Restituiti al venditore i prodotti a base di CBD definiti "terapeutici"

La Corte di Cassazione, con sentenza numero 10645/2022, ha disposto il dissequestro e la restituzione di alcuni prodotti contenenti cannabidiolo, commercializzati online senza le specifiche autorizzazioni per i prodotti medicinali.   

Il Tribunale di Trieste annullava con ordinanza il decreto di perquisizione locale e sequestro del PM e disponeva la restituzione all'avente diritto dell'oggetto del sequestro, cioè di alcuni prodotti a base di cannabidiolo. Secondo il giudice, infatti, il PM aveva emesso un decreto non motivato con il quale si era limitato a condividere le conclusioni della polizia giudiziaria nel procedimento penale a carico di B. in relazione a condotte collegate all'attività di commercializzazione, attraverso un sito web, di prodotti contenenti derivati della canapa indiana, CBD, e qualificabili come “specialità medicinali”, in quanto dichiaratamente idonei a curare l'ansia, la depressione o la crescita di tumori. Il PM ricorre in Cassazione, denunciando errori di diritto ed errori di ragionamento dell'ordinanza, poiché inficiata da motivazione carente dal momento che l'indagato offriva in vendita i prodotti dei quali vantava proprietà curative/terapeutiche, il che ne faceva dei farmaci. La doglianza è inammissibile. Secondo la Suprema Corte, infatti, premesso che grava sull'organo dell'accusa dimostrare che le sostanze oggetto del sequestro siano costituite da farmaci o medicinali, era onere del PM «dimostrare la ricorrenza del fumus delicti e quello di motivare il provvedimento di sequestro sulla base di precisi elementi di fatto che non possono essere integrati, «dal rilievo che i prodotti stessi venivano pubblicizzati sul sito web dell'indagato come idonei a curare l'ansia, la depressione […]» Sulla base di tali premesse, il motivo di ricorso è infatti da ritenersi inammissibile nella parte in cui deduce il vizio di motivazione contestando l'iter logico seguito dall'ordinanza impugnata che, «dopo il diffuso inquadramento dei poteri del Tribunale del riesame, adito dall'indagato che censurava la carenza di motivazione del decreto di sequestro del Pubblico Ministero, ne ha disposto l'annullamento perché privo del requisito strutturale minimo di motivazione». Tale, a detta della Cassazione, non può infatti considerarsi la descrizione contenuta nel capo di provvisoria imputazione e il mero riferimento all'esito delle indagini condotte dal NAS, tenuto conto che oggetto del sequestro «sono prodotti che costituiscono oggetto di un'attività commerciale, la cui filiera è documentalmente provata» e che, infine, «la stessa pubblicizzazione delle proprietà curative non è attestata dalle schede illustrative del prodotto nella schermata di vendita ma unicamente da blog e screenshots che a tali prodotti rinviano». Il tema, quindi, verte sull'individuazione della res illecita oggetto dei reati contestati, cioè il CBD, sostanza che il Pubblico ministero aveva ricondotto «non alla detenzione di sostanze stupefacenti ma a quella di prodotti medicinali o medicinale e sostanze attive , utilizzate nella produzione di medicinali, suppostamente erogati in assenza dell'autorizzazione dell'AIC e, quindi, oggetto dell'esercizio abusivo della professione di farmacista ascritta al B.»   L'esemplificazione contenuta nel provvedimento di sequestro e ribadita anche nel ricorso soffre, secondo la Cassazione, del limite di evocare le proprietà curative descritte nel sito web in corrispondenza dei prodotti, ma non nelle schede illustrative degli stessi, oltre che della erronea classificazione del CBD come medicinale o sostanza attiva, nozioni, queste ultime, «oggetto di precisa definizione nel d.l.vo numero 219/2006 e ss. mod. e che il Tribunale, nel disporre la restituzione dei prodotti, ha accuratamente ricostruito, richiamando l'iter normativo che ha condotto, con il d.m. 1 ottobre 2020, all'inserimento del cannabidiolo […] nella sezione B della Tabella dei medicinali allegata al d.P.R. numero 309/1990, inserimento sospeso con successivo d.m. 28 ottobre 2020». Il CBD, infatti, è un componente chimico della cannabis che non ha effetti stupefacenti, a differenza del THC Cass. numero 10012/2021 . Per tutti questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, confermando il dissequestro e la restituzione all'imputato dei prodotti sequestrati.

