È inammissibile il ricorso per Cassazione che non investe uno dei motivi della decisione

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 4 aprile 2022, n. 10847, hanno dichiarato inammissibile il ricorso avanzato dall’azionista di una banca avverso i provvedimenti della Banca d’Italia e del MEF di avvio del procedimento di risoluzione ex d. lgs. n. 180/2015 nei confronti della banca medesima.

Le Sezioni Unite, richiamando l'uniforme orientamento di legittimità sul punto, hanno ribadito che qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi. La questione in lite. Con provvedimento del 21 novembre 2015 la Banca d'Italia, previa autorizzazione del Ministero dell'Economia e delle Finanze inde , MEF , avviava il procedimento di risoluzione nei confronti di una Cassa di Risparmio in conformità alle previsioni del d. lgs. 16 novembre 2015 n. 180 . Il procedimento di risoluzione si articolava a nell'azzeramento del capitale della Cassa, con l'estinzione dei diritti degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati b nella istituzione di un cd. ente-ponte, la Nuova Cassa di Risparmio , destinato ad essere venduto ad altri operatori del mercato bancario c nel trasferimento all'ente-ponte dell'azienda della Cassa di Risparmio d nella cessione dei rapporti in sofferenza dall'ente-ponte ad una c.d. bad company e nella liquidazione coatta amministrativa della Cassa di Risparmio e nella revoca dell'autorizzazione alla stessa ad esercitare l'attività bancaria f nella designazione, a seguito di procedura negoziata, di un esperto indipendente incaricato delle valutazioni di cui agli artt. 25, comma 3, e 88 d. lgs n. 180/2015 . La Fondazione della Cassa di Risparmio, azionista della medesima che aveva subito l'azzeramento del valore del proprio pacchetto azionario, ricorreva innanzi al TAR impugnando tutti i provvedimenti della Banca d'Italia, e quelli connessi del MEF, deducendo l'illegittimità della procedura di risoluzione per molteplici vizi, tra cui la violazione di legge, l'eccesso di potere e la violazione degli artt. 73 e 97 della Costituzione e dei principi di proporzionalità e imparzialità. In dettaglio, la ricorrente denunciava l'assertività del citato provvedimento della Banca d'Italia del 21 novembre 2015, lamentando l'assenza di plausibili spiegazioni della totale riduzione del valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate e deducendo, tra l'altro, l'assenza di prova in ordine all'impossibilità di una soluzione alternativa, anche attraverso l'intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, alla risoluzione della Cassa di Risparmio. Conseguentemente la Fondazione formulava anche una domanda risarcitoria per i danni asseritamente subiti. Il TAR e il Consiglio di Stato respingevano le domande formulate dalla Fondazione. Segnatamente il Consiglio di Stato, preso atto che nelle more dei giudizi si era conclusa la procedura di risoluzione con la vendita della Nuova Cassa di Risparmio ad altro istituto di credito, dichiarava improcedibile la domanda demolitoria della Fondazione e infondata quella risarcitoria. La Fondazione ricorreva per Cassazione e si costituivano in giudizio la Banca d'Italia, il MEF e la banca acquirente della Nuova Cassa di Risparmio. Il ricorso della Fondazione. La Fondazione formula un unico motivo di ricorso declinato in due distinte doglianze il Consiglio di Stato, dichiarando l'improcedibilità della domanda demolitoria , sarebbe incorso, in violazione del disposto di cui all' art. 95 d.lgs n. 180/2015 , in eccesso di potere giurisdizionale per cd. arretramento il Consiglio di Stato, nel respingere la domanda risarcitoria, avrebbe erroneamente ritenuto l'impossibilità di un intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi ai sensi del diritto dell'Unione Europea. L'inammissibilità della prima doglianza del ricorso per difetto di pertinenza alle ragioni della sentenza impugnata. In relazione alla prima doglianza sollevata dalla ricorrente, le Sezioni Unite ritengono che la questa sia inammissibile per difetto di pertinenza alle ragioni della sentenza impugnata, in quanto non coglie la ratio decidendi della stessa. Ricorda la Corte al riguardo che il citato art. 95, comma 3, d.lgs. 180/2015 dispone che quando il giudice lo ritiene necessario per tutelare gli interessi dei terzi in buona fede che hanno acquistato azioni, altre