L'assegno di mantenimento può essere ridotto quando l’ex si avvicina al posto di lavoro

Il trasferimento della sede lavorativa dell’ex coniuge deve essere preso in considerazione dal giudice ai fini della quantificazione dell'assegno.

La vicenda. Il Tribunale di Pescara dopo aver dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra F.R. e A.P., poneva a carico del marito l'obbligo di versare alla ex-moglie 250 euro mensili e altri 500 euro quale contributo al mantenimento della figlia maggiorenne non autosufficiente. In seguito, la Corte d’Appello respingeva il ricorso proposto dal marito, affermando che la somma liquidata a titolo di assegno di divorzio «era adeguata, tenuto conto del fatto che la ex moglie si era sempre dedicata alla cura della famiglia e della figlia, fin dal matrimonio contratto nel giugno 1988, iniziando a lavorare nel 2014 nella provincia di Varese con contratti a tempo determinato, quale collaboratrice scolastica, e considerato il reddito dichiarato». Reddito che in «gran parte era utilizzato per le spese del soggiorno distante da casa». Il marito ricorre in Cassazione, lamentandosi del fatto che la decisione non aveva considerato l'avvenuto trasferimento della sede lavorativa della ex moglie, fatto che aveva determinato il venir meno delle spese del soggiorno nella prima sede lavorativa. La decisione della Corte. Il ricorso è fondato, in quanto la Corte territoriale ha omesso di esaminare la circostanza del trasferimento dalla sede di lavoro, ai fini della determinazione dell'assegno divorzile, «fatto certo decisivo per la definizione della causa, se si considera che il Tribunale ne aveva ampiamente tenuto conto nel liquidare l'assegno stesso a favore dell'ex-moglie nella somma mensile di 250 euro». Pertanto, il rilievo della controricorrente, per il quale ai fini della determinazione dell'assegno «sarebbe stato rilevante il solo contributo apportato dalla stessa alla vita coniugale, valutabile economicamente come risparmio di spese», è destituito di fondamento, dal momento che il giudice di secondo grado ha effettuato «una valutazione composita, che ha riguardato anche l'aggravio delle spese di soggiorno della controricorrente nella sede lavorativa». Secondo la Suprema Corte quindi il trasferimento della sede lavorativa, con il rientro a casa dell’ex coniuge, deve essere preso in considerazione dal giudice ai fini della quantificazione dell'assegno di divorzio. Ciò premesso, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata.

