Confermata la condanna di un uomo e di una donna per il reato di furto in abitazione. Inequivocabile l’azione compiuta, cioè l’introduzione nel cortile recintato della casa privata e la sottrazione della lavastoviglie che era stata lì posta momentaneamente dal proprietario.
Condannati per furto in abitazione la moglie e il marito che entrano nel cortile recintato di una casa privata e da lì prelevano una lavastoviglie . Respinta la tesi difensiva, mirata a sostenere la buonafede della coppia che, secondo il legale, avrebbe agito nella convinzione che l'elettrodomestico fosse stato lì posto per essere poi buttato. Ricostruito facilmente l'episodio oggetto del processo, i giudici di merito condannano, sia in primo che in secondo grado, i due coniugi sotto accusa, ritenendoli colpevoli di «furto in abitazione» consistito «nell'impossessamento di una lavastoviglie, previa introduzione nel cortile recintato di un'abitazione privata». Nel contesto della Cassazione, però, il difensore prova a ridimensionare le accuse a carico dei suoi clienti. Più precisamente, egli sostiene che «la moglie non ha fornito alcun contributo all'azione del marito», il quale «ha prelevato» fisicamente «l'elettrodomestico», e aggiunge poi che l'uomo ha agito in buonafede , cioè nella convinzione che «la lavastoviglie fosse stata abbandonata, poiché lasciati al di fuori delle pertinenze della casa». Queste osservazioni non convincono però i Giudici di terzo grado, i quali escludono l'ipotesi della buonafede nella condotta tenuta dall'uomo. Ciò perché «l'elettrodomestico non è stato prelevato dalla strada» bensì «introducendosi all'interno di un cortile recintato», e poi, annotano i Giudici, «l'apparecchio risultava pulito e in buono stato», quindi non certo destinato a essere buttato via, ed «era stato portato fuori casa a seguito di un'alluvione». Per quanto concerne, poi, il ruolo della donna, è lei stessa, osservano i Giudici, a dichiarare «abbiamo pensato che era da buttare», così attribuendosi «un ruolo nella decisione di impossessarsi della lavastoviglie».
Presidente Sabeone – Relatore Morosini Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna di C.C. e T.N. per il reato di furto in abitazione, consistito nell'impossessamento di una lavastoviglie, previa introduzione nel cortile recintato di un'abitazione privata. 2. Avverso la sentenza ricorrono gli imputati, con un unico atto a firma del comune difensore, articolando tre motivi. 2.1. Con il primo e il terzo denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al ritenuto concorso nel reato di T.N. . Si sostiene che C.C. avrebbe prelevato l'elettrodomestico, ritenendolo abbandonato mentre T.N. non avrebbe fornito alcun contributo all'azione del marito. 2.2. Con il secondo motivo deducono erronea applicazione della legge penale in punto di elemento soggettivo del reato. C. avrebbe agito in buona fede, nella convinzione che il bene fosse stato abbandonato, perché lasciato al di fuori delle pertinenze dell'abitazione. 3. I ricorsi sono stati trattati, senza intervento delle parti, nelle forme di cui alla L. numero 176 del 2020 , articolo 23, comma 8 e successive modifiche. 4. I ricorsi sono inammissibili. 5. I motivi proposti non sono consentiti in sede di legittimità, sia perché costituiti da mere doglianze in punto di fatto sia perché privi di specificità in quanto meramente riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi, con corretti argomenti giuridici, dal giudice di merito - sulla asserita buonafede, si veda pagina 2 la lavastoviglie non è stata prelevata dalla strada, ma introducendosi all'interno di un cortile recintato, l'elettrodomestico risultava pulito e in buono stato, ed era stato portato fuori dall'abitazione a causa di una alluvione che aveva interessato la zona - sul consapevole concorso di T.N. , si veda pagina 3 è la stessa imputata ad attribuirsi il ruolo di compartecipe nella decisione di impossessarsi del bene abbiamo pensato che era da buttare . 7. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Motivazione semplificata.