partecipazioni, diritti, attività o passività di un ente sottoposto a risoluzione a seguito del ricorso agli strumenti di risoluzione o dell'esercizio dei poteri di risoluzione, l'annullamento del provvedimento lascia impregiudicati gli atti amministrativi adottati o i negozi posti in essere dalla Banca d'Italia o dai commissari speciali, sulla base del provvedimento annullato. Resta fermo il diritto al risarcimento del danno subito e provato, nei limiti stabiliti dalle norme vigenti . Ritiene la Corte che il tenore letterale di detta norma attribuisca al giudice amministrativo il potere, di tipo costitutivo , di lasciare impregiudicati, a tutela dei terzi di buona fede, gli atti amministrativi adottati sulla base di un provvedimento che abbia avviato a risoluzione un ente creditizio e che sia stato annullato. La salvezza di tali atti non è però automatica, ma viene disposta dal giudice sulla base di apprezzamenti di fatto al medesimo demandati e cioè quando il giudice lo ritiene necessario . Il presupposto di operatività del citato art. 95 è, dunque, precisa la Corte, l'intervenuto annullamento del provvedimento che abbia disposto la risoluzione dell'ente creditizio. Nella fattispecie, invece, il provvedimento di avvio della Cassa di Risparmio alla risoluzione non è stato annullato , proprio perché il Consiglio di Sato ha giudicato improcedibile , ai sensi dell' art. 34, comma 3, c.p.a . i.e . quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori , la relativa domanda formulata dalla Fondazione. Sul punto i Giudici rilevano che il disposto dell' art. 95 d.lgs. n. 180/2015 opera su un piano diverso, per così dire a valle , rispetto all' art. 34 c.p.a . In base a quest'ultimo, infatti, quando l'annullamento risulti non più utile per il ricorrente l'azione di annullamento diventa improcedibile in quanto tale e si converte ex lege in azione di accertamento della illegittimità degli atti impugnati cfr. Cons. Stato, n. 5324/2017 . La disposizione di cui all' art. 95, comma 3, d.lgs. n. 180/2015 postula, invece, che il giudice abbia annullato l'atto impugnato - evidentemente ritenendo l'annullamento potenzialmente produttivo di qualche utilità, almeno morale, per il ricorrente cfr. Cons. Stato, n. 376/2019 - e conferisce al giudice stesso il potere di salvare gli atti consequenziali a quello impugnato, ove tale salvezza risulti necessaria per tutelare i terzi di buona fede. Ritiene quindi la Corte che non sussista sovrapposizione tra l' art. 95, comma 3, d.lgs. n. 180/2015 , e l' art. 34, comma 3, c.p.a ., né specialità del primo rispetto al secondo, in quanto il primo disciplina una situazione che presuppone che il giudice amministrativo non abbia fatto applicazione del secondo. In conclusione, le Sezioni Unite giudicano inammissibile la prima doglianza della ricorrente perché il richiamo al disposto dell' art. 95, comma 3, d.lgs. n. 180/2015 è fuori fuoco il Consiglio di Stato, infatti, ha applicato l' art. 34, comma 3, c.p.a . ed ha ritenuto - operando una valutazione di fatto che certamente rientra nei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo - che la conclusione del procedimento di risoluzione avesse sottratto agli azionisti della Cassa di Risparmio qualunque possibilità di ambire alla ricostituzione della loro banca e, quindi, qualunque possibilità di ricavare utilità dall'annullamento degli atti impugnati. La conversione dell'azione di annullamento in azione di accertamento. Passando alla seconda doglianza di cui al ricorso la Corte ritiene che anche questa sia inammissibile . In primo luogo, rileva il Collegio come non sussista alcuna contraddittorietà nella sentenza impugnata per aver prima dichiarato l'inammissibilità della domanda di annullamento e poi rigettato, valutandola nel merito, quella risarcitoria. Ciò in quanto come già illustrato quando l'annullamento risulti non più utile per il ricorrente, l'azione di annullamento, divenuta improcedibile in quanto tale, si converte ex lege in azione di accertamento della illegittimità degli atti impugnati. Ciò chiarito, i Giudici osservano come la sentenza oggetto di gravame non si fondi solamente sull'assunto, contestato dalla Fondazione, della impossibilità giuridica di ricorrere all'intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. La decisione risulta invero ancorata su due rilievi a che l'immediata cessione