, in occasione dell'accredito dell'importo di Euro 516.045,00, una somma corrispondente alla percentuale pattuita che egli aveva immediatamente riepilogato ai clienti quanto ricevuto dalla parte convenuta in giudizio, trasmettendo le fatture correttamente imputate alle prestazioni svolte, corrispondenti all'importo di propria spettanza, che era stato trattenuto. Il locale Consiglio distrettuale di disciplina ha applicato all'avvocato C. la sanzione della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per anni uno. 2. - In sede di impugnazione il Consiglio nazionale forense ha modificato, nella misura, la sanzione adottata riducendola a mesi due di sospensione. Per quanto qui rileva, il CNF ha escluso, ai fini della prescrizione, che l'illecito disciplinare avesse natura istantanea e che, quindi, si fosse consumato all'atto dell'avvenuta compensazione dei reciproci crediti quello dei clienti quanto alla ricezione delle somme riscosse in loro nome e per loro conto dall'avvocato quello vantato da quest'ultimo per il corrispettivo delle proprie prestazioni professionali ritenuto, sul punto, che la condotta posta in essere dall'avvocato C. avesse i connotati tipici della continuità della violazione deontologica per tale sua natura destinata a protrarsi fino alla restituzione delle somme che l'avvocato avrebbe dovuto mettere immediatamente a disposizione del cliente , o fino a quando quest'ultimo avesse riconosciuto le ragioni della ritenzione ciò che era avvenuto con la dichiarazione, a firma dei signori F. e Fa. del OMISSIS osservato che ai fini della responsabilità disciplinare risultava dirimente la circostanza per cui i clienti avevano immediatamente contestato all'avvocato C. il trattenimento degli importi trattenimento nemmeno autorizzato da un accordo sul compenso evidenziato che, infatti, l'illiceità disciplinare del comportamento posto in essere dal professionista doveva essere valutata solo in relazione alla sua idoneità a ledere la dignità e il decoro professionale, a nulla rilevando l'eventualità che tali comportamenti integrassero, o meno, anche illeciti civili e penali affermato che, pertanto, l'invocata applicazione, da parte dell'avvocato, delle norme civilistiche sulla compensazione non escludeva la violazione del precetto deontologico rilevato che la L. numero 247 del 2012, articolo 65, comma 5, imponeva di individuare, nella diversità delle discipline sanzionatorie succedutesi nel tempo, quella nel complesso più favorevole all'incolpato concluso nel senso che doveva quindi trovare applicazione il R.D.L. numero 1578 del 1933, articolo 40, vigente al tempo della commissione dei fatti norma che, prevedeva la sanzione della sospensione dell'esercizio della professione per un periodo non inferiore a due mesi e non superiore all'anno. 3. - La sentenza del Consiglio nazionale forense, depositata il 17 luglio 2021, è stata impugnata per cassazione dell'avvocato C. con un ricorso articolato in tre motivi che sono illustrati da memoria. Ha depositato controricorso il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Venezia. Il pubblico ministero ha concluso per il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 1. - Il primo motivo oppone la violazione di legge con riferimento agli articolo 1241,1243,1721 e 2233 c.c., per erroneo coordinamento tra le norme di relazione del codice civile e le norme di azione dell'ordinamento disciplinare . Si assume doversi escludere la responsabilità del ricorrente, giacché la sua obbligazione verso i clienti si sarebbe estinta per volontà di legge a seguito della compensazione legale. Viene dedotto che la norma del codice deontologico andrebbe coordinata con l'articolo 2233 c.c., che accorda prevalenza alla pattuizione sul compenso rispetto a qualsiasi altra fonte sostiene l'istante che l'avvocato possa trattenere direttamente le somme dovutegli sia quando sia stato a ciò autorizzato specificamente dal cliente, sia quando costui abbia riconosciuto il debito, sia quando il credito per il compenso sia certo, liquido ed esigibile. Il motivo è infondato. Come