«Tra i casi in cui, in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale numero 310/996, si è riconosciuta la sussistenza del diritto alla equa riparazione anche nel caso di detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, … rientra … anche l’ipotesi di mancata sospensione della esecuzione della pena detentiva, pari o superiore a tre anni di reclusione, inflitta per fatto commesso e accertato prima dell’entrata in vigore della l. numero 9/2019, numero 3, … il cui articolo 1, comma 6, lettera b è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 32/2020 in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte dall’articolo 4 bis, comma 1, l. numero 354/1975 … si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all’entrata in vigore della l. numero 3/2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione … ».
Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, con la sentenza numero 9721 depositata il 22 marzo 2022. Provvedimento impugnato l'immediata applicazione della l. numero 3/2019 anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Il ricorrente era stato condannato per il reato di peculato alla pena di tre anni, con sentenza divenuta irrevocabile nel 2017. Il tribunale di sorveglianza aveva dichiarato l'inammissibilità dell'istanza proposta dal condannato di affidamento in prova al servizio sociale alla luce della disposizione di cui all'articolo 4 bis, comma 1, c.p., ritenendo che il reato per cui il ricorrente era stato condannato rientrasse tra le ipotesi in cui la concessione dei benefici penitenziari è consentita solo quando il condannato collabori con la giustizia, ritenendo altresì che detta disposizione fosse di immediata applicazione anche ai fatti e alle condanne pregresse all'entrata in vigore della l. numero 3/2019. Veniva dunque revocato il precedente decreto di sospensione dell'ordine di esecuzione emesso dal PM e il ricorrente veniva condotto in carcere. Solo dopo 111 giorni di detenzione, al condannato è stato concesso l'affidamento al servizio sociale a seguito di istanza avanzata dallo stesso e svolta l'istruttoria circa l'assenza di collegamenti con la criminalità organizzata nonché verificata l'inesigibilità della collaborazione. Le censure del ricorrente. Il ricorrente in Cassazione, dunque censurava il provvedimento impugnato che in seguito aveva negato l'accesso alla disciplina della riparazione per ingiusta detenzione, poiché in contrasto con la sentenza della Corte Cost. numero 310/1996, che ha esteso il diritto all'equa riparazione anche alla detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione. Evidenza la difesa che il ricorrente è stato condannato a pena che era da considerarsi “eseguibile fuori dal carcere” e ciò avuto riguardo sia al momento in cui sono stati commessi i fatti, sia a quello in cui è stata applicata la sanzione, sia a quello in cui è divenuta definitiva la sentenza, sia a quello in cui è stato emesso e sospeso l'ordine di esecuzione e finanche quello in cui è stata avanzata l'istanza di misura alternativa. Soltanto dopo una lunga attesa, il condannato si è visto sottoposto ad una legislazione completamente diversa non soltanto rispetto a quella che aveva orientato la sua condotta criminosa, ma anche rispetto a quella che aveva correttamente disciplinato la redazione della richiesta di misura alternativa alla detenzione, improvvisamente ritenuta inammissibile in forza dell'interpretazione costituzionalmente illegittima del neo introdotto articolo 1, comma 6, lettera b della l. numero 3/2019. La decisione della Suprema Corte l'irretroattività della legge numero 3 del 2019 e il riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione. La Suprema Corte ritiene fondato il ricorso e prende le mosse dalla fondamentale pronuncia numero 310/1996 con cui la Corte Cost. ha riconosciuto la sussistenza del diritto all'equa riparazione anche nel caso di detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, senza tuttavia approfondire in ordine ai presupposti per il riconoscimento del suddetto diritto. Tale compito è stato rimesso all'interprete, che in più pronunce ha affermato che il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione è configurabile anche ove quest'ultima derivi dall'illegittimità, originaria o sopravvenuta, dell'ordine di esecuzione, sempre che la stessa non dipenda da un comportamento doloso o colposo del condannato. Il problema, invece, della mancanza di una norma transitoria nella disciplina posta dalla l. numero 3/2019 è stato risolto dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato la “illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 6, lettera b , della l. numero 3/2019 in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte dall'articolo 4 bis, comma 1, della l. numero 354/1975 si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all'entrata in vigore della l. numero 3/2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione.” Ebbene, le sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale esplicano efficacia retroattiva essendosi riconosciuto che le ricadute di una declaratoria di illegittimità travolgono tanto i rapporti futuri quanto quelli pendenti. Occorre dunque convenire con l'impostazione del ricorrente secondo cui ha errato il Tribunale di sorveglianza prima e la Corte di appello dopo, nel ritenere immediatamente applicabile una disciplina che, invece, già alla luce del chiaro portato delle preleggi che preclude l'analogia in malam partem e del pacifico principio di irretroattività in peius in materia penale, avrebbe dovuto operare esclusivamente per il futuro. Difatti, se al momento del reato è prevista una pena che può essere scontata fuori dal carcere ma una legge successiva la trasforma in una pena da eseguire dentro il carcere, quella legge non può avere effetto retroattivo. Tra il fuori e il dentro il carcere vi è una differenza radicale qualitativa, prima ancora che quantitativa, perché è profondamente diversa l'incidenza della pena sulla libertà personale. Sussiste dunque per il ricorrente il diritto alla equa riparazione per detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, per contrasto con gli articolo 3 e 24 Cost., e violazione dell'articolo 5 Convenzione Edu, che prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di detenzioni ingiuste, senza distinzioni di sorta.