dell'intera azienda bancaria ad altro istituto di credito era stata tentata senza successo b che la Fondazione non aveva offerto alcuna prova del pregiudizio patrimoniale asseritamente sofferto. Quanto a quest'ultimo argomento, per quel che qui rileva, la ratio decidendi del medesimo è autonomamente idonea a sorreggere la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria, perché l'affermazione della mancata prova del c.d. danno conseguenza impedisce l'accoglimento della pretesa risarcitoria a prescindere dall'accertamento - positivo o negativo - della causa dedotta a fondamento di tale domanda, ossia l'illegittimità della procedura amministrativa di risoluzione della Cassa di Risparmio. In altri termini, quand'anche l'argomentazione del Consiglio di Stato in ordine alla illegittimità euorunitaria dell'intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi integrasse un'ipotesi di stravolgimento radicale delle norme europee di riferimento, ciò non potrebbe comunque portare alla cassazione della sentenza gravata, il cui decisum risulta sorretto da una seconda, autonoma, ratio decidendi - cioè, la mancata prova del lamentato danno - non specificamente censurata dalla Fondazione. Sull'inammissibilità del ricorso per cassazione che non attinga tutte le rationes decidendi. In argomento la Corte richiama il principio consolidato della giurisprudenza di legittimità, della inammissibilità del ricorso per cassazione che non attinga tutte le rationes decidendi autonomamente idonee a sorreggere la decisione, giacché l'eventuale accoglimento del ricorso non potrebbe mai estendersi alle ragioni non impugnate.

Presidente Amendola Relatore Cosentino Svolgimento del processo 1. Nel 2015, a causa del dissesto della Cassa di Risparmio della provincia di C. s.p.a. da ora C. la Banca d'Italia dette corso al procedimento di risoluzione di tale banca, in conformità alle previsioni del D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 180 , attuativo della direttiva 2014/59/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, istitutiva di un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. 2. Il procedimento di risoluzione fu avviato con provvedimento della Banca d'Italia del 21 novembre 2015, approvato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze il 22 novembre 2015, e si articolò, in sintesi, nell'azzeramento del capitale, con l'estinzione dei diritti degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati , tra cui l'odierna ricorrente nella istituzione di un cd. ente-ponte, denominato Nuova Cassa di Risparmio della Provincia di C. s.p.a. nel prosieguo, Nuova C. , destinato ad essere venduto ad altri operatori del mercato bancario nel trasferimento all'ente-ponte dell'azienda della C. nella cessione dei rapporti in sofferenza dall'ente-ponte ad una bad company denominata R. s.p.a. nella liquidazione coatta amministrativa della C., disposta dal Ministero dell'Economia e delle Finanze il 9 dicembre 2015, e nella revoca dell'autorizzazione alla stessa ad esercitare l'attività bancaria, disposta dalla Banca Centrale Europea il 14 dicembre 2015 nella designazione, a seguito di procedura negoziata, di s.p.a. in funzione di esperto indipendente incaricato delle valutazioni di cui del D.Lgs. n. 180 del 2015, art. 25, comma 3 e art. 88 . 3 . Con ricorso al TAR Lazio la Fondazione C. - Abruzzo e Molise all'epoca Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di C. - già azionista della C., che aveva visto azzerare il valore delle proprie azioni a seguito della suddetta procedura di risoluzione - impugnò i suddetti provvedimenti della Banca d'Italia e del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 21 e, rispettivamente, del 22 novembre del 2015 e tutti i consequenziali atti della procedura di risoluzione della C., deducendo l'illegittimità di tale procedura per molteplici vizi, tra cui la violazione di legge, l'eccesso di potere e la violazione degli artt. 73 e 97 Cost. , e dei principi di proporzionalità e imparzialità. La ricorrente denunciava l'assertività del menzionato provvedimento della Banca d'Italia del 21 novembre 2015, lamentando l'assenza di plausibili spiegazioni della totale riduzione del valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate e deducendo, tra l'altro, l'assenza di prova in ordine all'impossibilità di una soluzione alternativa, anche attraverso l'intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, alla risoluzione della banca. 