Straniero irregolare, povero e condannato per droga: legittima l’espulsione

Evidente, secondo i Giudici, la pericolosità sociale dello straniero. E probabile, anche considerando la mancanza di lavoro e di adeguate risorse economiche, la commissione di nuovi reati.

Legittima l'espulsione dello straniero presente irregolarmente in Italia, condannato per droga e destinato, secondo i Giudici, anche a causa delle pochissime risorse economiche a disposizione, a commettere nuovi reati. Concordi Magistrato di sorveglianza e Tribunale di sorveglianza legittima l' espulsione dall'Italia dello straniero – un cittadino marocchino – condannato per reati in materia di droga . Ciò perché, secondo i Giudici, è palese l'attuale pericolosità sociale dello straniero e non elisa dalla sua partecipazione, in costanza di detenzione, alle attività trattamentali . Col ricorso in Cassazione, però, il difensore sostiene che il Tribunale di sorveglianza ha deciso solo sulla base dei trascorsi giudiziari del suo cliente, senza considerare il positivo risultato dell' attività rieducativa da lui svolta in occasione dell'espiazione della pena e senza tenere presente la necessità di preservare il rapporto dello straniero con la figlia, di 5 anni e cittadina italiana . Il legale osserva poi che il suo cliente si è dedicato in passato ad un lavoro onesto e ha commesso il reato che gli è valso la condanna e, quindi, l'espulsione perché spinto da drammatiche difficoltà economiche , e in questa ottica pone in evidenza la mancanza di collegamenti con ambienti criminali e l'assenza di ulteriori procedimenti penali . Per il difensore dello straniero, quindi, va messa in discussione la pericolosità sociale riconosciuta dal Tribunale di sorveglianza e posta alla base della espulsione dall'Italia. Questa tesi viene però respinta dai Giudici della Cassazione, i quali richiamano un dettaglio fondamentale, ossia che lo straniero è gravato da un precedente definito per un reato in materia di droga, commesso nel 2018, che gli è valso la condanna definitiva alla pena detentiva di tre anni ed otto mesi di reclusione e che è sintomatico della sua contiguità a perniciose organizzazioni criminali . Senza dimenticare, poi, una condanna per ricettazione ed una denuncia per rissa , aggiungono i Giudici. Per completare il quadro, poi, viene aggiunto che lo straniero, originario del Marocco, dove vivono i suoi familiari, è privo di permesso di soggiorno, non ha riferimenti abitativi e lavorativi, non lavora dal 2013, non dispone di alcun reddito ed è sì padre di una bambina di nazionalità italiana ma con quest'ultima non risulta avere alcun rapporto . A rilevare, quindi, è soprattutto la carenza di presidi, di ordine familiare, lavorativo, sociale - oltre che di titolo amministrativo alla permanenza sul territorio italiano - che valgano a contenere il rischio di reiterazione della condotta criminosa, che si lega anche ad una situazione di precarietà economica suscettibile di assecondare la sua propensione ad entrare in contatto con più vasti ambienti criminali . In questo quadro si inserisce il riferimento fatto dallo straniero alla figlia, ma su questo tema i giudici ribattono che l'assenza di prova in ordine all'intensità della pregressa relazione con la bambina impedisce di valorizzare tale aspetto nel bilanciamento, anche nell'ottica della tutela dei diritti del minore, con le esigenze di sicurezza pubblica . In ordine, infine, alla condizione di irregolare presenza sul territorio italiano, dovuta alla mancanza di un valido titolo di soggiorno , deve osservarsi, precisano i Giudici, che essa, pur non costituendo, di per sé, elemento idoneo a fondare un giudizio sfavorevole di prognosi criminale, può assumere una tale valenza qualora lo straniero, come in questo caso, per effetto dello stato di irregolarità , versi nell'impossibilità di procurarsi lecitamente i mezzi di sussistenza, con conseguente rischio di determinarsi alla commissione di nuovi reati .