Presidente Di Stefano – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Trieste, adito da B.M. , ha annullato il decreto di perquisizione locale e sequestro del 20 luglio 2021 del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Trieste e, per l'effetto, ha disposto la restituzione all'avente diritto di tutto quanto sequestrato o, comunque, appreso per effetto del citato provvedimento. Nell'ordinanza si dà atto che il Pubblico Ministero aveva emesso un decreto non motivato nel quale si limitava a condividere le conclusioni alle quali era pervenuta la polizia giudiziaria nel procedimento penale a carico del B. , iscritto per i reati di cui all'articolo 348 c.p. articolo 147, commi 2 e 4-ter articolo 147, comma 1-bis, in relazione al D.Lgs. numero 219 del 2006, articolo 52-bis, condotte collegate alle attività di commercializzazione, attraverso il sito web omissis , di prodotti ad uso umano e animale contenenti, in vari dosaggi, olio o altri derivati della canapa indiana, denominati cannabinoidi CBD e qualificabili come specialità medicinali in quanto dichiaratamente atti a curare l'ansia, la depressione, mitigare il dolore, ostacolare la crescita di tumori o, comunque, sostanze farmacologicamente attive . 2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il Pubblico ministero denuncia errori di diritto, errori di ragionamento id est illogicità estrinseca e manifesta dell'ordinanza perché inficiata da carente motivazione dal momento che l'indagato offriva in vendita i prodotti dei quali vantava proprietà curative/terapeutiche il che ne fa dei farmaci. La motivazione del Tribunale è gravemente carente e illogica poiché trascura le evidenze delle risultanze investigative, precisamente illustrate nella contestazione provvisoria, in cui a parte l'errore della sigla erano indicate le condotte illecite e il loro oggetto, costituito appunto dai farmaci, obiettivo del sequestro, definite sostanze farmacologicamente attive e che, ragionevolmente, l'indagato possedeva nei luoghi fisici ove era stato eseguito il provvedimento, dopo averne illustrato, nello spazio virtuale di internet, le proprietà medicinali. 3. Il difensore dell'indagato, avvocato omissis , ha depositato, in vista della trattazione, con rito scritto, dell'odierna udienzauna memoria difensiva con la quale ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso richiamando il contenuto dell'ordinanza impugnata e la legittimità delle statuizioni del Tribunale di Trieste. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi generici e manifestamente infondati. Va premesso che, a norma dell'articolo 325 c.p.p., il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse ai sensi dell'articolo 324 c.p.p., richiamato per il sequestro probatorio dall'articolo 257 c.p.p., può essere proposto soltanto per violazione di legge, vizio nel quale può comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlata all'inosservanza di precise norme processuali, quali, ad esempio, l'articolo 125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze Sez. U, numero 5876 del 28/01/2004, Ferazzi, Rv. 226710 . Esula, invece, dalla nozione di vizio di violazione di legge quello di illogicità della motivazione che è prevista come autonomo mezzo di annullamento dall'articolo 606 c.p.p., lett. e . Nè può costituire motivo di ricorso il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento. Ridonda, dunque, nel vizio di violazione di legge, la motivazione cd. apparente che si risolve nell'omessa valutazione di un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio. Nel caso in esame, premesso che grava necessariamente sull'organo dell'accusa la dimostrazione che le sostanze oggetto del sequestro erano costituite da farmaci o medicinali , era preciso onere del pubblico ministero quello di dimostrare la ricorrenza del fumus delicti e quello di motivare adeguatamente il provvedimento di sequestro sulla base di precisi elementi di fatto che non possono essere integrati, secondo la ricostruzione oggi ribadita con il ricorso, dal rilievo che i prodotti stessi venivano pubblicizzati sul sito web dell'indagato come idonei a curare l'ansia, la depressione mitigare il dolore, ostacolare la crescita di cellule tumorali o il generico riferimento che si trattasse di sostanze farmacologicamente attive. Sulla