Coltiva tre piante di marijuana e va in giro con 60 grammi di hashish: logico escludere il consumo esclusivamente personale

Definitiva la condanna per detenzione di sostanza stupefacente destinata allo spaccio. Respinta la tesi difensiva, mirata a ridimensionare la condotta presa in esame e a presentarla come mirata a garantire solo una scorta di hashish per uso personale.

  Punibile la coltivazione di sole tre piante di canapa indiana, se accompagnata dalla disponibilità di oltre 60 grammi di marijuana. Questo dettaglio consente, difatti, di escludere l'uso esclusivamente personale. Ricostruita facilmente la vicenda, i giudici di merito condannano, sia in primo che in secondo grado, l'uomo sotto processo, ritenendo inequivocabile il fatto che egli abbia realizzato «la coltivazione di tre piante di canapa indiana» e sia stato beccato portando con sé «62 grammi di hashish». Per i giudici di primo e di secondo grado, quindi, è sacrosanto affermare l'esistenza del reato di detenzione di sostanza stupefacente destinata allo spaccio. Col ricorso in Cassazione, però, il legale dell'uomo sotto processo prova a mettere in discussione l'offensività della condotta tenuta dal suo cliente e consistita nella coltivazione di sole tre piante di canapa indiana, sostenendo sia logico escludere «il pericolo di diffusione della sostanza prodotta». I Giudici di terzo grado riconoscono che non possono essere sanzionate penalmente «le coltivazioni domestiche di minime dimensioni, intraprese con l'intento di soddisfare esigenze di consumo esclusivamente personale» poiché esse «hanno, per definizione, una produttività ridottissima e, dunque, insuscettibile di aumentare in modo significativo la provvista di stupefacenti». Subito dopo, però, i magistrati aggiungono che nella vicenda presa in esame sono emersi ulteriori elementi, sufficienti per respingere l'ipotesi difensiva mirata a vedere ridimensionata la gravità della condotta tenuta dall'uomo sotto processo. Più precisamente, viene sottolineato che «l'uomo è stato trovato in possesso di un non trascurabile quantitativo di marijuana, sostanza identica a quella coltivata» e quel quantitativo è stato giudicato «mal conciliabile con un uso personale, necessariamente prolungato, stante la deperibilità della sostanza vegetale» e, quindi, è stato considerato come «destinato «almeno in parte alla cessione a terze persone».

Presidente Piccialli – Relatore Pavich Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Q.D. ricorre avverso la sentenza con la quale la Corte d'appello di Firenze, in data 25 giugno 2019, ha confermato la condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Pistoia il 9 febbraio 2018 in relazione a reato continuato ex articolo 81 c.p., e D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 73, comma 5, a lui contestato in relazione alla detenzione di 62,0766 grammi di marijuana e alla coltivazione di tre piante di marijuana fatto accertato in omissis . Il ricorrente articola un unico motivo di doglianza, nel quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'assunto, sostenuto dalla Corte di merito, secondo il quale l'offensività della condotta di coltivazione sarebbe insita nella tipologia di piante coltivate osserva in senso contrario l'esponente che in realtà il reato di coltivazione di piante di cannabis è un reato in relazione al quale la pericolosità della condotta deve accertarsi in concreto, sì che l'offensività deve ritenersi esclusa quando, come nel caso di specie, non vi è pericolo di diffusione della sostanza prodotta. La Corte di merito si è sottratta a questa disamina, omettendo appunto di valutare l'offensività in concreto della condotta contestata, in rapporto al pericolo di diffusività e di nocumento alla salute pubblica. Il deducente richiama quindi alcune pronunce di legittimità ritenute in linea con tesi da lui sostenuta. 2. Il ricorso è infondato. Va evidenziato che, sulla questione prospettata dal ricorrente, si è pronunciata la giurisprudenza apicale di legittimità, affermando che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell'immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente Sez. U, Sentenza numero 12348 del 19/12/2019, Caruso, Rv. 278624 . Per l'esattezza, la richiamata pronunzia apicale ha chiarito che tale affermazione vale per la coltivazione tecnico-agraria , mentre rimangono al di fuori del paradigma normativo le coltivazioni domestiche di minime dimensioni, intraprese con l'intento di soddisfare esigenze di consumo esclusivamente personale, perché queste hanno, per definizione, una produttività ridottissima e, dunque, insuscettibile di aumentare in modo significativo la provvista di stupefacenti . Ma il caso del deducente non rientra in quest'ultimo paradigma, alla luce della valutazione complessiva operata dalla Corte gigliata, che valorizza la vicenda nel suo complesso, tenendo conto in particolare che il Q. è stato altresì trovato in possesso di un non trascurabile quantitativo di marijuana, sostanza identica a quella coltivata quantitativo giudicato mal conciliabile con un uso personale, necessariamente prolungato, stante la deperibilità della sostanza vegetale e, quindi, da ritenersi destinato almeno in parte alla cessione a terzi. 3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Motivazione semplificata.