Inutile l’azione giudiziaria contro l’automobilista e la compagnia assicurativa per ottenere un corposo risarcimento. I Giudici ritengono evidente, alla luce dei dettagli dell’episodio, l’imprudenza compiuta dal soggetto che è stato investito dalla vettura.
Il repentino attraversamento della strada – congestionata dal traffico – , compiuto sbucando letteralmente fuori dalla vegetazione di un'aiuola e lontano dalle strisce, libera l'automobilista da ogni responsabilità per l'investimento del pedone. Il fattaccio si verifica in un pomeriggio di metà novembre del 2012, quando un uomo viene investito da una vettura mentre egli attraversa una strada a ridosso dell'ingresso in paese, in prossimità di una rotatoria e riporta seri danni. Corposa, difatti, la richiesta di ristoro economico da lui avanzata nei confronti dell'automobilista e della compagnia di assicurazioni in ballo quasi 780mila euro. Per i giudici di merito, però, la persona investita è chiaramente colpevole, poiché «ha repentinamente attraversato un tratto di strada congestionato dal traffico, con un'ampia aiuola al centro, sbucando letteralmente fuori dalla vegetazione, lontano dalle strisce pedonali e nelle vicinanze di una rotonda posta all'ingresso del paese, la cui circolazione veicolare era particolarmente complessa, atteso che convogliava il traffico proveniente da ben quattro arterie». Concordi, quindi, i giudici di primo e di secondo grado sul ritenere esente da colpe l'automobilista. Inutile il ricorso proposto in Cassazione dalla persona investita, poiché questa è ritenuta completamente responsabile per le lesioni riportate a causa dell' impatto con la vettura . I Giudici ribadiscono, in premessa, che «la responsabilità del conducente che investa il pedone è esclusa non solo in ragione dell'attraversamento della strada fuori dalle strisce pedonali» ma anche se è dimostrata, come in questa vicenda, «la ricorrenza di un comportamento imprevedibile ed anormale del soggetto investito, comportamento tale che l'investitore non abbia l'oggettiva possibilità di avvistarlo e di evitare l'evento, ricorrendo ad una manovra salvifica, sempreché all'investitore non sia rimproverabile la violazione delle regole della circolazione stradale e quelle di comune prudenza». In questa specifica vicenda, aggiungono i Giudici, «non vi è stata, da parte del conducente, l'inosservanza delle regole della circolazione stradale» mentre è emersa «la responsabilità esclusiva del pedone, in considerazione della sua condotta anomala, rappresentata dall'essere apparso improvvisamente sulla traiettoria dell'auto investitrice e dall'esserglisi parato davanti improvvisamente ad una distanza talmente breve da rendere inevitabile l'investimento». In sostanza, si è valutata la rilevanza causale della condotta del pedone e si è anche accertata «l'inesigibilità di una condotta diversa da parte del conducente dell'auto». In particolare, alla luce della dinamica del sinistro, «nessun appunto di imprudenza, negligenza o imperizia può muoversi al conducente dell'auto investitrice, la cui velocità, al momento dell'investimento, era di 20-30 chilometri orari l'attraversamento era stato repentino, provenendo da un'aiuola spartitraffico e sbucando fuori dalla vegetazione la strada era scarsamente illuminata – erano le 17.00 del mese di novembre, il sole era già tramontato e né i fari delle auto né le insegne degli esercizi commerciali posti sul lato opposto, avrebbero potuto illuminarla – e non destinata alla circolazione pedonale quand'anche l' automobilista avesse avvistato l'investito un paio di metri prima dell'urto, non avrebbe potuto mettere in atto una manovra di emergenza volta ad evitare l'impatto». Indiscutibile, quindi, la colpa del pedone per l'incidente subito.
