Laddove le misure per fronteggiare la pandemia da COVID-19 durano troppo a lungo e prevedono misure penali eccessivamente severe per chi le trasgredisce, stante l’importanza della libertà di riunione e degli interessi tutelati dal sindacato ricorrente tutela dei lavoratori , risultano non necessarie e contrarie ad uno stato democratico. Inoltre, le Corti interne non hanno proceduto ad un loro controllo effettivo nelle relative liti, sì che lo Stato ha oltrepassato i suoi margini discrezionali violando l’art.11 Cedu libertà di riunione ed associazione .
È quanto deciso dalla CEDU nel caso Communauté genevoise d'action syndicale CGAS c. Svizzera del 15 marzo. La ricorrente è un'organizzazione di diritto svizzero il cui «scopo statutario è quello di difendere gli interessi dei lavoratori e delle organizzazioni che ne fanno parte, in particolare nel campo delle libertà sindacali e democratiche» e che era solita organizzare una dozzina di manifestazioni pubbliche soprattutto a Ginevra. Il 28/2/20 a causa dello scoppio della pandemia il Governo ha imposto il lockdown inizialmente era prevista una situazione speciale, poi, con l'aggravarsi della situazione, è divenuta straordinaria con inasprimento delle misure già assunte riconoscendo una situazione speciale che è durato sino al 20/6/20 la sentenza però chiarisce che «il 19 giugno 2020 il Consiglio federale ha dichiarato il ritorno alla situazione speciale a partire dal 22 giugno 2020» tutte le manifestazioni sino a quella data erano vietate, dopo furono nuovamente consentite con l'obbligo d'indossare la mascherina. La ricorrente si è vista, come tutti gli altri negozi, cinema etc. , bloccare in toto la propria attività ed è stata costretta a rinunciare alle manifestazioni ivi compresa quella principale del 1° maggio. Si noti che la deroga a queste misure comportava pene detentive sino a 3 anni od una multa . Per le manifestazioni/riunioni pubbliche, era richiesto un nulla osta delle competenti autorità e le violazioni erano punite con una multa di 100 franchi. Qualità di vittima ed assenza di rimedi interni. La CEDU evidenzia come queste misure hanno limitato pesantemente la libertà di riunione del sindacato non ha potuto organizzare manifestazioni per conseguire i propri fini statutari onde evitare sanzioni e soprattutto condanne penali. Inoltre, malgrado le ordinanze federali, che hanno imposto queste restrizioni ed il locdown, potessero essere soggette ad un controllo costituzionale le Corti superiori svizzere si sono rifiutate di analizzare le questioni di legittimità costituzionale di questi divieti relativi alla libertà di riunione, seppure li avesse dichiarati incostituzionali in altri settori come la cultura. Vietato un divieto generalizzato di manifestazioni. «Secondo la ricorrente, il governo aveva sempre consentito l'accesso ai luoghi di lavoro, come fabbriche o uffici, anche dove quei luoghi ospitavano centinaia di persone. La ricorrente afferma che il mantenimento di tale tipo di attività era possibile semplicemente a condizione che i datori di lavoro adottassero misure organizzative e tecniche per garantire il rispetto delle raccomandazioni in materia di igiene e distanziamento sociale . Essa aggiunge che, in altre parole, mentre era così lecito radunare trenta persone in una grande area commerciale, in un cantiere o in una fabbrica, riunire queste stesse persone – garantendo il rispetto dei gesti di barriera – su un picchetto o in una manifestazione era invece punibile con una pena di tre anni di carcere». Inoltre, evidenzia come un analogo divieto generale non sia stato adottato da altri Stati membri del COE, ove erano solo imposte misure precauzionali onde evitare rischi per la salute ed ulteriore diffusione del virus distanziamento, mascherine e disinfezione . Pur riconoscendo la gravità e la complessità della situazione scaturita dalla pandemia e la necessità che le misure fossero adottate dopo un approfondito dibattito in Parlamento e che le stesse avrebbero dovuto essere sottoposte ad un controllo giudiziario presso tribunali indipendenti ad autonomi, la CEDU rileva come le contestate limitazioni siano prive di una base giuridica/legale . «La Corte ricorda inoltre che, per soddisfare i requisiti di qualità del diritto, il diritto interno deve offrire una certa protezione contro le violazioni arbitrarie da parte delle autorità pubbliche dei diritti garantiti dalla Convenzione e che, quando si tratta di questioni relative ai diritti fondamentali, il diritto sarebbe contrario allo Stato di diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica sancito dalla Convenzione, se non vi fosse alcun limite alla discrezionalità concessa all'esecutivo» nella fattispecie le contestate limitazioni non erano comprensibili e prevedibili e non vi erano garanzie contro gli abusi stante le pene radicali previste per le deroghe ed il divieto assoluto di manifestare e riunirsi. Sarebbe stato possibile adottare misure così severe solo se lo Stato avesse invocato l' art.15 Cedu che consente una deroga agli obblighi imposti dalla Convenzione in caso di guerra o grave minaccia alla vita della nazione . Nella fattispecie invece ha derogato ai limiti discrezionali riconosciuti dalla Cedu adottando misure radicali per un periodo eccessivo e senza il dovuto controllo giurisdizionale, sì che queste misure erano sproporzionate e non necessarie in uno stato democratico .
CEDU, 15 marzo 2022, caso Communauté genevoise d’action syndicale CGAS c. Svizzera ricomma 21881/20