base di tali premesse, il motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità nella parte in cui deduce, richiamando il vizio di manifesta illogicità e apparenza della motivazione, un inammissibile vizio di motivazione contestando l'iter logico-argomentativo seguito dall'ordinanza impugnata che, dopo il diffuso inquadramento dei poteri del Tribunale del riesame, adito dall'indagato che censurava la carenza di motivazione del decreto di sequestro del Pubblico Ministero, ne ha disposto l'annullamento perché privo del requisito strutturale minimo di motivazione. Tale, infatti, non può considerarsi la descrizione contenuta nel capo di provvisoria imputazione e il mero riferimento all'esito delle indagini condotte dal NAS che, a loro volta, rinviano a meri pareri o circolari, tenuto conto che oggetto del sequestro sono prodotti che costituiscono oggetto di un'attività commerciale, la cui filiera è documentalmente provata, ivi compresa le fatture di acquisto e la loro provenienza da altri Paesi Europei e, infine, che la stessa pubblicizzazione delle proprietà curative non è attestata dalle schede illustrative del prodotto nella schermata di vendita ma unicamente da blog e screenshots che a tali prodotti rinviano. Correttamente il Tribunale del riesame ha evidenziato che la esposizione del fumus delicti strutturalmente diverso dai gravi indizi e che deve essere illustrato con adeguata motivazione svolta nel provvedimento di sequestro - deve, comunque, dare atto della compatibilità e congruità degli elementi addotti dal Pubblico Ministero rispetto alla fattispecie penale oggetto di contestazione un compito che non può risolversi, a meno di sostanze stupefacenti cd. tabellate, nella loro indicazione nominale e che, in ogni caso, deve essere stata verificata in concreto con riguardo alle res oggetto del provvedimento ablativo. 2. Come ben rilevato nell'ordinanza impugnata, il tema controverso del disposto sequestro - e del seguito cautelare - verteva nella precisa individuazione della res illecita oggetto dei reati contestati, cioè il cannabidiolo, sostanza che il Pubblico ministero aveva ricondotto non alla detenzione di sostanze stupefacenti ma a quella di prodotti medicinali o medicinale e sostanze attive , utilizzate nella produzione di medicinali, suppostamente erogati in assenza dell'autorizzazione dell'AIC e, quindi, oggetto dell'esercizio abusivo della professione di farmacista ascritta al B. . La esemplificazione contenuta nel provvedimento di sequestro ribadita con il ricorso soffre, oltre che del descritto limite di evocare le proprietà curative descritte nel sito web in corrispondenza dei prodotti, ma non nelle schede illustrative degli stessi, della erronea classificazione del cannabidiolo come medicinale o sostanza attiva, nozioni - queste - oggetto di precisa definizione contenuta nel D.Lgs. 24 aprile 2006, numero 219 e ss. mod. e che il Tribunale, nel disporre la restituzione dei prodotti caduti in sequestro, ha accuratamente ricostruito richiamando altresì il tortuoso iter normativo che ha condotto, con D.M. 1 ottobre 2020, all'inserimento del cannabidiolo rectius delle composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo nella Sezione B della Tabella dei medicinali allegata al D.P.R. numero 309 del 1990, inserimento sospeso con successivo D.M. 28 ottobre 2020. Correttamente, secondo la previsione dell'articolo 324 c.p.p., comma 7, che consente che il divieto di restituzione ivi previsto sia esteso al più alle ipotesi di confisca previste da norme speciali, ma comunque riconducibili, nella sostanza, alla categoria dell'articolo 240 c.p., comma 2 il Tribunale del riesame ha proceduto all'accertamento che i prodotti in sequestro costituissero cose intrinsecamente pericolose, in quanto la detenzione o l'uso di esse assume di per sé carattere criminoso e per le quali la restituzione è comunque esclusa Sez. U, numero 40847 del 30/05/2019, Bellucci, in motivazione , escludendo siffatta evenienza. Va, infatti, rilevato che il cannabidiolo CBD è un componente chimico della cannabis che pacificamente non ha effetti stupefacenti a differenza del THC cfr. Sez.4, numero 10012 del 25/02/2021, Diaz, in motivazione e che la sua distribuzione è stata oggetto di una sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea numero 