Presidente Scoditti – Relatore Gorgoni Rilevato che S.S. , investito, il omissis , intorno alle 17.00, mentre attraversava una strada a ridosso dell'ingresso nel comune di … , in prossimità di una rotatoria, da C.P. , alla guida della sua … , riportava un danno biologico permanente del 95% ed un danno biologico temporaneo assoluto di 360 giorni. Conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di … , C.P. , chiedendone la condanna, in solido con la omissis SPA, sua assicuratrice per la r.c.a., al risarcimento dei danni nella misura di Euro 776.195,35 o in quella accertata giudizialmente. Il Tribunale con sentenza numero 262/2017 , respingeva la domanda e condanna l'attore al pagamento delle spese di lite nei confronti dei convenuti, giacché riteneva che egli avesse repentinamente attraversato un tratto di strada congestionato dal traffico, con al centro ampia aiuola, sbucando letteralmente fuori dalla vegetazione, lontano dalle strisce pedonali, nelle vicinanze di una rotonda posta all'ingresso del comune di … , la cui circolazione veicolare era particolarmente complessa, atteso che convogliava il traffico proveniente da ben quattro arterie. La Corte d'Appello di Catania, cui si rivolgeva S.S. per ottenere la riforma della sentenza di prime cure, deducendo l'erronea ricostruzione della dinamica del sinistro, la contraddittorietà della sentenza perché fondata su una attività istruttoria contrastante e non univoca nonché la non corretta applicazione dell' articolo 2054 c.c. , rigettava l'appello, confermava la decisione del Tribunale di Siracusa e condannava l'appellante a rifondere agli appellati le spese di lite. Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione S.S. , basato su due motivi. Resiste con controricorso omissis . C.P. non ha svolto attività defensionale in questa sede. Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte. Considerato che 1. Con il primo motivo il ricorrente imputa alla sentenza gravata la violazione e falsa applicazione degli articolo 1223, 1227, 2054 c.c. , e 40 c.p. nonché degli articolo 142 e 146 C.d.S. , in relazione articolo 360 c.p.c. , numero 3, per non avere la sentenza impugnata individuato in C.P. l'esclusivo responsabile del sinistro. Oggetto di censura è la statuizione con cui la Corte territoriale, confermando la sentenza di prime cure, ha ritenuto, sulla base delle testimonianze in atti, che il comportamento del pedone avesse assunto una efficienza causale esclusiva al verificarsi del danno, avendo egli attraversato in modo talmente repentino ed imprevedibile, dopo essere sbucato dalla vegetazione in prossimità di un'aiuola spartitraffico, da non consentire a C.P. di evitare il danno. Secondo il ricorrente, C.P. avrebbe dovuto dimostrare, per andare esente da responsabilità, la ricorrenza del caso fortuito, cioè un evento eccezionale, inevitabile ed imprevedibile in grado di recidere il nesso di causalità, ai sensi dell' articolo 40 c.p. , tra l'evento lesivo e la sua condotta. Infatti, secondo l'orientamento costante di dottrina e giurisprudenza, il caso fortuito come causa interruttiva del nesso di causalità deve consistere un avvenimento improvviso ed estraneo alla sfera di signoria dell'individuo ovvero esorbitante dalla normalità dei comportamenti umani ed essere tale da non consentire alcuna manovra per evitare il danno e da costituire l'unica causa a cui collegare il verificarsi dell'evento. Nel caso di specie, non sarebbe dato capire come la Corte d'Appello, e già il Giudice di primo grado, abbiano con certezza individuato il caso fortuito, ricorrendo alle dichiarazioni di due testi tra l'altro poco chiare quella della signora Ca. che aveva affermato che il pedone si era letteralmente buttato sulla vettura e che la collisione era avvenuta a un metro di distanza dal margine della aiuola funzionante da spartitraffico, quando invece le tracce ematiche dimostravano che il danneggiato stava attraversando la strada, e quella di C.P. , il quale, in un primo tempo, alla polizia municipale aveva affermato di non aver visto il pedone e, solo successivamente, in udienza, di averlo visto, ma con poco preavviso. A tutto concedere, peraltro, l'accertamento del comportamento colposo del pedone non avrebbe dovuto essere sufficiente per affermare la sua esclusiva responsabilità, dovendosi considerare necessaria la prova, che nel caso di specie avrebbe fatto difetto, da parte dell'investitore, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. La sentenza, pertanto, sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, rilevante, secondo il ricorrente ai sensi dell' articolo 360 c.p.c. , numero 3, non essendo mai stato dimostrato che il danno si era prodotto indipendentemente dal comportamento dell'agente. Non solo il comportamento asseritamente colposo del pedone non avrebbe dovuto rilevare ai fini dell'applicabilità dell' articolo 2054 c.c. , come statuito dalla sentenza impugnata, ma semmai ai sensi dell' articolo 1227 c.c. , comma 1, dovendosi applicare il principio di diritto secondo cui nè il comportamento colposo del pedone nè l'anomalia della sua condotta integrano gli estremi della prova, posta, dall' articolo 2054 c.c. , comma 1, a carico dell'investitore, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Il motivo non merita accoglimento. La Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la