A rompere gli equilibri della coppia e a rendere intollerabile la convivenza sotto lo stesso tetto è la scoperta del tradimento perpetrato dalla donna, che deve anche dire addio all’ipotesi di ottenere il mantenimento dal marito.
Passano in secondo piano i forti litigi tra moglie e marito, connessi alla scelta lavorativa compiuta dalla donna, a fronte della relazione adulterina intrattenuta dalla donna con un altro uomo. Quest'ultimo fatto è da valutare come fondamentale, secondo i Giudici, per l'origine della crisi coniugale sfociata infine nella separazione. Ufficializzata la rottura tra moglie e marito – Paola ed Ennio, nomi di fantasia –, i giudici di merito addebitano la separazione alla donna, rea di avere rovinato il rapporto coniugale attraverso il tradimento perpetrato ai danni del consorte. A margine, poi, viene stabilito «l'affidamento del figlio minore ad entrambi i genitori, con collocamento presso la madre e diritto di visita del padre», viene decisa «l'assegnazione della casa coniugale alla donna», viene sancito l'obbligo dell'uomo di versare 400 euro mensili come «contributo al mantenimento del figlio» a cui aggiungere poi «il 50 per cento delle spese straordinarie». Infine, viene respinta «la domanda di mantenimento» avanzata da Paola. Nel contesto della Cassazione, però, il legale che rappresenta la donna sostiene si debba rinvenire «la causa della separazione» nei «continui litigi tra i coniugi», litigi verificatosi diverso tempo prima del tradimento compiuto dalla donna e originati dai «dissidi insorti» a seguito della scelta della donna di «iniziare a lavorare come agente di commercio» e ciò «contro la volontà del marito». Per i Giudici di terzo grado, però, correttamente sono state ridimensionate le frizioni sorte tra i coniugi prima della relazione adulterina della donna. Vero che Ennio ha riconosciuto «i litigi ed dissapori» verificatisi in epoca anteriore alla relazione extraconiugale intrapresa dalla moglie e originati dalla scelta lavorativa della donna, ma essi non possono essere catalogati, spiegano i Giudici, come «la causa della intollerabilità della convivenza» tra moglie e marito, causa che invece va individuata nel tradimento subito dall'uomo. In sostanza, a originare la frattura del rapporto coniugale è stata «l'incontestata violazione del dovere di fedeltà » compiuta da Paola. E non a caso «il giudizio di separazione è stato promosso a distanza di alcuni mesi dall'inizio della relazione extraconiugale della donna», concludono i Giudici.
Presidente Ferro – Relatore Caiazzo Rilevato che il Tribunale di Ragusa ha pronunciato la separazione personale dei coniugi P.M. e P.G.R. , con addebito a quest'ultima, con le seguenti statuizioni affidamento ad entrambi i genitori del figlio minore con collocamento presso la madre e diritto di visita del padre assegnazione della casa coniugale alla G. rigetto della domanda di mantenimento di quest'ultima versamento a carico del P. della somma di Euro 400,00 mensili a titolo di contributo al mantenimento del figlio, oltre al 50% delle spese straordinarie. La G. ha proposto appello, con due motivi concernenti l'addebito, il suo negato mantenimento e l'aumento della somma a titolo di contributo per il mantenimento del figlio minore. Si è costituito il P Con sentenza del 13.9.19, la Corte d'appello di Catania ha rigettato l'appello, osservando che il Tribunale aveva correttamente addebitato la separazione all'appellante per aver quest'ultima, come da lei ammesso, intrapreso una relazione extraconiugale sin da maggio 2015, fatto che era stato considerato la causa della crisi coniugale, non avendo trovato alcun riscontro la difesa dell'appellante per cui il rapporto coniugale si era incrinato già 3.4 anni prima, per aver lei iniziato a lavorare come agente di commercio contro la volontà del marito infatti, i dissidi insorti tra le parti non erano stati rilevanti o decisivi ai fini dell'intollerabilità della convivenza in conseguenza dell'addebito non sussistevano i presupposti del mantenimento della G. , ex articolo 156 c.c. l'istanza di aumento dell'assegno per il figlio era infondata, essendo la somma stabilita proporzionata al reddito dell'obbligato e congrua in relazione al tenore di vita di cui il minore godeva in costanza di matrimonio. G.R. ricorre in cassazione con due motivi. Resiste P.M. con controricorso entrambe le parti hanno depositato memorie. Ritenuto che Il primo motivo deduce la violazione dell' articolo 132 c.p.c. , comma 2, numero 4, per omesso esame di fatto decisivo costituito dalle dichiarazioni rese dal P. dalle quali si desumeva che la causa della separazione era ravvisabile nei continui litigi tra coniugi, anteriori alla relazione extraconiugale della ricorrente. Il secondo motivo denunzia violazione dell' articolo 115 c.p.c. , ex articolo 360 c.p.c. , numero 5, per non aver la Corte d'appello ammesso le prove testimoniali dedotte che avrebbero invece dimostrato quanto sostenuto dal ricorrente circa la causa della separazione. Il primo motivo è inammissibile poiché non emerge alcun omesso esame di fatto decisivo, avendo la Corte territoriale, pur considerando le dichiarazioni del P. rese innanzi al Presidente del Tribunale in sede di comparizione personale, espressamente escluso che i litigi ed i dissidi anteriori alla relazione extraconiugale ascritta alla ricorrente avessero causato l'intollerabilità della convivenza coniugale. Invero, la Corte territoriale, con motivazione chiara ed esaustiva, ha escluso che il controricorrente avrebbe riconosciuto, con le suddette dichiarazioni, che i pregressi rapporti litigiosi con la ricorrente insorti tre, quattro anni prima quando la ricorrente iniziò a lavorare presso la F. s.r.l. avessero causato l'intollerabilità della convivenza, affermando che, con valutazione incensurabile in questa sede, l'unica causa della frattura del rapporto coniugale era stata l'incontestata violazione del dovere di fedeltà da parte della ricorrente, come desumibile anche dalla circostanza che il giudizio di separazione era stato promosso nell'ottobre del 2015, dopo alcuni mesi dall'inizio della suddetta relazione extraconiugale. Il secondo motivo è parimenti inammissibile. La ricorrente si duole che la Corte d'appello come anche il Tribunale non abbia ammesso le prove testimoniali formulate, finalizzate a dimostrare che la crisi coniugale ebbe inizio nel 2011, lamentando così la violazione dell' articolo 115 c.p.c. . Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento Cass., numero 16214/19 numero 27415/18 numero 23194/17 . Ora, nel caso concreto, la doglianza in esame ha declinato il vizio relativo all'omessa ammissione delle prove testimoniali attraverso l'erroneo riferimento alla violazione dell'articolo 115 c,p.c. che, invece, afferisce all'errore di percezione che cade sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, non ravvisabile laddove la statuizione di esistenza o meno della circostanza controversa presupponga un giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze Cass., numero 25166/19 . È dunque evidente l'inammissibilità del motivo in questione in quanto inerente ad un vizio che, diverso dalla prospettata violazione dell' articolo 115 c.p.c. , è formulato genericamente, senza l'esplicitazione delle ragioni per le quali la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 5100,00 di cui 100,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi, a norma del D.Lgs. numero 30 giugno 2003, numero 196, articolo 5 2.