Presidente Di Salvo – Relatore Cenci Ritenuto in fatto 1.La Corte di appello di Salerno con ordinanza del 3 febbraio 2021 ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione che era stata avanzata da S.V 2. Per la migliore comprensione della questione che si dovrà affrontare, occorre premettere quanto segue. S.V. è stato condannato per peculato alla pena di tre anni di reclusione dal Tribunale di Salerno con sentenza del 7 luglio 2014, confermata dalla Corte di appello l'8 aprile 2016, divenuta irrevocabile 1111 luglio 2017. Il 19 luglio 2017 il Pubblico Ministero ha emesso ordine di esecuzione che ha contestualmente sospeso, come prescritto, onde consentire al condannato di avanzare entro trenta giorni richiesta di misura alternativa. Il 7-11 settembre 2017 il condannato ha avanzato tempestiva istanza di affidamento in prova al servizio sociale ovvero di detenzione domiciliare. Il Tribunale di Sorveglianza con decreto del 17 luglio 2018 ha fissato udienza per il 20 marzo 2019. Sciogliendo la riserva assunta all'esito della camera di consiglio tenutasi il 20 marzo 2019, il Tribunale di Sorveglianza ha emesso ordinanza, depositata il 25 marzo 2020, con cui ha dichiarato inammissibile l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale o di detenzione domiciliare la motivazione del provvedimento, sul presupposto dell'entrata in vigore in data 1 gennaio 2020 della L. 9 gennaio 2019, numero 3 recante Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici , è la seguente il reato per cui S.V. è stato condannato rientra tra le ipotesi previste dall'articolo 4 bis l.p. la concessione dei benefici penitenziari è consentita solo quando i condannati per tali reati collaborino con la giustizia norma dell'articolo 58 ter l.p. o a norma dell'articolo 323 bis c.p., comma 2 rilevato che dette disposizioni legislative che individuano i delitti ostativi ai benefici penitenziari, in quanto attinenti alle sole modalità di esecuzione della pena, sono di immediata applicazione anche ai fatti e alle condanne pregresse rilevato, infine, che grava sul condannato istante per la concessione di benefici penitenziari l'onere della allegazione della specifica situazione di derogabilità della condizione ostativa alla concessione stessa, cioè la collaborazione ex articolo 58 ter l.p. ovvero ex articolo 323 bis c.p., comma 2, e ciò attraverso la previa instaurazione dell'apposito procedimento . In conseguenza della richiamata ordinanza di inammissibilità, il P.M. il 26 marzo 2020 ha revocato il decreto di sospensione dell'ordine di esecuzione già emesso ed ha ripristinato l'ordine medesimo. Lo stesso giorno 26 marzo 2020 S.V. è entrato in carcere in espiazione pena. Il 3 aprile 2020 il condannato ha avanzato, ai sensi dell'articolo 58-ter dell'ordinamento penitenziario istanza di affidamento al servizio sociale, beneficio che, svolta l'istruttoria circa l'assenza di collegamenti con la criminalità organizzata, l'avvenuta restituzione della somma di denaro sottratta e la inesigibilità della collaborazione, è stato concesso con provvedimento del 10 luglio 2020, depositato il 15 luglio 2020. L'esecuzione della pena in carcere è durata, dunque, 111 giorni. 3.Ciò posto, S.V. ricorre, tramite Difensore di fiducia, per la cassazione dell'ordinanza della Corte di appello di Salerno, affidandosi a due motivi, con i quali lamenta violazione di legge. 4. In particolare, con il primo motivo pp. 2-17 dell'atto di impugnazione il ricorrente, ricostruito l'antefatto, censura violazione ed erronea applicazione dell'articolo 314 c.p.p. e articolo 125 c.p.p., comma 3, per avere il provvedimento impugnato negato l'accesso alla disciplina della riparazione per ingiusta detenzione ponendosi così in contrasto - si ritiene - con le indicazioni di cui alla sentenza della Corte costituzionale numero 310 del 18-25 luglio 1996, che ha esteso il diritto all'equa riparazione anche alla detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione e ciò sulla base di una motivazione meramente apparente, che, senza chiarire in alcun modo il percorso logico seguito, senza tenere in considerazione i plurimi argomenti spesi dalla difesa nella richiesta né la sollecitazione espressamente avanzata, in via subordinata, a sollevare questione di costituzionalità p. 18 della richiesta di equa riparazione , è giunta alla seguenti conclusioni, che si stimano illegittime, erronee ed ingiuste a ritenere non già erroneo, come sostenuto dalla Difesa, ma valido e legittimo il titolo di esecuzione che ha comportato la detenzione in carcere di S.V. per il solo fatto di fondarsi sulla sentenza di condanna, malgrado detto titolo di esecuzione sia stato il frutto, per un verso, della interpretazione costituzionalmente illegittima della L. 9 gennaio 2019, numero 3, articolo 1, comma 6, lett. b, come statuito dalla Corte Costituzionale con sentenza numero 32 del 2020 e, per altro verso, dalla palese violazione del divieto di analogia in malam partem in materia penale che avrebbe imposto, a fronte del vuoto normativo in ordine alla applicazione nel tempo della citata novella legislativa, di scegliere la soluzione maggiormente rispettosa del favor libertatis così alla p. 3 del ricorso b inoltre, di ritenere, implicitamente, che la mancata concessione della misura alternativa legittimamente richiesta, ancorché dipesa dalla stimmatizzata interpretazione incostituzionale della citata novella legislativa, non dia luogo alla riparazione per ingiusta detenzione con ciò ponendosi in aperto contrasto con i principi di diritto e le più ampie rationes espresse nella sentenza della Consulta numero 32/2020 così alla p. 3 del ricorso . 4.1. Quanto al primo dei due aspetti segnalati lett. a , evidenzia la Difesa che S.V. è stato condannato a pena che era da considerarsi eseguibile fuori dal carcere e ciò avuto riguardo sia al momento in cui sono stati commessi i fatti dal 2005 al 2011 sia a quello in cui è stata applicata la sanzione 7 luglio 2014 sia a quello in cui è divenuta definitiva la sentenza 11 luglio 2017 sia a quello in cui è stato emesso e contestualmente sospeso l'ordine di esecuzione 19 luglio 2017 sia a quello in cui è stata avanzata istanza di misura alternativa 7-11 settembre 2017 e che il condannato, dopo lunga attesa . si vedrà sottoposto a tutt'altra legislazione, non soltanto rispetto a quella che dieci anni prima aveva orientato la sua stessa condotta criminosa ma anche rispetto a quella che, all'incirca un anno e mezzo prima, aveva correttamente disciplinato la redazione della richiesta ex articolo 47 o.p., improvvisamente ritenuta inammissibile in forza della interpretazione costituzionalmente illegittima del neo introdotto dalla L. 9 gennaio 2019, numero 3, articolo 1, comma 6, lett. b , vedendosi tradurre consequenzialmente ed inaspettatamente in carcere per la prima volta nella sua vita e proprio in forza dei provvedimento in oggetto . per 111 giorni . va aggiunto che con ordinanza del 12.6.2019 lo stesso Tribunale di sorveglianza di Salerno - come recepito dalla stessa Consulta nella sentenza