La Corte di Cassazione sulla violazione del divieto di reformatio in peius nel giudizio d’Appello.
Il Tribunale di Gela, in parziale riforma della decisione del Giudice di pace del 2019 aveva affermato la responsabilità di M.F. e G.C. per i reati di minaccia, percosse e lesioni. Avverso la suddetta sentenza gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi di doglianza. Il ricorso si basa principalmente sul trattamento sanzionatorio e sul divieto violato dal Giudice d'Appello della reformatio in peius. Sulla questione specifica il Collegio che «nel giudizio d'Appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato non riguarda unicamente l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui, in ipotesi di reato continuato, quando sia escluso uno dei reati satellite, la pena base stabilita per il reato più grave che concerne un punto della sentenza non oggetto di riforma, non può essere aumentata rispetto a quella determinata in primo grado» Cass. numero 31998/2018 . Per quanto riguarda il caso di specie, la Corte di Cassazione ha affermato che «il giudice dell'impugnazione che, in luogo del concorso materiale, unifichi i reati nel vincolo della continuazione, non possa - in mancanza di uno specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero - modificare la pena illegale di maggior favore per il reo, già inflitta in primo grado, per uno dei reati di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, sebbene pervenga, all'esito, all'irrogazione di un complessivo trattamento sanzionatorio più favorevole». Alla luce di queste considerazioni risulta fondata solo questa doglianza del ricorso.
Presidente Sabeone – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata del 5 giugno 2020, il Tribunale di Gela ha, in parziale riforma della decisione del Giudice di pace in sede del 1 marzo 2019, con la quale è stata affermata la responsabilità penale di F.M. e C.G. in ordine ai reati di minaccia e percosse e di lesioni, ai medesimi rispettivamente ascritti ai capi a e b e c della rubrica, unificato i fatti ascritti alla prima nel vincolo della continuazione e rideterminato la pena, confermando nel resto. 2. Avverso la sentenza indicata hanno proposto ricorso gli imputati con unico atto a firma del comune difensore, Avv. omissis , affidando le proprie censure a tre motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 c.p.p., comma 1, disp. att 2.1. Con il primo motivo, si deduce vizio della motivazione in riferimento all'affermazione di responsabilità per avere il Tribunale disatteso le censure difensive, volte ad evidenziare incongruenze e contraddizioni nelle dichiarazioni testimoniali, pervenendo alla conferma della condanna in violazione del canone dell' oltre ogni ragionevole dubbio . 2.2. Con il secondo motivo, si prospetta nell'interesse di C.M. la violazione dell'articolo 597 c.p.p., comma 3, per avere il Tribunale irrogato all'esito dell'unificazione dei reati nel vincolo della continuazione - la pena base per il reato più grave di cui al capo b nella misura di Euro 350,00 di multa, maggiore della sanzione determinata in primo grado per lo stesso reato pari ad Euro 200,00. 2.3. Con il terzo motivo, si deduce violazione di legge e correlato vizio della motivazione in relazione al diniego della causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis c.p 3. Con requisitoria scritta ex D.L. numero 137 del 30 dicembre 2021, articolo 23, il Procuratore generale ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi. 4. In data 4 gennaio 2022 è pervenuta in cancelleria memoria della parte civile con allegata nota spese. Considerato in diritto Il ricorso proposto nell'interesse di F.M. è fondato limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio mentre sono inammissibili le ulteriori doglianze. 1.11 primo motivo di ricorso è proposto fuori dei casi previsti dalla legge. 