3.1. Alla domanda demolitoria la Fondazione C. - Abruzzo e Molise affiancò altresì una domanda risarcitoria, deducendo che i suoi diritti patrimoniali sarebbero stati pregiudicati dall'illegittimo ricorso alla procedura di risoluzione. Secondo la ricorrente l'adozione di tale procedura avrebbe danneggiato gli azionisti della C., giacché, al contrario, l'intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositanti, non costituente aiuto di Stato avrebbe consentito la conservazione di un pur minimo valore dei titoli dei risparmiatori, il cui importo avrebbe potuto trovare copertura nel recupero dei crediti deteriorati, deprezzati oltre misura pag. 6, primo capoverso, del ricorso . 4. Il TAR Lazio, con la sentenza n. 12890/2016, ha disatteso tutte le domande della Fondazione C. - Abruzzo e Molise. 5. In epoca successiva alla pronuncia della sentenza del TAR Lazio la procedura di risoluzione della C. è giunta a compimento con la vendita della Nuova C. s.p.a. alla banca U. s.p.a. omissis Banca . 6. L'appello proposto dalla ricorrente avverso la sentenza del TAR Lazio è stato rigettato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 582/2019, che lo ha dichiarato in parte improcedibile, in parte infondato. 7. In primo luogo, il Consiglio di Stato, preso atto che il procedimento di risoluzione della C. si era concluso con la vendita della neocostituita Nuova C. ad U. Banca, ha dichiarato improcedibile l'appello nella parte in cui esso era volto a censurare la statuizione di infondatezza della domanda di annullamento degli atti amministrativi impugnati cfr. pp. 5-6 della sentenza . 8. Il Consiglio di Stato ha altresì dichiarato infondate le censure relative al rigetto della domanda di risarcimento dei danni sofferti dalla ricorrente a causa della sottoposizione della C. al procedimento di risoluzione. Come già accennato nel p. 3.1 che precede, la ricorrente aveva sostenuto che, se invece del procedimento di risoluzione, a suo dire illegittimo, l'azienda bancaria fosse stata ceduta con l'intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, essa non avrebbe subito il danno consistente nell'azzeramento dei diritti degli azionisti v. pp. 7-7.2 della sentenza gravata . Il Consiglio di Stato, rigettando la doglianza, ha rilevato che 8.1. l'immediata cessione dell'intera azienda bancaria ad altro istituto di credito era stata tentata, ma con esito negativo v. p. 8.1 della sentenza impugnata 8.2. un intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi volto ad agevolare la cessione di C. non sarebbe stato possibile, essendo tale intervento già stato qualificato come aiuto di Stato dalla Commissione Europea con la comunicazione del 23 dicembre 2015 relativa all'analogo intervento precedentemente effettuato per il salvataggio di Banca T. - Cassa di Risparmio della Provincia di T. v. pp. 8.2-8.5 della sentenza gravata 8.3. le appellanti non avevano assolto al benché minimo onere probatorio finanche di allegazione del pregiudizio patrimoniale sofferto cd. conseguenza v. p. 9 della sentenza gravata . 9. Avverso la suddetta sentenza del Consiglio di Stato la Fondazione C. - Abruzzo e Molise ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell' art. 111 Cost. , art. 362 c.p.c. e art. 110 c.p.a ., notificando il gravame alle parti menzionate in epigrafe. 10. La Banca d'Italia, U. Banca e s.p.a. - nonché l'Avvocatura Generale dello Stato per la Presidenza del Consiglio dei ministri e per il Ministero dell'Economia e delle Finanze - hanno depositato controricorso, mentre gli altri intimanti non hanno svolto attività difensiva. 11. La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 12 ottobre 2021 - cameralizzata ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, e del D.L. n. 105 del 2021, art. 7 Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 - per la quale la ricorrente ha depositato una memoria in data 2.9.2021 e una ulteriore memoria in data 4.10.2021, le contro ricorrenti U. Banca e s.p.a. hanno a propria volta depositato memoria, entrambe in data 5.10.2021, e il Procuratore Generale ha depositato una requisitoria scritta, concludendo per la inammissibilità del ricorso. Motivi della decisione 12. In via preliminare va scrutinata l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla controricorrente U. Banca sul rilievo che essa sarebbe del tutto estranea al presente contenzioso , per non avere preso parte a nessuno dei procedimenti che hanno portato all'adozione - ad opera delle autorità e degli enti pubblici - degli atti e dei provvedimenti oggetto della sentenza del Consiglio di Stato impugnata pag. 3 del controricorso, p. 1.2. . La difesa di U.Banca sottolinea altresì come l'impugnazione avversaria sia stata proposta contro la Banca d'Italia e il Ministero dell'Economia e delle Finanze e nei confronti di U. Banca ed argomenta che la formula nei confronti sarebbe propria dei giudizi amministrativi e non evocabile in questa sede pag. 9 del controricorso, p. 1.4. . 12.1. L'eccezione va disattesa. Il fatto che nessuna domanda risarcitoria sia stata proposta nei confronti di U. Banca e che quest'ultima sia rimasta del tutto estranea ai procedimenti amministrativi che hanno condotto alla risoluzione della C., così come il fatto che essa sia rimasta estranea al giudizio davanti al giudice amministrativo definito in secondo grado con la sentenza qui impugnata, non escludono la legittimazione passiva della stessa nel presente giudizio di legittimità. Tale legittimazione si fonda, infatti, sul rilievo che, nella pendenza del giudizio davanti al Consiglio di Stato, la Nuova C., che in tale giudizio era parte, è stata incorporata da U. Banca. Per effetto di tale fusione per incorporazione U. Banca è succeduta alla Nuova C. ed è in qualità di successore di quest'ultima che essa ha interesse - e legittimazione - a resistere al presente ricorso. Le ricorrenti, notificando il ricorso per cassazione anche ad U. Banca, si sono quindi correttamente attenute al principio, più volte affermato nella giurisprudenza di questa Corte, che, nella ipotesi che in corso di causa intervenga la fusione per incorporazione di una parte ex art. 2504 bis c.c. nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 6 del 2003 , la legittimazione attiva e passiva all'impugnazione spetta alla società incorporante cui sono stati trasferiti i diritti e gli obblighi della società incorporata, che prosegue in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione facenti capo alla società incorporata cfr. Cass. 14177/2019 si veda anche, in senso conforme, SSUU 21970/2021 . 13. Con l'unico motivo di ricorso viene denunciata la violazione dell'art. 47 della Carta dei diritti artt. 49, 88 e 130 del preambolo della Direttiva 2014/59/UE del Parlamento e del Consiglio del 15.5.14 art. 107 TFUE D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 180, art. 95 pag. 42 del ricorso . Il motivo si articola in due distinte doglianze. 14. La prima doglianza attinge la declaratoria di improcedibilità della domanda demolitoria rectius dell'appello avverso la statuizione del TAR Lazio di rigetto di tale domanda , adottata dal Consiglio di Stato sul rilievo della definitiva conclusione del procedimento di risoluzione della C. e della già avvenuta cessione della neocostituita Nuova C. ad U. Banca cfr. p. 7 che precede . La ricorrente sostiene che il Consiglio di Stato, negando l'annullamento degli atti impugnati, sarebbe incorso in eccesso di potere giurisdizionale per cd. arretramento . 15. In particolare, con la suddetta doglianza si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 180 del 2015, art. 95, comma 3, alla cui stregua, si argomenta nel motivo di ricorso, il giudice amministrativo, a fronte di un provvedimento di risoluzione di un ente creditizio, conserva, a pieno, il potere di sindacato e può giungere al suo annullamento pag. 50, p. I.1, del ricorso , salva la possibilità di lasciare impregiudicati, a tutela dei terzi, gli atti amministrativi adottati o i negozi posti in essere dalla Banca d'Italia o dai commissari speciali sulla base del provvedimento annullato. Secondo la ricorrente, dunque, il Consiglio di Stato avrebbe dovuto pronunciarsi sulla domanda di annullamento degli atti impugnati dichiarando tale domanda improcedibile, invece, esso si sarebbe astenuto dall'esercitare la propria giurisdizione, così violando il Preambolo della Direttiva 2014/59/UE tanto nel punto 88 che recita Ai sensi dell'art. 47 della Carta, le parti interessate hanno diritto a un processo imparziale e a mezzi di ricorso efficaci nei confronti delle misure che le riguardano. Di conseguenza, è opportuno prevedere il diritto di impugnare le decisioni prese dalle autorità di risoluzione , quanto nel punto 130 che recita La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i diritti, le libertà e i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta, segnatamente il diritto di proprietà, il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale e i diritti della difesa . 