numero 32 del 2020 - ebbe a sollevare, in relazione ad altro condannato, la relativa questione di legittimità costituzionale della L. 9 gennaio 2019, numero 3, articolo 1, comma 6, lett. b così alla p. 4 del ricorso . Ciò premesso, si ritiene, difformemente da quanto si legge nell'ordinanza impugnata alla p. 3 , che il titolo esecutivo nel caso di specie non fosse valido e legittimo poiché fondato sulla sentenza di condanna a tre anni di reclusione , ma da ricondurre invece alla nozione di erroneo ordine di esecuzione di cui alla nota sentenza della Corte costituzionale numero 310 del 18-25 luglio 1996. Si rammenta come già nella richiesta di equa riparazione si fosse sottolineata la erroneità dell'ordine di esecuzione che ha determinato la carcerazione di S.V., ma che tale aspetto sarebbe stato ignorato dalla Corte di merito. Il riferimento è alla decisione del Tribunale di sorveglianza del 20-25 marzo 2019 basata su interpretazione costituzionalmente illegittima infatti, la Consulta con la sentenza numero 32 del 12-16 febbraio 2020 ha dichiarato la illegittimità costituzionale della L. 9 gennaio 2019, numero 3, articolo 1, comma 6, lett. b , Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici , in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte alla L. 26 luglio 1975, numero 354, articolo 4-bis, comma 1, Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all'entrata in vigore della L. numero 3 del 2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della L. numero 354 del 1975, della liberazione condizionale prevista dagli articolo 176 e 177 c.p. e del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione previsto dall'articolo 656 c.p.p., comma 9, lett. a . Ebbene l'effetto di tale pronunzia - stima il ricorrente - si è inevitabilmente ripercosso sul provvedimento del Pubblico Ministero del 26 marzo 2020 di revoca del decreto di sospensione dell'ordine di esecuzione e di rispristino dell'ordine medesimo, essendovi il P.M., siccome organo promotore dell'esecuzione, tenuto. L'entrata in vigore della L. numero 3 del 2019, priva di norme transitorie, ha posto dunque - si evidenzia - l'interprete davanti ad un bivio , se cioè 1 applicare la nuova normativa anche ai reati commessi prima dell'entrata in vigore della stessa ovvero 2 solo a quelli posti in essere dopo tuttavia tale bivio, ad avviso del ricorrente, è solo apparente, essendo, per contro, la scelta dell'interprete innanzi ad un vuoto normativo in materia penale assolutamente obbligata e per nulla discrezionale. Ed invero, nel momento in cui si è acclarata la natura sostanziale di vere e proprie pene alternative alla detenzione all'affidamento in prova al servizio sociale e alla detenzione domiciliare sì da guarnirle della garanzia costituzionale del divieto di irretroattività della legge penale ex articolo 25 Cost., comma 2 , logico ed ineliminabile corollario di siffatto inquadramento normativo diviene, sotto l'aspetto interpretativo, l'ulteriore garanzia per il condannato del divieto di analogia in malam partem della legge penale che su dette pene vada ad incidere in maniera diretta. In altri termini, è di tutta evidenza che non si è trattato di dar luogo ad una interpretazione estensiva della volontà del legislatore - essendo la stessa incontrovertibilmente esistente sul punto - si è scelto, invece, di applicare una norma ad un caso da essa non previsto - non essendo previsto, infatti, che la novella legislativa andasse ad incidere anche sui reati precedentemente commessi - e lo si è fatto scegliendo la soluzione più sfavorevole al reo. Tanto, incontrovertibilmente, ha concretizzato la violazione del divieto di analogia in malam partem in materia penale. Ed allora non appare azzardato affermare che l'unica opzione interpretativa consentita, nel caso di specie, al Tribunale di sorveglianza di Salerno che ebbe ad affrontare la richiesta ex articolo 47 I.o.p. sarebbe stata quella di scegliere, in ossequio al principio del favor libertatis, per l'inapplicabilità della novella legislativa ai fatti posti in essere antecedentemente la sua entrata in vigore così alle pp. 6-7 del ricorso invece, l'opzione fatta propria dal Tribunale di sorveglianza ha violato il divieto di analogia in malam partem in materia di sanzioni penali e, quindi, gli articolo 12 e 14 preleggi, articolo 1 e 199 c.p. e articolo 24,25 e 112 Cost., prima ancora dell'accertamento da parte della Consulta del contrasto della L. numero 3 del 2019 con l'articolo 25 Cost. sentenza numero 32 del 12-26 febbraio 2020 . Richiamata, quindi, la motivazione della sentenza numero 310 del 18-25 luglio 1996 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 314 c.p.p., nella parte in cui non prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, per contrasto, oltre che con l'articolo 3, anche con l'articolo , 24 Cost., si ritiene che le ragioni che hanno indotto la Consulta ad estendere la disciplina dell'articolo 314 c.p.p. anche alla detenzione determinata da un ordine di esecuzione arbitrarioIlfondino su valutazioni di carattere sostanziale l'offesa ingiusta alla libertà della persona ed il conseguenziale diritto alla riparazione , con la conseguenza della insostenibilità, ad avviso del ricorrente, di approcci giurisprudenziali di tipo riduttivo, cui sembrerebbe aderire il provvedimento impugnato. Approcci che, facendo leva sulla circostanza che la Corte costituzionale abbia inteso qualificare illegittimi solo quegli ordini di esecuzione non fondati su una sentenza di condanna, tendono ad escludere dalla tutela riparatoria di cui all'articolo 314 c.p.p. tutti quei casi in cui illegittimo sia non l'ordine di esecuzione ma il contestuale ed incorporato decreto di sospensione dell'esecuzione. Deve, al contrario, ritenersi, valorizzata la ratio decidendi della Corte costituzionale, che sia indifferente che il sacrificio alla libertà sia stato arrecato da un ordine di esecuzione arbitrario piuttosto che da un arbitrario decreto di revoca del decreto di sospensione. La recente giurisprudenza di legittimità, peraltro, ha evidenziato come le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale con la richiamata sentenza numero 310 del 1996 siano spesso travisate come, ad avviso del ricorrente, sarebbe avvenuto nel caso di specie . Infatti, Sez. 4, numero 57203 del 21/09/2017, P.G. in proc. Paraschiva, Rv. 271689 la cui massima ufficiale recita In tema di ingiusta detenzione, il diritto alla riparazione è configurabile anche ove l'ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all'esecuzione della pena, purché sussista un errore dell'autorità procedente e non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell'interessato che sia stato concausa dell'errore