1.1. Premesso che è inammissibile il motivo con cui si deduca - come nella specie - la violazione dell'articolo 530 c.p.p., per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. e , non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità Sez. U, numero 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 , la proposta doglianza, correttamente inquadrata nella deduzione dl vizio di motivazione, si pone oltre i limiti di deducibilità previsti per i reati di competenza del Giudice di pace dall'articolo 606 c.p.p., comma 2-bis. 1.2. Attraverso l'integrale trasposizione di dichiarazioni reputate contrastanti, per altro verso, i ricorrenti finiscono comunque per introdurre una inammissibile rivalutazione delle prove per tutte Sez. U, numero 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 , proponendone una soggettiva reinterpretazione, senza prospettare un vulnus tale da rendere la motivazione inesistente e, pertanto, ascrivibile alla violazione di legge. Il primo motivo è, pertanto 2. Il terzo motivo è, parimenti, proposto fuori dei casi consentiti. La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'articolo 131-bis c.p., non è, invero, applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace Sez. U, numero 53683 del 22/06/2017, Pmp, Rv. 271587 , per i quali è previsto lo specifico istituto di cui al D.Lgs. numero 274 del 28 agosto 2000, articolo 34, in considerazione delle peculiarità del complessivo sistema sostanziale e processuale introdotto in relazione ai reati di competenza del giudice di pace, nel cui ambito la tenuità del fatto svolge un ruolo anche in funzione conciliativa. I ricorsi svolti sul punto della responsabilità sono, pertanto, inammissibili. 3. È, invece, fondato il secondo motivo, proposto nell'interesse di F.M. . 3.1. Esclusa la continuazione, il Giudice di pace aveva irrogato all'imputata la pena di Euro 250,00 di multa per il reato di minacce sub a e di Euro 200,00 di multa per il delitto di percosse di cui al capo b , mentre il Tribunale, ritenuto più grave quest'ultimo reato, ha rideterminato - muovendo nella cornice edittale prevista dal D.Lgs. numero 274 del 28 agosto 2000, articolo 52, comma 2,- la relativa pena in Euro 350,00 di multa, aumentata ex articolo 81 c.p., comma 2, fino ad Euro 400,00 di multa. Posto che la pena irrogata in primo grado per il reato di percosse è stata illegalmente determinata in primo grado al di sotto del limite minimo, pari ad Euro 258 di multa, previsto dal D.Lgs. numero 274 del 28 agosto 2000, articolo 52, comma 2, si pone la questione del se, nel ricondurre la pena entro la forbice legalmente prevista in ordine alla fattispecie reputata più grave ai fini della continuazione e nel comminare, complessivamente, un trattamento sanzionatorio più favorevole di quello derivante dal concorso materiale, il giudice d'appello abbia comunque violato il divieto di reformatio in pejus. 3.2. Ad avviso del Collegio, il tema del divieto di trattamento deteriore non può essere riguardato, nel caso all'odierno vaglio, solo alla luce dei principi, autorevolmente espressi Sez. U, numero 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653, da ultimo ripresa da Sez. 2, numero 37092 del 08/07/2021, Reginato, Rv. 282127 secondo cui non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall'articolo 597 c.p.p., il giudice dell'impugnazione che, quando muta la struttura del reato, apporta per uno dei fatti unificati dall'identità del disegno criminoso un trattamento sanzionatorio maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore. L'applicazione dei predetti canoni - che, peraltro, alimenta una giurisprudenza talora dissonante ad esempio Sez. 3, numero 17731 del 15/02/2018, Balzano, Rv. 272779 che, in dichiarata adesione a Sez. U, numero 40910 del 27/09/2005, William Morales, ha affermato il seguente principio nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato non riguarda unicamente l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui, in ipotesi di reato continuato, quando sia escluso uno dei reati satellite, la pena base stabilita per il reato più grave che concerne un punto della sentenza non oggetto di riforma, non può essere aumentata rispetto a quella determinata in primo grado V. anche Sez. 5, numero 31998 del 06/03/2018, Rossi, Rv. 273570 , in correlazione con la variegata casistica disaminata - deve confrontarsi, nel caso all'odierno vaglio, con l'ulteriore e preliminare profilo dell' in tangibilità della pena illegale favorevole irrogata in primo grado e riformata in appello, sempre nella prospettiva del divieto enunciato all'articolo 597 c.p.p., comma 3. 