accennato, il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto decisiva l'opposizione, manifestata dai clienti del professionista, al trattenimento degli importi da quest'ultimo percepiti trattenimento che non era stato, quindi, previamente autorizzato. Nella sentenza impugnata viene rimarcato come in base all'articolo 31 del codice deontologico forense l'avvocato è tenuto a mettere immediatamente a disposizione della parte assistita le somme, riscosse per conto di questa, che possono essere oggetto di lecita compensazione solo in presenza di preventivo ed inequivoco consenso prestato dal cliente. Con riguardo all'invocata applicazione, da parte dell'avvocato, delle norme civilistiche sulla compensazione il CNF ha quindi osservato, richiamandosi alla propria giurisprudenza, che l'illiceità disciplinare del comportamento posto in essere dal professionista debba essere valutata solo in relazione alla sua idoneità a ledere la dignità e il decoro professionale, indipendentemente dal rilievo che tali comportamenti assumano sul piano civile o penale. Deve premettersi che, in materia di responsabilità disciplinare degli avvocati, le norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative integrative del precetto legislativo che attribuisce al Consiglio nazionale forense il potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale appartenente all'ordinamento generale dello Stato, e come tali sono interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità Cass. Sez. U. 20 dicembre 2007, numero 26810 sulla natura normativa, ancorché integrativa, delle richiamate disposizioni, cfr. pure Cass. Sez. U. 25 marzo 2019, numero 8313 Cass. Sez. U. 7 luglio 2009, numero 15852 . L'articolo 44 del non più vigente codice deontologico applicabile ratione temporis e riprodotto, nella parte che interessa, dall'articolo 31 del codice approvato il 31 gennaio 2014 prevede che l'avvocato abbia diritto di trattenere le somme ricevute a titolo di onorario, imputandole a compenso, in tre ipotesi soltanto quando vi sia il consenso del cliente e della parte assistita quando si tratti di somme liquidate giudizialmente a titolo di compenso a carico della controparte e l'avvocato non le abbia già ricevute dal cliente o dalla parte assistita quando il professionista abbia già formulato una richiesta di pagamento del proprio compenso espressamente accettata dal cliente. Tale disposizione non si presta a estensioni analogiche. Essa propone, difatti, specifiche eccezioni alla regola del divieto, fatto al professionista, di ritenere le somme da lui ricevute e del resto, coerentemente a tale opzione prescrittiva, il capoverso dell'articolo dispone che in presenza di situazioni diverse da quelle indicate l'avvocato è tenuto a mettere immediatamente a disposizione della parte le somme riscosse per conto di questa. Non può credersi che l'operatività della norma disciplinare venga meno in presenza dei presupposti per la compensazione legale. La previsione della condotta dell'avvocato consistente nella mancata messa a disposizione del cliente delle somme riscosse per conto dello stesso in base al vigente articolo 31 del codice deontologico è considerata, da una parte della dottrina, come ipotesi rientrante nella previsione dell'articolo 1246 c.c., numero 5, secondo cui la compensazione non opera in presenza di un divieto stabilito dalla legge. Ma anche a prescindere dalla individuazione di un preciso punto di intersezione tra la disciplina codicistica e quella deontologica, è da osservare che l'istituto della compensazione non potrebbe mai escludere l'illecito di cui qui si dibatte. La deontologia forense è retta da precetti speciali suoi propri, che definiscono la correttezza e la lealtà dell'operato dell'avvocato precetti consistenti nell'imposizione di condotte, positive o astensive, che le norme dell'ordinamento giuridico generale possono in concreto non richiedere, siccome non preordinate all'obiettivo di assicurare l'etica dei comportamenti del professionista ciò vale, in particolare, per le norme civili sulla compensazione istituto, questo, che assolve a funzioni sue proprie, tra