responsabilità del conducente che investa il pedone è esclusa non solo in ragione dell'attraversamento della strada fuori dalle strisce pedonali, ma solo se sia dimostrata, come nel caso di specie, la ricorrenza di un comportamento imprevedibile ed anormale dell'investito tale che l'investitore non abbia l'oggettiva possibilità di avvistarlo e di evitare l'evento, ricorrendo ad una manovra salvifica, sempreché all'investitore non sia rimproverabile la violazione delle regole della circolazione stradale e quelle di comune prudenza. Non solo, quindi, la sentenza d'appello si è fatta carico di accertare che non vi fosse stata da parte del conducente l'inosservanza delle regole della circolazione stradale - il loro rigoroso rispetto rappresenta una condizione necessaria al fine di riconoscere una condotta di normale diligenza esigibile da chi conduce un veicolo, ma non è sufficiente, onde escludere la responsabilità del conducente - ma applicando con particolare rigore l' articolo 2054 c.c. , non si è limitata a prendere in considerazione il comportamento negligente del pedone giacché l'accertamento che la condotta del pedone non abbia rispettato l' articolo 190 C.d.S. e ss., non consente di ritenere superata la presunzione iuris tantum che grava sul conducente, ai sensi dell' articolo 2054 c.c. - ma ha affermato la responsabilità esclusiva del pedone in considerazione della sua condotta anomala, rappresentata dall'essere apparso improvvisamente sulla traiettoria dell'auto investitrice e dall'esserglisi parato davanti improvvisamente ad una distanza talmente breve da rendere inevitabile l'investimento. Nella sostanza, la Corte territoriale ha non solo valutato la rilevanza causale della condotta del pedone, al fine dell'eventuale ricorrenza di un concorso di colpa, ma ha accertato anche l'inesigibilità di una condotta diversa da parte del conducente dell'auto. In particolare, ha ritenuto, facendo leva sulle testimonianze in atti e sul restante corredo probatorio, che la dinamica del sinistro era quella accertata dal Tribunale, ed, in particolare, che i nessun appunto di imprudenza, negligenza o imperizia potesse muoversi al conducente dell'auto investitrice ii la velocità di C.P. al momento dell'investimento era di 20-30 Km - non essendo tale risultanza smentita dalla gravità delle lesioni riportate - iii l'attraversamento del ricorrente era stato repentino, provenendo da un'aiuola spartitraffico, e sbucando fuori dalla vegetazione iv la strada era scarsamente illuminata - erano le ore 17.00 del mese di novembre, il sole era già tramontato e nè i fari delle auto nè le insegne degli esercizi commerciali posti sul lato opposto, avrebbero potuto illuminarla - e non destinata alla circolazione pedonale v quand'anche C.P. avesse avvistato l'investito un paio di metri prima dell'urto non avrebbe potuto mettere in atto una manovra di emergenza volta ad evitare l'impatto vi l'investimento non era avvenuto mentre il ricorrente era in piena fase di attraversamento, come confermato dalle tracce ematiche vii lo spostamento dell'auto da parte di C.P. prima che venissero effettuati i rilievi non aveva impedito di ricostruire la esatta dinamica del sinistro. 2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito ad un fatto controverso decisivo per il giudizio, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , numero 5, per non avere la sentenza impugnata valutato la condotta di C.P. a seguito del sinistro. Sin dal primo atto introduttivo era stata indicata l'eccessiva velocità della guidata da C.P. come causa dell'incidente ed era stata segnalata la condotta ambigua dell'investitore, il quale i in attesa dell'intervento della polizia municipale, aveva spostato il veicolo prima che venissero effettuati gli opportuni rilievi ii aveva dapprima dichiarato di non avere avvistato il pedone prima dell'impatto, ma di averne solo sentito il rumore del corpo sul parabrezza della propria autovettura, e, successivamente, durante l'udienza, aveva affermato di averlo visto poco prima dell'impatto, senza aver potuto impedire il sinistro. Ma delle due l'una, sostiene il ricorrente o il pedone è apparso improvvisamente dal lato sinistro della carreggiata - il che avrebbe potuto provarsi soltanto con una consulenza tecnica sul veicolo danneggiato oppure il pedone stava effettivamente attraversando la strada. Il motivo è inammissibile, sotto molteplici profili a la preclusione processuale di cui all' articolo 348-ter c.p.c. ii l'inutilizzabilità della censura di cui all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 5, per lamentare l'omesso esame di elementi istruttori, quando i fatti oggetto degli stessi siano stati presi in considerazione dalla sentenza impugnata e ciò al netto della considerazione che l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione non è più una censura che, dopo la modifica dell' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 5 , disposta dal D.L. numero 83 del 2012, articolo 54, conv. in L. numero 134 del 2012 - applicabile alla sentenza impugnata in quanto pubblicata il 24/09/2019 - trovi accesso allo scrutinio di legittimità. 3. Il ricorso va rigettato. 4. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della parte controricorrente, liquidandole in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.