3.3. Sul decisivo punto appena evidenziato, invero, questa Corte ha affermato, con orientamento consolidato, come il giudice dell'impugnazione non possa - in mancanza di uno specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero modificare la sentenza che abbia inflitto una pena illegale di maggior favore per il reo Sez. 2, numero 30198 del 10/09/2020, Di Mauro, Rv. 279905 Sez. 5, numero 44088 del 09/05/2019, Dzemali, Rv. 277845 numero 49404 del 2013 Rv. 258128, numero 49858 del 2013 Rv. 257672, numero 34139 del 2018 Rv. 273677 ed anche nel giudizio di legittimità l'illegalità ab origine della pena, inflitta in senso favorevole all'imputato, può essere corretta dalla Corte di cassazione solo in presenza di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, essendo limitato il potere di intervento d'ufficio ai soli casi nei quali l'errore sia avvenuto in danno dell'imputato, essendo anche in questa sede non superabile il limite del divieto di reformatio in pjius enunciato espressamente per il giudizio di appello, ma espressione di un principio generale, valevole anche per il giudizio di cassazione Sez. 2, numero 22494 del 25/05/2021, Karis, Rv. 281453 Sez. 5, numero 44897 del 30/09/2015, Galiza Lima, Rv. 265529 Sez. 5, numero 771 del 15/02/2000, Bosco, Rv. 215727 . Come si vede, la giurisprudenza ha interpretato il divieto di reformatio in peius ritenendolo compatibile con le rimodulazioni che non si risolvono nella definizione di un trattamento finale deteriore, ma il divieto non è mai stato ritenuto compatibile con l'eliminazione integrale degli effetti del beneficio già concesso e non contestato dalla parte pubblica legittimata. Il che induce a ritenere l'intangibilità della pena illegale di favore anche quando, in applicazione del temperamento sanzionatorio conseguente ‘al riconoscimento del vincolo della continuazione in luogo del concorso di reati, il giudice d'appello debba procedere alla individuazione del reato più grave ed alla rideterminazione della pena complessiva. In tal caso, invero, la verifica del rispetto del divieto di cui all'articolo 597 c.p.p., comma 3., non può dirsi esaurita attraverso la mera comparazione del trattamento sanzionatorio globale irrogato nelle sentenze di primo e secondo grado, ma si estende alle componenti che concorrono alla rideterminazione, anche laddove il risultato complessivo risulti più favorevole. E tanto non già in applicazione del principio enunciato nella citata sentenza William Morales, superato dalle precisazioni rese dalle Sezioni unite nella successiva sentenza numero 16208 del 2014, C., Rv. 258653, quanto, piuttosto, in una prospettiva che impone l'anticipazione della garanzia alle singole pene coinvolte, ove già determinate illegalmente in senso favorevole all'imputato. Del resto, siffatta soluzione sembra trovare conferma anche nei principi recentemente affermati dalle Sezioni unite sentenza numero 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, Acquistapace, Rv. 280539 , secondo cui il giudice di appello, investito dell'impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per reato contravvenzionale, lamenti l'illegittima riduzione della pena ai sensi dell'articolo 442 c.p.p. nella misura di un terzo anziché della metà, deve applicare detta diminuente nella misura di legge, pur quando la pena irrogata dal giudice di primo grado sia inferiore al minimo edittale e, dunque, di favore per l'imputato. Facendo leva su altro principio generale posto dall'ari . 597 c.p.p., il principio devolutivo previsto dal comma 1 della norma, le Sezioni unite hanno, in particolare, sottolineato come l'accoglimento dell'impugnazione del solo imputato in ordine ad una delle componenti del trattamento sanzionatorio non possa essere neutralizzato da improprie forme di compensazione con altro punto ad esso inerente, quale l'erronea individuazione della pena in violazione dei minimi edittali, non devoluto alla cognizione del giudice. Richiamando, altresì, l'articolo 597 c.p.p., comma 4, le Sezioni unite hanno affermato come l'accoglimento di censure validamente proposte mediante l'atto di impugnazione dell'imputato che lamenti l'inosservanza e la violazione di legge in ordine ad una delle componenti del trattamento sanzionatorio non ossa essere neutralizzato da