15.1. Nella prima doglianza del motivo di ricorso la Fondazione C. - Abruzzo e Molise denuncia altresì la contraddizione in cui, a suo dire, il Consiglio di Stato sarebbe incorso per avere, da un lato, dichiarato improcedibile la domanda demolitoria e, d'altro lato, conosciuto nel merito della domanda risarcitoria. Secondo la ricorrente, infatti, la cognizione della domanda risarcitoria postulerebbe l'annullamento dei provvedimenti impugnati, per cui se la domanda risarcitoria è stata esaminata nel merito, e dunque, considerata procedibile, quella di annullamento avrebbe dovuto essere ritenuta fondata pag. 50, p. I.2, del ricorso . 16. La seconda doglianza attinge la statuizione di infondatezza della domanda risarcitoria, censurando specificamente l'affermazione dell'impugnata sentenza secondo cui l'intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi non sarebbe stato consentito dal diritto dell'Unione Europea. A tal riguardo la ricorrente sottolinea come la riconduzione di tale intervento alla nozione di aiuto di Stato - sostenuta dalla Commissione Europea, nel caso della Cassa di Risparmio di T., con la decisione del 23.12.15, evocata nella sentenza impugnata - sia stata smentita prima dal Tribunale dell'Unione Europea con la sentenza del 19.3.19 e poi dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea con la sentenza del 2.3.21 depositata in questo giudizio nelle forme di cui all' art. 372 c.p.c. . Secondo i ricorrenti il Consiglio di Stato sarebbe incorso in un error in iudicando che, basato su un radicale stravolgimento delle norme Europee di riferimento, come interpretate dalla Corte di giustizia, ha prodotto un vuoto di tutela giurisdizionale pag. 52 del ricorso, p. II.3 . 17. La prima doglianza pp. 14, 15 e 15.1 che precedono va giudicata inammissibile per difetto di pertinenza alle ragioni della sentenza impugnata, in quanto non coglie la ratio decidendi della stessa. 18. E' opportuno, per l'immediata intelligenza della questione, trascrivere del D.Lgs. n. 180 del 2015, art. 95, comma 3, su cui si fonda la censura della ricorrente Quando il giudice lo ritiene necessario per tutelare gli interessi dei terzi in buona fede che hanno acquistato azioni, altre partecipazioni, diritti, attività o passività di un ente sottoposto a risoluzione a seguito del ricorso agli strumenti di risoluzione o dell'esercizio dei poteri di risoluzione, l'annullamento del provvedimento lascia impregiudicati. Resta fermo il diritto al risarcimento del danno subito e provato, nei limiti stabiliti dalle norme vigenti . Tale disposizione, com'e' è fatto palese dal suo tenore letterale, attribuisce al giudice amministrativo il potere, di tipo costitutivo, di lasciare impregiudicati, a tutela dei terzi di buona fede, gli atti amministrativi adottati o i negozi posti in essere dalla Banca d'Italia o dai commissari speciali sulla base di un provvedimento che abbia avviato a risoluzione un ente creditizio e che sia stato annullato. 19. Va sottolineato che gli atti, amministrativi e negoziali, che possono essere lasciati impregiudicati ai sensi del D.Lgs. n. 180 del 2015, art. 95, comma 3, sono quelli posti in essere sulla base del provvedimento annullato la salvezza di detti atti consequenziali al provvedimento di risoluzione annullato, va evidenziato, non è automatica, ma viene disposta dal giudice sulla base di apprezzamenti di fatto al medesimo demandati quando il giudice lo ritiene necessario . Il presupposto di operatività del D.Lgs. n. 180 del 2015, art. 95, comma 3, e', dunque, l'intervenuto annullamento del provvedimento che abbia disposto la risoluzione dell'ente creditizio. 20. Nella specie, per contro, il provvedimento di avvio della C. alla risoluzione non è stato annullato, perché, come già riferito nel p. 7 che precede, il Consiglio di Stato ha giudicato improcedibile, ai sensi dell' art. 34 c.p.a ., la domanda di annullamento dell'odierna ricorrente più precisamente, come già evidenziato nel precedente p. 14, l'appello dell'odierna ricorrente avverso la statuizione del TAR Lazio di rigetto della sua domanda di annullamento . 