Confermato in Cassazione il provvedimento con cui si è imposto all’insegnante uno stop di dieci mesi. Evidente la gravità dei comportamenti da lei tenuti in classe e registrati con telecamere nascoste.
Legittima la sospensione della maestra finita sotto processo per i comportamenti aggressivi – certificati da videoriprese effettuate di nascosto – da lei tenuti in aula nei confronti degli alunni. Logico parlare, secondo i Giudici, di violenze fisiche e psichiche, poiché si è appurato che la donna era solita strattonare i ragazzini , tirare loro le orecchie e apostrofarli in malo modo, definendoli “stupidini”, “imbranati” e “scimuniti”. Riflettori puntati in Cassazione sulla misura interdittiva decisa dal Tribunale del riesame, ossia dieci mesi di sospensione per la maestra accusata di «maltrattamenti in famiglia commessi ponendo in essere reiterate condotte integranti violenze fisiche e psichiche ai danni degli alunni frequentanti la sua classe». Il legale che rappresenta l'insegnante prova a fornire una versione alternativa, sostenendo che le condotte attribuite alla sua cliente «non sono affatto evincibili dalle riprese video eseguite all'interno della classe» e aggiungendo che «i contatti fisici tra la maestra e gli alunni non erano certamente dovuti all'intenzione di percuoterli, bensì si trattava di comportamenti», ossia «afferrarli per gli indumenti o per le braccia» e «tirargli le orecchie», «finalizzati a gestire la vivace condotta dei bambini». Inoltre, il legale ritiene che non vi sia mai stata «la finalità di mortificare i piccoli allievi», poiché «anche il ricorso ad epiteti quali “stupidino”, “imbranato” e “scimunito” va considerato non già nell'astratto significato delle parole, bensì va calato nel contesto confidenziale esistente tra l'insegnante e gli alunni». Per i Giudici della Cassazione, però, le obiezioni difensive sono assai fragili, poiché, come già evidenziato dal Tribunale del riesame, le video-riprese hanno consentito di «cogliere le condotte poste in essere dalla maestra, nonché il contenuto delle frasi che rivolgeva agli alunni». In questa ottica, poi, viene respinta anche la tesi secondo cui gli epiteti utilizzati dall'insegnante all'indirizzo degli allievi sarebbero «privi di effettiva capacità offensiva » poiché «collocati nel contesto del rapporto confidenziale tra docente ed alunni». Su questo punto, in particolare, i Giudici riconoscono che il linguaggio attribuito alla maestra «può assumere o meno il connotato della violenza verbale a seconda del contesto, del tono e delle complessive modalità della condotta», ma in questa vicenda gli epiteti utilizzati dalla donna e i comportamenti aggressivi da lei tenuti in classe vanno ritenuti idonei a «cagionare sofferenze psichiche ai minori ».
Presidente Petruzzellis – Relatore Di Geronimo Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale del riesame di Catania confermava l'ordinanza con la quale C.E. era stata sottoposta alla misura interdittiva di cui all' articolo 289 c.p.p. , per la durata di mesi dieci, in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia commesso ponendo in essere, quale insegnante, reiterate condotte integranti violenze fisiche e psichiche ai danni degli alunni frequentanti la sua classe. 2. Avverso la suddetta ordinanza, la ricorrente ha formulato due motivi di ricorso. Con il primo, deduce il vizio di motivazione, evidenziando come il Tribunale, recependo in maniera acritica le considerazioni poste a base dell'ordinanza cautelare, aveva ritenuto sussistente la commissione di condotte gratuitamente aggressive, realizzate sia offendendo gli alunni con epiteti di vario genere, sia ponendo in essere atti violenti ai danni di alcuni di essi afferrandoli per gli indumenti o per le braccia e tirandogli le orecchie . Sostiene la ricorrente che le predette condotte non erano affatto evincibili dalle video-riprese eseguite all'interno della classe, sottolineando come i contatti fisici tra l'insegnante e gli alunni non erano certamente dovuti all'intenzione di percuoterli, bensì si trattava di comportamenti finalizzati a gestire la vivace condotta dei bambini. 2.1. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge in relazione all'applicazione dell' articolo 572 c.p. , posto che le condotte risultanti dalle video-riprese non erano connotate dalla finalità di mortificare i piccoli alunni. Anche il ricorso ad epiteti quali stupidino , imbranato , scimunito andavano considerati non già nel loro astratto significato, bensì calati nel contesto confidenziale esistente tra l'insegnante e gli alunni. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il Tribunale del riesame, sia pur con motivazione sintetica, ha dato atto che le video-riprese consentivano di cogliere le condotte poste in essere dall'indagata, nonché il contenuto delle frasi che rivolgeva agli alunni. Si tratta di una valutazione di merito rispetto alla quale la ricorrente si limita a dedure, in maniera generica, che la collocazione della video-camera non consentiva di apprezzare oggettivamente l'intensità dei gesti. A fronte delle diverse conclusioni cui sono giunti i giudici della cautela, non sono stati forniti elementi, valutabili in questa sede, dai quali desumere che l'affermazione dell'idoneità delle riprese a valutare la portata delle condotte sia immotivata. Ne consegue che tale questione non potrà che essere demandata al merito del giudizio. 2. Parimenti infondato è il secondo motivo, con il quale la ricorrente si limita a sostenere che gli epiteti utilizzati sarebbero privi di effettiva capacità offensiva ed andrebbero collocati nel contesto del rapporto confidenziale tra docente ed alunni. Anche in tal caso, il motivo pone una questione di mero fatto. È pur vero che il linguaggio attribuito all'indagata può assumere o meno il connotato della violenza verbale a seconda del contesto, del tono e delle complessive modalità della condotta, ma si tratta di elementi che non possono essere dedotti in sede di legittimità, attenendo alla valutazione di merito. Allo stato, non può che rilevarsi come il Tribunale del riesame abbia valutato le suddette condotte come idonee a cagionare sofferenze psichiche ai minori, con una motivazione immune da censure. Il ricorrente ha anche contestato la sussistenza dell'abitualità delle condotte, formulando censure che, tuttavia, attengono al merito, non sussistendo elementi di contraddittorietà ed illogicità della motivazione rilevabili in sede di legittimità. Analoghe considerazioni valgono per i messaggi ricevuti dalla ricorrente da alcuni dei genitori degli alunni e contenenti attestati di stima, posto che si tratta di elementi indiziario-, la cui rilevanza ed idoneità a superare il quadro accusatorio non potrà che essere valutata nel merito. 3. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.