improprie forme di compensazione con altro punto ad esso inerente, quale l'erronea individuazione della pena in violazione dei minimi edittali, non devoluto alla cognizione del giudice poicè - in tal modo - oltre a violare le previsioni contenute nell'articolo 597 c.p.p., commi 1 e 3, si vanificherebbe l'effettività del diritto di difesa, che postula non solo l'accesso al mezzo di impugnazione, ma anche, a fronte di un motivo fondato ritualmente prospettato, un provvedimento giudiziale che offra reale risposta e concreto rimedio al vizio dedotto . Siffatta non consentita estensione della cognizione del giudice di appello viene, pertanto, a configurarsi quando, in ragione della ritenuta illegittimità, in senso favorevole all'imputato, della pena determinata in primo grado rispetto al limite minimo edittale, viene a ri determinarsi la stessa pena quale base sanzionatoria su cui disporre gli incrementi di pena per ulteriori reati, unificati - in accoglimento dell'impugnazione dell'imputato - dalla continuazione, pur se all'esito il complessivo carico risulti meno afflittivo in tal modo, infatti, si compensa, di fatto, la riduzione applicata per la continuazione con un corrispondente indiretto effetto di aumento della pena-base, attingendo in senso sfavorevole all'imputato il tema della misura di quest'ultima e, quindi, un punto non devoluto con l'impugnazione. Deve essere, pertanto, qui affermato come il giudice dell'impugnazione che, in luogo del concorso materiale, unifichi i reati nel vincolo della continuazione, non possa - in mancanza di uno specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero - modificare la pena illegale di maggior favore per il reo, già inflitta in primo grado, per uno dei reati di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, sebbene pervenga, all'esito, all'irrogazione di un complessivo trattamento sanzionatorio più favorevole. 3.4. Alla luce delle superiori considerazioni risulta fondato il rilievo difensivo che, nel censurare l'intervento correttivo in pejus sulla pena irrogata per il capo B , ha denunciato la violazione del divieto di cui all'articolo 597 c.p.p., comma 3. Rettificando la pena - irrogata in primo grado nella misura di Euro 200,00, in violazione del minimo edittale di Euro 258,00 previsto dal D.Lgs. numero 274 del 28 agosto 2000, articolo 52, comma 2- per il reato di percosse, sanzionato alternativamente con pena detentiva o pecuniaria, il Tribunale è, di fatto, pervenuto ad una compensazione peggiorativa che, nell'ambito della ritenuta conbnuazione, ne ha attenuato gli effetti, in tal modo estendendo indebitamente la propria cognizione oltre i limiti del devolutum e con effetti pregiudizievoli per la ricorrente. Siffatto errore non può, tuttavia, essere emendato in questa sede di legittimità. Ferma restando l'intangibilità della pena già determinata in primo grado in ordine al più gravemente sanzionato in astratto delitto di percosse, resta rimesso al giudice del merito l'apprezzamento dell'incremento sanzionatorio da disporsi in aumento per il reato di cui al capo a , non risultando l'irremovibile entità della pena base indifferente rispetto al computo della quota di pena in aumento e non ricorrendo, pertanto, le condizioni per un intervento correttivo in questa sede Sez. U, numero 3464 del 30/11/2017, dep. 2018, Matrone, Rv. 271831 . 4. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata in relazione alla posizione di F.M., limitatamente alla determinazione della pena, con rinvio al giudice del merito perché, facendo corretta applicazione degli enunciati principi, proceda a nuovo esame sul punto. 5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso di C.G. consegue, ex articolo 616 cod.' proc. penumero , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende, oltre alla rifusione alla parte civile delle spese di assistenza del grado, da liquidarsi cura del giudice del merito Sez. U, numero 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena irrogata a F.M. e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Gela. Inammissibile nel resto il ricorso. Dichiara inammissibile il ricorso di C.G. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Caltanissetta con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.