141/2020 secondo la quale Gli articolo 34 e 36 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che vieta la commercializzazione del Cannabidiolo CBD legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi, a meno che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo della tutela della salute pubblica e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento , con un principio che fa salva la persistenza di divieti finalizzati alla tutela della salute pubblica cfr. sul tema del bene della salute individuale o collettiva protetto dalla normativa in materia di stupefacenti, l'innovativa pronuncia Sez. U, numero 12348 del 19/12/2019, dep.2020, Caruso, in motivazione . La sospensione del D.M. 1 ottobre 2020 - con la quale era stato disposto l'inserimento delle composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di canapa nella tabella dei medicinali soggetti a prescrizione medica da rinnovarsi volta per volta, preclude, in nome del principio di tassatività delle norme incriminatrici e della nozione legale e tabellata di stupefacente di ricondurre la sostanza in esame a quella stupefacente o ai medicinali , rectius composizioni, che ne contengano il principio attivo. Come noto, la scelta di definizione del trattamento punitivo in materia viene demandata al Ministero della Salute che la esercita, in conformità ai criteri di cui al D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 14 e in base a quanto previsto dalle convenzioni e dagli accordi internazionali ovvero a nuove acquisizioni scientifiche, individuando - proprio sulla base di evidenze di carattere scientifico gli elementi di fatto che riempiono di contenuto gli elementi normativi della fattispecie penale il cui contenuto illecito è definito dalla fonte primaria e correlato alla natura stupefacente o psicotropa della sostanza. L'ultima tabella del D.P.R. numero 309 del 1990 è per l'appunto dedicata ai medicinali ed è divisa in cinque sezioni e, sulla base dei criteri illustrati nell'articolo 14, indica i medicinali a base di sostanze attive che, per quanto concerne la cannabis, rinviano a i prodotti da essa ottenuti e alle preparazioni contenenti le sostanze di cui all'articolo 14, lett. b , in conformità alle modalità indicate nella tabella dei medicinali di cui alla lett. e . Questa, a sua volta, rimanda ai medicinali a base di sostanze attive stupefacenti o psicotrope, ivi incluse le sostanze attive ad uso farmaceutico di corrente impiego terapeutico ad uso umano o veterinario e, nella Sezione B , indica 1 i medicinali che contengono sostanze di corrente impiego terapeutico per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica di intensità e gravità minori di quelli prodotti dai medicinali elencati nella sezione A 2 i medicinali contenenti barbiturici ad azione antiepilettica e quelli contenenti barbiturici con breve durata d'azione 3 i medicinali contenenti le benzodiazepine, i derivati pirazolopirimidinici ed i loro analoghi ad azione ansiolitica o psicostimolante che possono dar luogo al pericolo di abuso e generare farmacodipendenza . A prescindere dalla valenza che debba ascriversi alle nozioni controverse di preparazioni e di medicinali e se debba rientrare nella definizione inclusa nella Tabella - qualora dovesse riprendere efficacia il D.M. 1 ottobre 2020 - ogni prodotto per uso orale che sia composto anche solo in parte da cannabidiolo oppure se vi rientrino solo prodotti composti unicamente da cannabidiolo come sostanza isolata ed inoltre cosa si intende per uso orale se si intenda qualsiasi composizione in forma farmaceutica orale, soluzioni, emulsioni, sospensioni, polveri, granulati, capsule, compresse, a prescindere dal grado e/o dallo scopo per cui viene prodotta e/o venduta, oppure solo composizioni per somministrazione ad uso orale , allo stato il contenuto delle preparazioni e medicinali è oggetto della disciplina penale in quanto contengano sostanze e principi riportati nelle indicate quattro tabelle e che, allo stato, non prevedono la tabellazione del cannabidiolo. Ne consegue la correttezza e legittimità dell'ordinanza impugnata anche nella parte in cui ha disposto il dissequestro e restituzione all'avente diritto dei prodotti appresi in forza dell'annullato decreto di sequestro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.