o del ritardo nell'emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la corretta data del fine dell'espiazione della pena , ha affermato in motivazione, sub nnumero 4.3. e 4.4., pp. 4-6 quanto segue A ben vedere il principio secondo il quale il diritto all'indennizzo non è configurabile ove la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pena eseguita sia determinata da vicende, successive alla condanna, che riguardano la determinazione della pena eseguibile, poggia unicamente su una lettura della sentenza costituzionale che non pare né obbligata né persuasiva. Infatti, si trae dalla motivazione del Giudice delle Leggi la convinzione che questi abbia limitato la portata della declaratoria di incostituzionalità all'ipotesi di una pena definitivamente inflitta inferiore a quella espiata. Ma così non pare a questo Collegio. Il giudice remittente si era trovato a decidere il caso di una detenzione che era stata illegittimamente disposta sull'erroneo presupposto della definitività della condanna. Non si vede come tanto significhi una limitazione della portata della pronuncia di incostituzionalità, che d'altro canto ha trovato la forma che segue dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 314 c.p.p., nella parte in cui non prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione . Anzi, proprio tale dispositivo sembra attesti che le vicende dell'esecuzione non sono in alcun modo estranee all'orizzonte della riparazione dell'ingiusta detenzione . Anche le vicende della fase dell'esecuzione della pena rilevano ai fini della applicabilità dell'istituto disciplinato dall'articolo 314 c.p.p., sempre che da esse derivi una ingiustizia della detenzione patita. Ingiustizia che, come emerge dalla giurisprudenza sin qui rammentata, si innesta su un errore dell'autorità procedente errore che, per definizione, non può mai rinvenirsi nell'esercizio di un potere di apprezzamento discrezionale e che quindi va ricercato nelle eventuali violazioni di legge . Trasponendo il richiamato ragionamento al caso di specie, si imporrebbe, ad avviso del ricorrente, l'annullamento dell'ordinanza impugnata, che ha interpretato una norma che è stata poi ritenuta incostituzionale dalla Consulta per contrasto con l'articolo 25 Cost. e che ha arbitrariamente scelto di colmare un vuoto legislativo facendo applicazione analogica in malam partem in materia di sanzioni penali, così - si ribadisce - violando gli articolo 12 e 14 preleggi, articolo 1 e 199 c.p. e articolo 24,25 e 112 Cost Insomma, una diversa interpretazione che escludesse dall'ambito di operatività il caso in esame sarebbe, secondo il ricorrente, in chiara violazione degli articolo 3 e 24 Cost., sicché, in subordine, si propone nuovamente questione di legittimità costituzionale dell'articolo 314 c.p.p 4.2. Quanto all'ulteriore aspetto lett. b , il provvedimento impugnato, nel punto in cui ritiene di escludere l'accesso dell'istante alla disciplina dell'equa riparazione sul presupposto che la stigmatizzata interpretazione costituzionale della L. numero 3 del 2019 ha determinato solo la scelta di una delle modalità di esecuzione della pena sembrerebbe aderire ad un'interpretazione dell'articolo 314 c.p.p. che è in aperto contrasto con i principi di diritto di entrambe le richiamate pronunzie della Corte costituzionale, la numero 310 del 1996 e la numero 32 del 2020, e che è comunque affetto da carenza motivazionale totale. In particolare, la sentenza numero 32 del 2020 appare invertire drasticamente si ritiene - la rotta in precedenza seguita dalla giurisprudenza di legittimità, che in sostanza era indifferente alle vicende esecutive della pena di chi è stato in ogni caso condannato, riconoscendo il carattere sostanziale di una legge che comporti la trasformazione della natura della sanzione e che vada ad incidere sulla libertà personale del condannato in ragione di improvvisi mutamenti legislativi che improvvisamente trasformino una pena - più che ragionevolmente - da espiarsi fuori dal carcere in una pena da scontarsi dentro il carcere . Si richiama al riguardo la seguente parte di motivazione numero 4.4.5. che si ritiene applicabile, mutatis mutandis, al caso di specie Per le ragioni già anticipate . , non varrebbe a inficiare le conclusioni appena raggiunte l'obiezione secondo cui la prospettiva - per il condannato - di vedersi applicare una misura alternativa, sulla base della legge in vigore al momento del fatto, sarebbe stata meramente ipotetica ed eventuale. La valutazione circa il carattere deteriore della disciplina sopravvenuta non può, infatti, che essere condotta secondo criteri di rilevante probabilità e ciò con riferimento tanto ai benefici accessibili per il condannato sulla base della disciplina previgente, quanto alle conseguenze deteriori che derivano dall'entrata in vigore della nuova disciplina. Sotto il primo profilo, è evidente che - in linea generale, e salve le peculiarità di ogni singolo caso - nei confronti dei condannati per reati contro la pubblica amministrazione sussisteva una rilevante probabilità, sulla base della disciplina previgente, di accedere a misure alternative alla pena detentiva, laddove i relativi limiti di pena ancora da scontare o i rispettivi requisiti anagrafici per ciò che concerne la detenzione domiciliare di cui all'articolo 47-ter, comma 1, ordinumero penit. lo permettessero. Un tale assunto e', se non altro, dimostrato dallo stesso elevato numero delle ordinanze di rimessione, che argomentano la rilevanza delle questioni proprio muovendo da un giudizio di meritevolezza rispetto al beneficio del singolo condannato sulla base della previgente disciplina. Sotto il secondo profilo, non può negarsi, per converso, che la normativa sopravvenuta - oltre a precludere in via assoluta l'accesso a taluni benefici, come la detenzione domiciliare per i condannati ultrasettantenni ciò che basterebbe, invero, a dimostrarne per tabulas il carattere necessariamente deteriore - rende significativamente meno probabile la. concessione degli stessi, anche in considerazione delle incertezze, ancora non affrontate dalla giurisprudenza, sulla precisa estensione dell'obbligo collaborativo in capo ai condannati per reati contro la pubblica amministrazione . . Si afferma, dunque, che, facendo applicazione del richiamato ragionamento, così come non può trascurarsi che il soggetto definitivamente assolto nutra la legittima aspettativa di non finire in carcere in forza di un erroneo ordine di esecuzione, come accaduto nel caso sotteso alla sentenza della Corte costituzionale, numero 310 del 1996, allo stesso modo non potrebbe trascurarsi che il condannato ad una pena eseguibile, al momento del fatto, fuori dal