21. Al riguardo il Collegio rileva che il disposto del D.Lgs. n. 180 del 2015, art. 95, opera su un piano diverso, per così dire a valle , rispetto all' art. 34 c.p.a Ai sensi del comma 3 di quest'ultimo articolo Quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori quando l'annullamento risulti non più utile per il ricorrente l'azione di annullamento diventa improcedibile in quanto tale e si converte ex lege in azione di accertamento della illegittimità degli atti impugnati cfr. Cons. Stato n. 5324/2017 . La disposizione di cui al D.Lgs. n. 180 del 2015, art. 95, comma 3, postula, invece, che il giudice abbia annullato l'atto impugnato evidentemente ritenendo l'annullamento potenzialmente produttivo di qualche utilità, almeno morale, per il ricorrente cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 376/19 Allegato il fatto sopravvenuto in giudizio, la verifica della permanenza dell'interesse a ricorrere spetta al giudice che dovrà effettuarla in maniera rigorosa, concludendo per l'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse solamente ove giunga a definire nessuna utilità, neanche morale, ritraibile dal ricorrente dall'accoglimento del ricorso - e conferisce al giudice stesso il potere di salvare gli atti consequenziali a quello impugnato, ove tale salvezza risulti necessaria per tutelare i terzi di buona fede. Non sussiste quindi sovrapposizione tra il D.Lgs. n. 180 del 2015, art. 95, comma 3, e l' art. 34, comma 3, c.p.a ., né specialità del primo rispetto al secondo, in quanto il D.Lgs. n. 180 del 2015, art. 95, comma 3, disciplina una situazione - quella conseguente all'annullamento dell'atto impugnato - che presuppone che il giudice amministrativo non abbia fatto applicazione del disposto dell' art. 34, comma 3, c.p.a 22. Sulla scorta di tali premesse, la prima doglianza sviluppata dalla ricorrente va giudicate inammissibile perché il richiamo ivi svolto al disposto del D.Lgs. n. 180 del 2015, art. 95, comma 3, è fuori fuoco la sentenza impugnata, infatti, ha fatto applicazione, pur senza citarlo espressamente, dell' art. 34, comma 3, c.p.a . ed ha ritenuto operando una valutazione di fatto che certamente rientra nei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo - che l'ormai avvenuto assoggettamento a liquidazione coatta amministrativa della banca in crisi svuotata e la già compiuta incorporazione dell' Ente-ponte nell'U. p. 5.1. della sentenza impugnata avessero sottratto agli azionisti della C. qualunque possibilità di ambire alla ricostituzione della banca da loro partecipata e, quindi, qualunque possibilità di ricavare alcuna utilità dall'annullamento degli atti impugnati. La declaratoria di improcedibilità della domanda demolitoria ha dunque escluso lo stesso presupposto - l'annullamento del provvedimento di risoluzione dell'ente creditizio - della operatività della disposizione di cui la ricorrente denuncia la pretesa violazione, ossia del D.Lgs. n. 180 del 2015, art. 95, comma 3. 22.1. Ne' sussiste la contraddittorietà che la ricorrente pretende di ravvisare nella sentenza impugnata. Il Consiglio di Stato, infatti, accertata l'improcedibilità della domanda demolitoria, si è pronunciato sulla domanda risarcitoria in puntuale attuazione del principio, richiamato nel precedente p. 21, che, quando l'annullamento risulti non più utile per il ricorrente, l'azione di annullamento, divenuta improcedibile in quanto tale, si converte ex lege in azione di accertamento della illegittimità degli atti impugnati. 23. La seconda doglianza è pur essa inammissibile. Essa, infatti, censura la seconda delle tre affermazioni sulla cui base il Consiglio di Stato ha rigettato la domanda risarcitoria dell'odierna ricorrente, ossia la ratio, sopra riportata nel paragrafo 8.2., fondata sulla ritenuta illegittimità Eurounitaria dell'intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. 24. Con l'impugnata argomentazione, infatti, il giudice amministrativo avrebbe violato i limiti esterni della propria giurisdizione in quanto, stravolgendo radicalmente le norme Europee di riferimento, come interpretate dal Tribunale dell'Unione Europea e dalla Corte di giustizia, avrebbe determinato un vuoto di tutela giurisdizionale pag. 52 del ricorso, p. II.3, cfr. p. 16 che precede . 