cui, primariamente, quella di assecondare una elementare esigenza di economicità del sistema. In tal senso, la disciplina deontologica e quella codicistica sulla compensazione riflettono una diversa vocazione sicché, pure astraendo dalla precisa estensione applicativa delle regole sulla compensazione, deve negarsi che queste possano far venir meno l'illecito disciplinare di cui all'articolo 44 cit 2. - Col secondo motivo è denunciata la violazione di legge per erronea individuazione dell'exordium praescriptionis. Si deduce che la prescrizione non sia regolata dai criteri enunciati nella sentenza impugnata con riferimento alla pretesa lesività permanente del comportamento contestato, ma miri a sanzionare l'inerzia dell'organo disciplinare onde ai fini della decorrenza del termine prescrizionale rileverebbe il momento in cui il predetto organo avrebbe potuto dar corso all'azione stessa. Si contesta, pertanto, la decisione impugnata, secondo cui invece, nel campo deontologico si verificherebbe un fenomeno abnorme e cioè che la prescrizione dell'azione disciplinare non decorrerebbe mai, nonostante che l'organo disciplinare avesse fin dall'origine il potere di promuoverla fin dalla data di commissione del fatto . Il motivo va disatteso. L'illecito contestato consiste nel trattenimento della somma che l'avvocato ha ricevuto in nome e per conto del cliente. Ben si intende, quindi, che la condotta sanzionata non si esaurisca nella semplice percezione della somma, ma ricomprenda il comportamento, protrattosi nel tempo, consistente nell'avere l'avvocato mantenuto nella propria disponibilità un importo che, invece, avrebbe dovuto essere immediatamente consegnato al cliente. Le Sezioni Unite si sono espresse sul punto in altre occasioni. Così, secondo Cass. Sez. U. 21 febbraio 2019, numero 5200, l'avvocato che si appropri dell'importo dell'assegno emesso a favore del proprio assistito dalla controparte soccombente in un giudizio civile, omettendo di informare il cliente dell'esito del processo che lo aveva visto vittorioso e di restituirgli le somme di sua pertinenza, pone in essere una condotta connotata dalla continuità della violazione deontologica, destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione del cliente delle somme di sua spettanza similmente, in base a un diverso arresto - quello di Cass. Sez. U. 30 giugno 2016, numero 13379 -, l'avvocato che prometta al proprio assistito la consegna delle somme riscosse per suo conto senza provvedervi immediatamente contravviene all'articolo 44, u.c., del codice deontologico forense vigente ratione temporis, ponendo in essere una condotta connotata dalla ridetta continuità della violazione deontologica. 3. - Il terzo mezzo contiene una censura di violazione di legge con riferimento all'articolo 155 c.p.c., per arbitrario aumento di un giorno della sanzione disciplinare e richiesta di danni ex articolo 96 c.p.c. . Viene osservato che con la comunicazione del 6 agosto 2021 l'Ordine degli avvocati di Venezia aveva applicato la sospensione disciplinare per due mesi e un giorno e che con lettera del 27 agosto 2021 aveva specificato che i termini a mese o ad anno si computano ex nominatione dierum, senza tener conto del dies a quo. Il motivo è inammissibile. Esso si riferisce, in modo confuso, a questione estranea alla sentenza impugnata ed è difatti ricondotto dal ricorrente a quanto il Consiglio dell'ordine avrebbe comunicato all'istante ai fini dell'esecuzione del provvedimento sospensivo. Come è noto, però, i motivi posti a fondamento dell'invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa. Cass. 25 settembre 2009, numero 20652 Cass. 6 giugno 2006, numero 13259 cfr. pure Cass. 7 aprile 2015, numero 6902 Cass. 2 marzo 2012, numero 3248 . Quanto denunciato, come detto, non è pertinente al provvedimento in esame, onde non può integrare un ammissibile mezzo di censura. 4. - Le spese di giudizio devono porsi a carico del ricorrente, siccome soccombente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte controricorrente, liquidandole in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.