carcere nutra l'altrettanto legittima aspettativa di non finire inaspettatamente in carcere in forza di una legge entrata in vigore molto dopo il deposito della richiesta di misura alternativa ai sensi dell'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario. Infatti - opina il ricorrente - In entrambi i casi in carcere c'e' un uomo che non doveva esserci o, quantomeno, che nutriva se non la certezza matematica una rilevante probabilità di non finirci in entrambi i casi la detenzione non potrà certamente dirsi giusta. La differenza in siffatte ipotesi, come sostenuto dalla più recente giurisprudenza di legittimità, andrà senza dubbio ricercata nel quantum di indennizzo spettante in misura maggiore ovviamente all'innocente piuttosto che al colpevole. In conclusione appare francamente impensabile che la lesione dei diritti inviolabili di cui agli articolo 24 e 25 Cost. e 7 CEDU, conseguente alla mancata concessione di una misura alternativa, non meriti l'accesso a quella tutela riparatoria - la cui portata è delineata fin troppo chiaramente dalla Corte costituzionale numero 310 del 1996 - sol perché l'imputato è stato riconosciuto in ogni caso colpevole così alla p. 17 del ricorso . 5. Con il secondo motivo pp. 3-4 e 17-19 del ricorso S.V. denuncia violazione dell'articolo 314 c.p.p., comma 4 e articolo 657 c.p.p. per avere si ritiene - il provvedimento impugnato ravvisato in maniera errata l'avvenuta declaratoria di fungibilità della pena e, dunque, il verificarsi della causa di esclusione ex lege dell'indennizzo successivamente richiesto nella individuazione da parte del Tribunale di sorveglianza del termine di scadenza della pena. Si richiamano al riguardo i seguenti principi fissati dalla S.C. La declaratoria di fungibilità della pena a norma dell'articolo 657 c.p.p. non è né automatica, né necessariamente contestuale all'ordine di esecuzione e desumibile dal relativo fascicolo, ma va disposta con distinto decreto e discende da una autonoma valutazione, che investe la custodia cautelare subita non solo per gli stessi fatti, ma anche per reati diversi, nonché pene espiate per altri fatti quando sia sopravvenuta revoca della condanna, amnistia e indulto, e può, a richiesta dell'interessato, operare su sanzioni pecuniarie o sostitutive, anziché su quelle detentive. Ne consegue che, se intervenuta successivamente all'ordine di esecuzione, non può essere utilizzata per valutare le condizioni di legittimità ed efficacia di questo. Fattispecie relàtiva ad ordine di esecuzione emesso nei confronti di tossicodipendente per pena complessiva originariamente fissata in misura superiore a quattro anni di reclusione e successivamente ridotta in limiti inferiori a seguito di riconoscimento di fungibilità di alcuni periodi di detenzione. In relazione ad essa, la S. C. ha altresì escluso che la sospensione, ex articolo 656 c.p.p., dell'ordine di esecuzione segua automaticamente l'accertato stato di tossicodipendenza e ha ritenuto che discenda, invece, dall'esistenza di un programma terapeutico di riabilitazione, già in corso o concordato dal condannato con istituzioni pubbliche o private Sez. 1, numero 4503 del 20/06/2000, Degni, Rv. 216921 Nel procedere alla revoca della misura dell'affidamento in prova al servizio sociale, il tribunale di sorveglianza è competente a stabilire la quantità di pena da ritenersi espiata per effetto del tempo trascorso in regime di affidamento in prova, ossia il presofferto , ma non può indicare la data nella quale il condannato deve essere rimesso in libertà per avere espiato l'intera pena, in quanto la determinazione della pena ancora da espiare spetta al pubblico ministero, il quale deve provvedere al cumulo di altri eventuali titoli di esecuzione sopraggiunti, ovvero spetta al giudice, in sede di incidente di esecuzione Sez. 1, numero 9287 del 01/12/2006, P.M. in proc. Mazzotta, Rv. 236234 . Ad avviso del ricorrente, nel caso di specie non potrebbe dirsi avverata la condizione prevista dall'articolo 314 c.p.p., comma 4, non essendo stato adottato un provvedimento dichiarativo della fungibilità da parte del Pubblico Ministero né potendosi considerare tale la determinazione della pena ancora da espiare effettuata dal Tribunale di sorveglianza in luogo del P.M. Si osserva infine pp. 18-19 del ricorso che d'altro canto, anche la decisione di trasmettere gli atti al Tribunale di sorveglianza al fine di detrarre i cinque giorni di pena non computati nel provvedimento del 10.07.2019 tradisce, sotto tale aspetto, la censurata erronea applicazione della legge penale . Si domanda, dunque, l'annullamento dell'ordinanza impugnata. 6. Il P.G. della S.C. nella propria articolata requisitoria scritta del 23 settembre 2021 ha chiesto il rigetto del ricorso. 7.L'Avvocatura dello Stato nella propria memoria del 2-3 novembre 2021 ha a sua volta chiesto il rigetto del ricorso con vittoria di spese. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto, per le seguenti ragioni. 2.Appare opportuno premettere che tutta la motivazione dell'ordinanza impugnata, a fronte di corposa ed argomentata istanza ex articolo 314 c.p.p., consiste nei seguenti due passaggi argomentativi I In primo luogo, l'errata interpretazione della norma ha determinato solo la scelta di una delle modalità di esecuzione della pena, che però è pur sempre rimasta collegata ad un titolo di esecuzione valido e legittimo poiché fondato sulla sentenza di condanna a tre anni di reclusione così alla p. 3 del provvedimento impugnato II in secondo luogo, è stato ritenuto applicabile in via analogica alla situazione in esame il meccanismo di cui all'articolo 314 c.p.p., comma 4, e, dunque, corretto, ad avviso della Corte di appello, il già avvenuto scomputo dalla durata della pena da espiarsi in affidamento in prova il periodo presofferto in carcere, calcolato dal 26 marzo 2019 al 10 luglio 2019, dovendosi anzi è stato comunicato dalla Corte di appello al Tribunale di sorveglianza - detrarre gli altri cinque giorni intercorrenti tra l'assunzione della riserva 10 luglio 2019 e lo scioglimento della stessa 15 luglio 2019, giorno della scarcerazione con la precisazione che diversamente opinando, S. riceverebbe, per la stessa situazione, un doppio beneficio giuridico in quanto quel periodo gli è già stato sottratto dal computo della pena residua da espiare, ed economico perché sarebbe pure indennizzato così alla p. 4 del provvedimento impugnato . 