Presidente Ferro – Relatore Caiazzo Rilevato che Su ricorso di R.F., il Tribunale di Pescara dichiarò, nel 2018, la cessazione degli effetti civili del matrimonio con P.A., ponendo a carico del ricorrente l'obbligo di versare alla ex-moglie la somma mensile di Euro 250,00, nonché la somma mensile di Euro 500,00 quale contributo al mantenimento della figlia maggiorenne, ma non autosufficiente, oltre al rimborso del 50% delle spese straordinarie. Il R. propose appello chiedendo la riforma della sentenza impugnata in ordine all'obbligo di versare l'assegno di divorzio o che, in subordine, ne fosse disposta la riduzione della somma l'appellata propose appello incidentale per l'aumento dello stesso assegno a Euro 350,00 mensili. Con sentenza del 28.10.19, la Corte d'appello respinse entrambi gli appelli, in quanto la somma liquidata a titolo di assegno di divorzio era adeguata, tenuto conto del fatto che la ex-moglie si era sempre dedicata alla cura della famiglia e della figlia, fin dal matrimonio contratto nel giugno 1988, iniziando a lavorare nel 2014 nella provincia di Varese con contratti a tempo determinato, quale collaboratrice scolastica, e considerato il reddito dichiarato che la P. era titolare di una casa dove abitava con la figlia, e di un garage che ne era pertinenza che gran parte del reddito di quest'ultima era utilizzato per le spese del soggiorno distante da casa tale assetto della vita coniugale, protrattosi per lungo periodo, era stato una scelta consapevole dei coniugi, mentre il contributo della ex-moglie al rapporto coniugale era economicamente valutabile come risparmio di spesa a favore del marito il quale disponeva di un reddito superiore. R.F. ricorre in cassazione con tre motivi, illustrato con memoria. P.A. resiste con controricorso. Ritenuto che Il primo motivo deduce l'omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in ordine al trasferimento della sede lavorativa della P. a Pescara, che aveva determinato il venir meno delle spese del soggiorno nella prima sede lavorativa. Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell'articolo 115 c.p.c., comma 1, per aver la Corte d'appello deciso sulla base di varie circostanze non dedotte dalla ex-moglie, relative al ruolo da lei avuto nell'ambito del rapporto coniugale e al suo contributo allo stesso. Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. numero 898 del 1970, articolo 5, comma 6, e articolo 316-bis c.c., per non aver la Corte d'appello, nel decidere sull'assegno divorzile, tenuto conto della sopravvenienza di altra figlia del ricorrente, nell'ambito di altra relazione, e delle spese che ne erano derivate. Anzitutto, va disattesa l'eccezione preliminare d'inammissibilità sollevata dalla controricorrente, in quanto i vari motivi non sono diretto al puro riesame dei fatti, ovvero a ribaltare l'interpretazione degli stessi operata dalla Corte d'appello. Il primo motivo è fondato. Invero, la Corte territoriale ha omesso di esaminare la circostanza del trasferimento della P. dalla sede di lavoro, nella provincia di Varese, ai fini della determinazione dell'assegno divorzile, fatto certo decisivo per la decisione della causa, se si considera che il Tribunale ne aveva ampiamente tenuto conto nel liquidare l'assegno stesso a favore dell'ex-moglie nella somma mensile di Euro 250,00. Pertanto, il rilievo della controricorrente, per il quale al fine della determinazione di tale assegno sarebbe stato rilevante il solo contributo apportato dalla stessa alla vita coniugale, valutabile economicamente come risparmio di spese, è destituito di fondamento, avendo invece il giudice di secondo grado effettuato una valutazione composita, che ha riguardato anche l'aggravio delle spese di soggiorno della controricorrente nella sede lavorativa, come emerge dalla motivazione della sentenza del Tribunale. Il secondo motivo è parimenti fondato. La Corte d'appello ha pronunziato sull'assegno divorzile sulla base di fatti relativi al contributo economico che l'ex-moglie avrebbe apportato al rapporto coniugale, non risultanti però oggetto delle istanze istruttorie della ex-moglie, peraltro, non allegate nel controricorso. Al riguardo, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, l'errore di percezione, in relazione all'articolo 115 c.p.c., cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, non può ravvisarsi laddove la statuizione di esistenza o meno della circostanza controversa presupponga un giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze, che si colloca interamente nell'ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità Cass., numero 25166/19 . Nel caso concreto, pertanto, il giudice di secondo grado ha deciso, violando l'articolo 115 c.p.c., norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte cfr. anche Cass. numero 27033 del 2018 . Il terzo motivo è invece inammissibile. Il ricorrente si duole che la Corte d'appello non abbia tenuto conto degli oneri economici sopravvenuti a seguito della nascita della seconda figlia, nata in un'altra successiva relazione familiare. Invero, la Corte territoriale ha escluso la fondatezza dell'istanza del R. di riduzione dell'assegno divorzile per la sopravvenienza di altra figlia del ricorrente, tenuto conto di tutte le circostanze esaminate e delle spese da affrontare per il mantenimento delle due figlie. Pertanto, la Corte territoriale, seppure con laconica motivazione, ha espressamente ritenuto che non ricorressero i presupposti di cui alla L. numero 898 del 1970, articolo 5, comma 6 ora, sebbene la doglianza in questione sia declinata rispetto alla violazione della suddetta norma, essa tende sostanzialmente al riesame dei fatti posti a sostegno dell'istanza di riduzione dell'assegno, ovvero a ribaltarne l'interpretazione adottata dal giudice di secondo grado. Per quanto esposto, in accoglimento dei primi due motivi, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d'appello di L'Aquila che provvederà anche sulle spese del grado di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi, dichiara inammissibile il terzo e cassa la sentenza impugnata. Rinvia alla Corte d'appello di L'Aquila, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, numero 196, articolo 52.