27. La decisione del Consiglio di Stato di rigetto della domanda risarcitoria, tuttavia, non si fonda soltanto sull'assunto della impossibilità giuridica di ricorrere all'intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, vale a dire, in ultima analisi, sulla ritenuta sussistenza del presupposto di legittimità della procedura risolutoria adottata dalle Autorità di vigilanza rappresentato dal non potersi ragionevolmente prospettare misure alternative per superare in tempi adeguati la situazione di dissesto o di rischio di dissesto cfr. D.Lgs. n. 180 del 2015, art. 17 . Detta decisione risulta altresì ancorata, nella sentenza impugnata, per un verso, al rilievo che l'immediata cessione dell'intera azienda bancaria ad altro istituto di credito era stata tentata senza successo v. p. 8.1 che precede e, per altro verso, al rilievo che l'odierna ricorrente non aveva offerto alcuna prova del pregiudizio patrimoniale asseritamente sofferto v. p. 8.3 che precede . 28. Ciò posto, il Collegio osserva che l'argomento di cui al paragrafo 8.1 che precede non può considerarsi alla stregua di una autonoma ratio decidendi, in quanto l'inutile tentativo di cessione dell'azienda della C. ad altro istituto di credito viene menzionato nella sentenza impugnata senza alcun riferimento al ruolo eventualmente rivestito dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi in detta operazione di cessione. Tale argomento risulta quindi del tutto scollegato dalla prospettazione delle odierne ricorrenti secondo cui l'illegittimità della procedura risolutoria deriverebbe dal mancato coinvolgimento di detto Fondo esso, pertanto, si risolve in un'affermazione priva di effettiva portata decisoria e destinata esclusivamente ad offrire una più completa ricostruzione delle vicende di causa. 29. Per contro, l'argomento di cui al paragrafo 8.3 che precede esprime una ratio decidendi che è autonomamente idonea a sorreggere la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria, perché l'affermazione della mancata prova del c.d. danno conseguenza impedisce l'accoglimento della pretesa risarcitoria a prescindere dall'accertamento - positivo o negativo - della causa dedotta a fondamento di tale domanda, ossia l'illegittimità della procedura amministrativa di risoluzione della C 30. Deve quindi concludersi che, quand'anche l'argomentazione del Consiglio di Stato in ordine alla illegittimità euorunitaria dell'intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi integrasse una ipotesi di stravolgimento radicale delle norme Europee di riferimento, ciò non potrebbe comunque portare alla cassazione della sentenza gravata, il cui decisum risulta sorretto da una seconda, autonoma, ratio decidendi - la mancata prova del c.d. danno conseguenza di cui si chiede il risarcimento - non specificamente censurata dalle ricorrenti. 31. Va qui ricordato il principio, assolutamente fermo nella giurisprudenza di legittimità, della inammissibilità del ricorso per cassazione che non attinga tutte le rationes decidendi autonomamente idonee a sorreggere la decisione, giacché l'eventuale accoglimento del ricorso non potrebbe mai estendersi alle ragioni non impugnate ex multis Cass. 14740/2005 , Cass. 22753/2011 , Cass. n. 4293/2016 , Cass. 18641/2017 , Cass. 13880/20 . 32. La doglianza in esame è dunque inammissibile in ragione della sua inidoneità, già in astratto, a condurre alla cassazione della sentenza impugnata donde l'irrilevanza, ai fini del decidere, della questione della riconducibilità di tale doglianza al paradigma normativo dei motivi di giurisdizione . 33. Il ricorso è dunque inammissibile per l'inammissibilità di entrambe le censure in cui si articola il motivo che lo sostiene. 34. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. 35. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, se dovuto. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti Banca d'Italia, U. Banca, s.p.a., Presidenza del Consiglio dei ministri e Ministero dell'Economia e delle Finanze le spese del giudizio di cassazione, che, per le prime tre parti, liquida, per ciascuna, in Euro 8.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge e per la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'Economia e delle Finanze liquida, cumulativamente per entrambi, in Euro 8.000, oltre spese prenotate a debito e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.