3.Ciò posto, per affrontare le questioni poste con il presente ricorso è necessario prendere le mosse dalla fondamentale pronunzia numero 310 del 18-25 luglio 1996 con cui la Corte costituzionale ha riconosciuto, come noto, la sussistenza del diritto alla equa riparazione anche nel caso di detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, per contrasto con gli articolo 3 e 24 Cost., e violazione dell'articolo 5 della Convenzione EDU che prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste, senza distinzione di sorta. Tuttavia, in ordine ai presupposti per il riconoscimento del diritto, la Corte costituzionale non si è pronunziata in conseguenza, il compito è stato rimesso all'interprete, come osservato, tra le altre, da Sez. 4, numero 25092 del 25/05/2021, Iorio, Rv. 281735, che ricostruisce puntualmente sub nnumero 3-5 del considerato in diritto l'evoluzione della giurisprudenza di legittimità successiva al richiamato intervento della Consulta anche il P.G. della S.C. nella sua requisitoria ex articolo 611 c.p.p. del 23 settembre 2021 pp. 4 e ss. ha fatto riferimento alla evoluzione interpretativa in tema di erroneo ordine di esecuzione. Tra le pronunzie più significative al riguardo, si rammenta Cass., Sez. 4, numero 57203 del 21/09/2017, ric. P.G. in proc. Paraschiva e altro, Rv. 271689, la cui massima ufficiale recita In tema di ingiusta detenzione, il diritto alla riparazione è configurabile anche ove l'ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all'esecuzione della pena, purché sussista un errore dell'autorità procedente e non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell'interessato che sia stato concausa dell'errore o del ritardo nell'emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la corretta data del fine dell'espiazione della pena . Nella motivazione della sentenza da ultimo richiamata sub nnumero 4.3. e 4.4., pp. 4-6 , come puntualmente rammentato nel ricorso, si legge quanto segue A ben vedere il principio secondo il quale il diritto all'indennizzo non è configurabile ove la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pena eseguita sia determinata da vicende, successive alla condanna, che riguardano la determinazione della pena eseguibile, poggia unicamente su una lettura della sentenza costituzionale che non pare né obbligata né persuasiva. Infatti, si trae dalla motivazione del Giudice delle Leggi la convinzione che questi abbia limitato la portata della declaratoria di incostituzionalità all'ipotesi di una pena definitivamente inflitta inferiore a quella espiata. Ma così non pare a questo Collegio. Il giudice remittente si era trovato a decidere il caso di una detenzione che era stata illegittimamente disposta sull'erroneo presupposto della definitività della condanna. Non si vede come tanto significhi una limitazione della portata della pronuncia di incostituzionalità, che d'altro canto ha trovato la forma che segue dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 314 c.p.p., nella parte in cui non prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione . Anzi, proprio tale dispositivo sembra attesti che le vicende dell'esecuzione non sono in alcun modo estranee all'orizzonte della riparazione dell'ingiusta detenzione . Anche le vicende della fase dell'esecuzione della pena rilevano ai fini della applicabilità dell'istituto disciplinato dall'articolo 314 c.p.p., sempre che da esse derivi una ingiustizia della detenzione patita. Ingiustizia che, come emerge dalla giurisprudenza sin qui rammentata, si innesta su un errore dell'autorità procedente errore che, per definizione, non può mai rinvenirsi nell'esercizio di un potere di apprezzamento discrezionale e che quindi va ricercato nelle eventuali violazioni di legge . Più recentemente, si è affermato che Il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione è configurabile anche ove quest'ultima derivi dall'illegittimità, originaria o sopravvenuta, dell'ordine di esecuzione, sempre che la stessa non dipenda da un comportamento doloso o colposo del condannato Sez. 4, numero 1718 del 14/01/2021, ric. Marinkovic, Rv. 281151, nella cui motivazione si legge - sub punto numero 3 del considerato in diritto , pp. 5-6 - che la La sentenza numero 57203 del 21/09/2017 cit. ha chiarito l'ampia portata della sentenza numero 310 del 1996 della Corte Costituzionale, evidenziando il rilievo ai fini del riconoscimento del diritto previsto dall'articolo 314 c.p.p. a tutte le ipotesi di detenzione illegittimamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione e la distinzione tra pena definita da pronuncia irrevocabile e pena definitiva, dovendosi intendere per tale - alla luce dell'ampio spazio lasciato agli interventi del giudice dell'esecuzione e della magistratura di sorveglianza - solo quella determinata all'esito della complessiva gestione giudiziale del trattamento sanzionatorio . Essa, inoltre, ha effettuato un'ampia ricognizione della casistica delle pronunzie della Corte Europea dei diritti dell'uomo in tema di detenzione ingiusta soprattutto in tema di liberazione anticipata tutte convergenti nel senso della più ampia tutela in caso di ingiusta detenzione per errore nella fase dell'esecuzione della pena . 4. Il problema della mancanza di una normativa transitoria nella disciplina posta dalla L. numero 3 del 2019, evidenziato in dottrina e in giurisprudenza, è stato risolto dalla Corte costituzionale peraltro adita, tra le altre Autorità Giudiziarie, anche dal Tribunale di sorveglianza di Salerno con ordinanza del 12 giugno 2019, come si legge nel ritenuto in fatto di Corte Cost., numero 32 del 12-16 febbraio 2020 con la sentenza numero 32 del 2020 che ha dichiarato la illegittimità costituzionale della L. 9 gennaio 2019, numero 3, articolo 1, comma 6, lett. b , Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici , in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte alla L. 26 luglio 1975, numero 354, articolo 4-bis, comma 1, Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all'entrata in vigore della L. numero 3 del 2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della L. numero 354 del 1975, della liberazione condizionale prevista dagli articolo 176 e 177 c.p. e del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione previsto dall'articolo 656 c.p.p., comma 9, lett. a . Nell'occasione la Consulta, dichiarando la illegittimità costituzionale della interpretazione retroattiva delle limitazioni alle misure alternative alla detenzione introdotte dalla L. numero 3 del 2019, ha affermato sub numero 4.4.5. del considerato in diritto , come puntualmente sottolineato nel ricorso, quanto segue Per le ragioni già anticipate . , non varrebbe a inficiare le conclusioni appena raggiunte l'obiezione secondo cui la prospettiva - per il condannato - di vedersi applicare una misura alternativa, sulla base della legge in vigore al momento del fatto, sarebbe stata meramente ipotetica ed eventuale. La valutazione circa il carattere deteriore