Presidente Zaza – Relatore Cappuccio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 24 marzo 2021 il Tribunale di Sorveglianza di Ancona ha rigettato l'appello presentato da S.H. avverso la misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dallo Stato applicata nei suoi confronti dal Magistrato di sorveglianza della stessa città ai sensi del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 86 . Ha, in proposito, rilevato che S. è portatore di attuale pericolosità sociale, non elisa dalla partecipazione, in costanza di detenzione, alle attività tratta mentali. 2. S.H. propone, con l'assistenza dell'avv. omissis , ricorso per cassazione affidato a tre motivi, che possono essere esposti congiuntamente, con i quali deduce violazione di legge, sostanziale e processuale, e vizio di motivazione per avere il Tribunale di sorveglianza adottato il provvedimento impugnato sulla base dei suoi soli trascorsi giudiziari e senza considerare il positivo risultato dell'attività rieducativa svolta in occasione dell'espiazione della pena nè la necessità di preservare il rapporto con la figlia, dell'età di cinque anni e cittadina italiana. Rivendica di essersi, in passato, dedicato ad onesto lavoro e di avere commesso il reato che gli è valso la condanna e, quindi, l'espulsione perché spinto da drammatiche difficoltà economiche. Deduce di non avere collegamenti di sorta con ambienti criminali e di non essere sottoposto ad ulteriori procedimenti penali. Lamenta, pertanto, che il provvedimento impugnato, frutto del mero richiamo al titolo di reato e a dati privi di significativi nell'ottica dell'accertamento della sua attuale pericolosità sociale, è carente della prescritta motivazione, non avendo il Tribunale di sorveglianza doverosamente esercitato i propri ampi poteri istruttori. 3. Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate. 2. D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 86, stabilisce, al comma 1, che Lo straniero condannato per uno dei reati previsti dagli artt. 73, 74 e 79 e art. 82, commi 2 e 3, a pena espiata deve essere espulso dallo Stato . La disposizione deve essere interpretata alla luce dell'intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 58 del 1995 , ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui obbliga il giudice a emettere l'ordine di espulsione, senza l'accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale, che si manifesta principalmente con la reiterazione dei fatti criminosi. La giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente affermato, in proposito, che Ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 86, per la avvenuta commissione di reati in materia di stupefacenti, è necessario non solo il previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, in conformità all'art. 8 CEDU in relazione all' art. 117 Cost. , ma anche l'esame comparativo della condizione familiare dell'imputato, ove ritualmente prospettata, con' gli altri criteri di valutazione indicati dall' art. 133 c.p. , in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017, Talbi, Rv. 271257 Sez. 3, n. 30493 del 24/06/2015, Taulla, Rv. 264804 Sez. 4, n. 50379 del 25/11/2014, Xhaferri, Rv. 261378 . 3. Nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza ha motivatamente ritenuto la persistenza della pericolosità sociale del condannato il quale, gravato da un precedente definito per il reato sanzionato dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, aggravato ex art. 80, comma 2, del medesimo testo normativo perché avente ad oggetto oltre 223 kg di hashish, commesso nel 2018, che gli è valso la condanna definitiva alla pena detentiva di tre anni ed otto mesi di reclusione ed è sintomatico della sua contiguità a perniciose organizzazioni criminali, annovera, altresì, una condanna per ricettazione ed una denuncia per rissa. Il Tribunale di sorveglianza ha aggiunto che S. , originario del Marocco, dove vivono i suoi familiari, è privo di permesso di soggiorno, non ha riferimenti abitativi e lavorativi, non lavora dal 2013, non dispone di alcun reddito, è padre di una bambina di nazionalità italiana con la quale, tuttavia, non risulta avere alcun rapporto. Considerato, vieppiù, che il condannato, pur avendo partecipato alle attività trattamentali, non ha tenuto, in carcere, condotta costantemente regolare, tanto da avere subito, nel dicembre 2018, un rapporto disciplinare per avere assunto atteggiamenti offensivi nei confronti di un compagno di detenzione, il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto, in conclusione, la concretezza del pericolo di recidivanza da parte dell'appellante. 4. A fronte di un apparato argomentativo alieno da qualsivoglia deficit logico e coerente con le evidenze disponibili, il ricorrente si limita a contestare, in termini di tangibile genericità, l'adeguatezza della motivazione sottesa al provvedimento impugnato ribadisce di avere tenuto un buon comportamento carcerario senza, tuttavia, confutare adeguatamente i rilievi espressi dal Tribunale di sorveglianza in ordine alla carenza di presidi, di ordine familiare, lavorativo, sociale oltre che di titolo amministrativo alla permanenza sul territorio italiano , che valgano a contenere il rischio di reiterazione della condotta criminosa, che si lega anche ad una situazione di precarietà economica suscettibile di assecondare la sua propensione, attestata dalla condotta accertata in sede processuale, ad entrare in contatto con più vasti ambienti criminali. Il ricorrente - oltre ad offrire inconsistenti giustificazioni dei propri trascorsi criminosi ed a tratteggiare ottimistiche, ma prive di solidi riscontri fattuali, previsioni sul proprio contegno futuro - pone, altresì, l'accento sulla relazione con la figlia la quale, tuttavia, non risulta con lui convivente, onde, considerato, vieppiù, che egli non ha mai fruito di permesso di soggiorno per motivi familiari, non ricorre, nella fattispecie, il divieto di espulsione degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge di nazionalità italiana, previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 2, lett. c , che si applica a tutte le espulsioni giudiziali, ivi compresa quella dello straniero condannato per i reati in materia di sostanze stupefacenti in questo senso, cfr. Sez. 1, n. 40529 del 09/05/2017, Hassine, Rv. 270983 . L'assenza di prova in ordine all'intensità della pregressa relazione con la bambina impedisce, d'altro canto, di valorizzare tale aspetto nel bilanciamento, anche nell'ottica della tutela dei diritti del minore, con le esigenze di sicurezza pubblica. In ordine, poi, alla condizione di irregolare presenza sul territorio italiano, dovuta alla mancanza di un valido titolo di soggiorno, deve osservarsi, con la giurisprudenza di legittimità Sez. 1, n. 23826 del 26/06/2020, Aynla Olayanka, Rv. 279987 , che essa, pur non costituendo, di per sé, elemento idoneo a fondare un giudizio sfavorevole di prognosi criminale, può assumere una tale valenza solo qualora, come nel caso di specie, lo straniero, per effetto dello stato di irregolarità, versi nell'impossibilità di procurarsi lecitamente i mezzi di sussistenza, con conseguente rischio di determinarsi alla commissione di nuovi reati. Le obiezioni difensive non valgono, pertanto, ad attestare l'illogicità o la contraddittorietà della motivazione dell'ordinanza resa dal Tribunale di sorveglianza che, ritenuta la persistente pericolosità sociale del condannato, destinatario della misura di sicurezza dell'espulsione D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 86, ha debitamente considerato, deve conclusivamente affermarsi, ogni peculiarità della situazione emersa, pervenendo ad una decisione scevra da vizi rilevabili in sede di legittimità. 5. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale , rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell' art. 616 c.p.p. , l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.