della disciplina sopravvenuta non può, infatti, che essere condotta secondo criteri di rilevante probabilità e ciò con riferimento tanto ai benefici accessibili per il condannato sulla base della disciplina previgente, quanto alle conseguenze deteriori che derivano dall'entrata in vigore della nuova disciplina. Sotto il primo profilo, è evidente che - in linea generale, e salve le peculiarità di ogni singolo caso - nei confronti dei condannati per reati contro la pubblica amministrazione sussisteva una rilevante probabilità, sulla base della disciplina previgente, di accedere a misure alternative alla pena detentiva, laddove i relativi limiti di pena ancora da scontare o i rispettivi requisiti anagrafici per ciò che concerne la detenzione domiciliare di cui all'articolo 47-ter, comma 1, ordinumero penit. lo permettessero. Un tale assunto e', se non altro, dimostrato dallo stesso elevato numero delle ordinanze di rimessione, che argomentano la rilevanza delle questioni proprio muovendo da un giudizio di meritevolezza rispetto al beneficio del singolo condannato sulla base della previgente disciplina. Sotto il secondo profilo, non può negarsi, per converso, che la normativa sopravvenuta - oltre a precludere in via assoluta l'accesso a taluni benefici, come la detenzione domiciliare per i condannati ultrasettantenni ciò che basterebbe, invero, a dimostrarne per tabulas il carattere necessariamente deteriore - rende significativamente meno probabile la concessione degli stessi, anche in considerazione delle incertezze, ancora non affrontate dalla giurisprudenza, sulla precisa estensione dell'obbligo collaborativo in capo ai condannati per reati contro la pubblica amministrazione . . 5. Ebbene, le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale esplicano efficacia retroattiva essendosi riconosciuto che, in forza del combinato disposto di cui all'articolo 136 Cost. e L. 11 marzo 1953, numero 87, articolo 30, comma 3, recante Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , le ricadute di una declaratoria di illegittimità travolgono tanto i rapporti futuri quanto quelli passati o, meglio, pendenti. Si è detto, infatti, che se in forza della disposizione costituzionale di cui all'articolo 136 Cost., la norma dichiarata illegittima non è più valida né efficace e, dunque, a causa del vizio da cui risulta affetta, cessa di appartenere all'ordinamento, per effetto della L. numero 87 del 1953, articolo 30, comma 3, di essa non può farsi applicazione. Ne è conseguito il riconoscimento della retroattività alla declaratoria di incostituzionalità, ad eccezione dei soli rapporti esauriti, quelli cioè ormai risolti in via definitiva e stabile, e, pur con un'eccezione in materia penale in forza del favor rei, sia i rapporti ancora pendenti sia quelli futuri vengono irrimediabilmente travolti dall'accertamento dell'illegittimità. Al riguardo, tra le altre pronunzie merita ricordare che le Sezioni Unite della S.C. hanno affermato La dichiarazione di illegittimità costituzionale ha efficacia invalidante e non abrogativa e produce conseguenze simili a quella dell'annullamento. Detta pronuncia, cioè, esplica i suoi effetti non soltanto per il futuro ma anche retroattivamente nei confronti di fatti e di rapporti instauratisi nel periodo in cui la norma incostituzionale era vigente, con esclusione delle situazioni giuridiche ormai consolidate, come tali insuscettibili di essere rimosse o modificate cosiddetti rapporti esauriti . Ne consegue l'obbligo per il giudice di non applicare la norma dichiarata incostituzionale non soltanto nel procedimento in cui è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale, ma in ogni altro giudizio in cui la norma stessa possa essere assunta a canone di valutazione di qualsiasi fatto o rapporto anche se antecedente alla data di pubblicazione della suddetta sentenza e sempre che trattasi di fatti o rapporti ancora in via di svolgimento, non produttivi, cioè, di effetti giuridici definitivi. Fattispecie relativa alla dichiarata illegittimità costituzionale dell'articolo 513 c.p.p., con sent. numero 224/83 C. Cost., nella parte in cui escludeva il diritto dell'imputato a proporre appello avverso la sentenza di proscioglimento per amnistia Sez. U, numero 7232 del 07/07/1984, Cunsolo, Rv. 165563 Dovendosi attribuire alle pronunce del giudice delle leggi efficacia invalidante e perciò retroattiva, a seguito della sentenza della Corte costituzionale numero 77 del 3 aprile 1997 - la quale ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 294 c.p.p., comma 1, nella parte in cui non prevede che, fino alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, il giudice per le indagini preliminari proceda all'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia, a pena di inefficacia della misura ai sensi dell'articolo 302, anch'esso dichiarato incostituzionale qualora l'interrogatorio predetto non abbia avuto luogo, la misura cautelare applicata deve essere dichiarata inefficace, essendo ininfluente che il tempestivo espletamento del mezzo non si sia potuto verificare perché all'epoca non era previsto. In applicazione di tale principio la Corte ha dichiarato l'inefficacia della misura cautelare applicata dal g.i.p. successivamente alla chiusura delle indagini preliminari, rilevando che il ricorrente aveva maturato, ora per allora, il diritto a riacquistare lo status libertatis per omesso svolgimento dell'interrogatorio di garanzia nel termine di cinque giorni dall'esecuzione della misura . Conformi sez. unumero 28 gennaio 1998 numero 4, Sassosi, e sez. unumero 28 gennaio 1998 numero 5, Bonanno, non massimate Sez. U, numero 3 del 28/01/1998, Budini ed altri, Rv. 210258 La sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge ha efficacia erga omnes - con l'effetto che il giudice ha l'obbligo di non applicare la norma illegittima dal giorno successivo a quello in cui la decisione è pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica - e forza invalidante, con conseguenze simili a quelle dell'annullamento, nel senso che essa incide anche sulle situazioni pregresse verificatesi nel corso del giudizio in cui è consentito sollevare, in via incidentale, la questione di costituzionalità, spiegando, così, effetti non soltanto per il futuro, ma anche retroattivamente in relazione a fatti o a rapporti instauratisi nel periodo in cui la norma incostituzionale era vigente, sempre, però, che non si tratti di situazioni giuridiche esaurite , e cioè non più suscettibili di essere rimosse o modificate, come quelle determinate dalla formazione del giudicato, dall'operatività della decadenza, dalla preclusione processuale. Nella specie, la S.C. ha ritenuto che ricorresse una situazione esaurita nel caso di appello del P.M. avverso sentenza assolutoria, dichiarato inammissibile per effetto della L. numero 46 del 2006, articolo 1 e articolo 10, comma 2, che ne precludevano la esperibilità, pur dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle relative disposizioni - C. Cost. numero 26 del 2007 -, stante l'inerzia della parte pubblica, la quale, non avendo assunto alcuna iniziativa processuale intesa a prevenire il consolidarsi della inammissibilità, mediante la preliminare deduzione di incostituzionalità delle suddette disposizioni o l'esercizio della facoltà, prevista dall'articolo 10 comma 3 L. cit., di proporre ricorso per cassazione entro 45 giorni dalla notifica della ordinanza di inammissibilità dell'appello, aveva di fatto prestato ad essa acquiescenza . V. Corte Cost., 6 febbraio 2007, numero 26 Sez. U, numero 27614 del 29/03/2007, P.C. in proc Lista, Rv. 236535 . Si tratta di fondamentali affermazioni di principio senz'altro valevoli anche quando la Corte costituzionale, come avvenuto nel caso di specie sentenza numero 32 del 12-16 febbraio 2020 , adotti una sentenza interpretativa di accoglimento, poiché, quanto agli effetti, ogni interpretazione difforme da quella fatta propria dal Giudice delle leggi è da ritenersi costituzionalmente illegittima. Ciò in continuità con il tradizionale principio ermeneutico secondo cui Il problema dell'efficacia vincolante delle pronunce della Corte costituzionale può porsi solo per le sentenze interpretative di rigetto, cioè per quelle con le quali la predetta Corte dopo aver fornito l'interpretazione delle norme, ha respinto l'eccezione d'incostituzionalità. Se, invece, il dispositivo è di accoglimento, vincola l'autorità giudiziaria ordinaria, poiché il giudice è soggetto alla legge e questa deve essere identificata anche in quella che risulta dalla dichiarazione d'illegittimità costituzionale Sez. 1, ord. numero 161 del 23/01/1974, Cadan, Rv. 127693 . 6.Dovendosi a questo punto tirare le fila del ragionamento sinora svolto, occorre senz'altro convenire con l'impostazione del ricorrente secondo cui hanno - gravemente - errato il Tribunale di sorveglianza, prima, e la Corte di appello, poi, nel ritenere immediatamente applicabile una disciplina che, invece, già alla luce del chiaro portato delle preleggi essendo preclusa l'applicazione analogica in malam partem e del pacifico principio di irretroattività in peius in materia penale, avrebbe dovuto operare esclusivamente per il futuro. Ne' ha pregio l'equiparazione, cui accenna la Corte di appello di Salerno alla p. 3 , tra modalità di esecuzione della pena la cui concreta afflittività per il destinatario da un lato,. la detenzione in carcere dall'altro, l'affidamento ai servizi sociali è vistosamente differente. Al riguardo appare sufficiente il richiamo al contenuto del comunicato stampa ufficiale della Corte costituzionale in data 26 febbraio 2020 in relazione alla sentenza numero 32 del 2020 Se al momento del reato è prevista una pena che può essere scontata fuori dal carcere ma una legge successiva la trasforma in una pena da eseguire dentro il carcere, quella legge non può avere effetto retroattivo. Tra il fuori e il dentro vi è infatti una differenza radicale qualitativa, prima ancora che quantitativa, perché è profondamente diversa l'incidenza della pena sulla libertà personale . La situazione difforme, dunque, non può non rientrare nel caso di cui alla già richiamata sentenza della Consulta numero 310 del 1996, con cui è stata riconosciuta la sussistenza dei diritto alla equa riparazione anche nel caso di detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, per contrasto con gli articolo 3 e 24 Cost., e violazione dell'articolo 5 della Convenzione EDU, che prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste, senza distinzione di sorta. 7. Discende l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata alla Corte di appello di Salerno, che si atterrà al seguente principio di diritto Tra i casi in cui, in applicazione della sentenza numero 310 del 18-25 luglio 1996 della Corte costituzionale, si è riconosciuta la sussistenza del diritto alla equa riparazione anche nel caso di detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, per contrasto con gli articolo 3 e 24 Cost., e violazione dell'articolo 5 della Convenzione EDU che prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta, rientra anche, naturalmente ove ricorrano le condizioni di cui agli articolo 314 e 315 c.p.p., l'ipotesi di mancata sospensione della esecuzione della pena detentiva, pari o superiore a tre anni di reclusione, inflitta per fatto commesso e con accertamento avvenuto prima dell'entrata in vigore della L. 9 gennaio 2019, numero 3 recante Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici , il cui articolo 1, comma 6, lett. b , è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza numero 32 del 12-16 febbraio 2020 in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte alla L. 26 luglio 1975, numero 354, articolo 4-bis, comma 1, Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all'entrata in vigore della L. numero 3 del 2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della L. numero 354 del 1975, della liberazione condizionale prevista dagli articolo 176 e 177 c.p. e del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione previsto dall'articolo 656 c.p.p., comma 9, lett. a . Terrà conto il Giudice di merito che, come espressamente precisato dalla Corte costituzionale nella motivazione della sentenza numero 32 del 2020 sub numero 4.4.5. del considerato in diritto , nell'assetto normativo antecedente alla L. numero 3 del 2019 esisteva una legittima aspettativa da parte dei condannati per reati contro la pubblica amministrazione, come il ricorrente S.V., di poter accedere, con rilevante probabilità, sulla base della disciplina vigente sia al momento del fatto sia al momento della condanna sia al momento della sospensione dell'ordine di esecuzione, a misure alternative alla pena detentiva, e che tale aspettativa è stata illegittimamente frustrata nella vicenda in esame. La Corte di appello dovrà anche valutare l'eventuale sussistenza di un comportamento doloso o gravemente colposo nell'interessato cfr. Sez. 4, numero 25092 del 25/05/2021, Iorio, cit. Sez. 4, numero 17118 del 14/01/2021, Marinkovic, cit. Sez. 4, numero 57203 del 21/09/2017, P.G. in proc. Paraschiva e altro, cit. . 8.Infine, il Giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese tra le parti. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Salerno, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese fra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.