È legittimo l’avviso di accertamento notificato ai soci, ancorché siano congiuntamente occorse l’estinzione della società e la dichiarazione di fallimento entro il termine dell’anno decorrente dalla cancellazione della stessa dal registro delle imprese.
Il caso esaminato trae origine da un ricorso presentato alla Commissione Tribunale Provinciale di Padova a seguito dalla ricezione da parte dei soci della società, medio tempore fallita, pur nei limiti di cui all'articolo 10 l.fall., di taluni avvisi di accertamento iure successionis - con i quali veniva contestato il maggior reddito non dichiarato - notificati dall'Amministrazione Finanziaria, inerenti alla società decotta, in conseguenza della di questi cancellazione dal registro delle imprese. La Commissione Provinciale adita accoglieva il gravame dei ricorrenti asserendo che, ancorché cancellata dal registro delle imprese, la società era stata dichiarata fallita entro l'anno dalla cancellazione stessa, talché ad avviso del giudicante di secondo grado tale fattispecie facesse configurare una generale rappresentanza della società insolvente in capo al Curatore del fallimento, così da imputare nei confronti dell'Agenzia delle entrate l'onere di annullamento dell'avviso di accertamento notificato alla società fallita ed ai soci e riemetterlo nei confronti del curatore quale rappresentante legale ai fini. L'Amministrazione Finanziaria proponeva ricorso per Cassazione che provvedevano ad accoglierlo e cassarlo con rinvio. I Giudici di legittimità, difatti, ricevuto il gravame, decidevano nel senso di ritenere ed inquadrare i soci - al momento della notifica dell'avviso di accertamento - dal punto di vista della legittimazione passiva, quali soggetti correttamente individuati cui fosse riferibile il debito di pertinenza della società estinta. La questione giuridica, assolutamente peculiare, si innesta nel solco e trova fondamento in consolidati precedenti orientamenti, tali da indurre la Suprema Corte a dichiarare fondato il motivo proposto dall'Agenzia delle Entrate. A parere della Suprema Corte, in presenza di società estinta, dunque, deve ritenersi legittima la notifica eseguita nei confronti dei soci della fu persona giuridica, poiché questi ultimi sono i soggetti destinati a succedere naturalmente alle obbligazioni sociali, atteso che la rappresentanza generale attribuita al curatore del fallimento debba sussistere esclusivamente nell'alveo del procedimento concorsuale e non già altresì nelle eventuali altre sedi processuali. La quaestio che sottende, dunque, all'annosa - probabilmente risolta in via definitiva - problematica inerisce al c.d. fenomeno successorio. Difatti, a seguito dell'estinzione della società - rectius, cancellazione - occorre un meccanismo denominato successorio, talché, automaticamente, l'obbligazione della società non si estingue né si esaurisce, bensì trasla contro i soci, che rispondono, nei limiti delle prescrizioni del codice civile. Da tali orientamenti, consolidati nel tempo, pare evidente che viga un generale principio di identità dei già soci quali soggetti a succedere automaticamente nella totalità delle obbligazioni pendenti, ma non definiti post liquidazione, al momento della cancellazione - e contestuale estinzione - della persona giuridica, i rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, a prescindere dalla occorrenza o meno che i medesimi abbiano percepito un qualche frutto in base al bilancio finale di liquidazione. Diversamente, allorquando occorra una effettiva liquidazione e si esaurisca ritualmente, ancorché costituisca fondamento sostanziale, nonché limite, della responsabilità di ciascuno dei successori, in ambito di accertamento, non può però anche ritenersi presupposto dell'assunzione in capo al socio, della qualità stessa di successore e, dunque, della legittimità della notifica nei confronti del medesimo dell'atto impositivo. Vale la pena evidenziare che, onde meglio comprendere la ratio della pronuncia esaminata, mediante l'istituto della notificazione dell'avviso de quo al socio persona giuridica, quest'ultimo era - alla lettera, della legge, correttamente - individuato quale novato e subentrante soggetto passivo del debito erariale tributario precedentemente gravante sulla società cancellata. In primo luogo, dunque, al fine di verificare l'ambito applicativo - a contrario - della normativa concorsuale speciale ed assorbente, i Giudici di legittimità esaminavano preliminarmente il casus richiamando l'articolo 10, r.d. numero 267/1942. La preminenza della normativa concorsuale risulta effettivamente sancita e delineata dalla pronuncia delle Sezioni Unite Cass. sez. Unite 12 marzo 2013 numero 6070 poc'anzi richiamata, ed è atta a dirimere la questione sottesa ai fini della considerazione dell'eventuale decadenza della legittimazione alla pretesa nei confronti del socio - iure successionis - post estinzione, ma ante declaratoria di fallimento. La pronuncia ha evidenziato che il venir meno della capacità di rappresentare e stare in giudizio della società cancellata - teoricamente scaturente la naturale necessità di interruzione ex lege del processo - trova una specifica exceptio iuris nella prescrizione ex articolo 10, r.d. numero 267/1942. Tale exceptio consente – stante una sorta di vera e propria fictio iuris - alla società cancellata, la esclusiva legittimazione processuale da parte del Curatore, nel solo e specifico alveo delle dinamiche concorsuali. La Suprema Corte, nel caso di specie, riteneva, dunque, di considerare come «il limitato ambito di applicazione dell'articolo 10 l.fall. non legittima la considerazione che il sopravvenuto fallimento della società estinta entro un anno dalla cancellazione del registro delle imprese comporti il venire meno della soggettività passiva del socio della società estinta e, correlativamente, della sua legittimazione processuale, essendo questo la “giusta parte” del processo instaurato avverso l'avviso di accertamento allo stesso correttamente notificato quale successore», talché, alla luce degli atti processuali, risultava che le Corti di merito non si fossero conformate ai suddetti principi - peraltro consolidati - applicando erroneamente la disposizione dell'articolo 10, r.d. numero 267/1942 quale causa di una giuridica anabiosi della società estinta. Da quanto suesposto, sembra plausibile concludere che, allorquando la materia del contendere inerisca ad un debito - non definito in sede di liquidazione - della persona giuridica cancellata, lo iure successionis operi automaticamente, talché lo stesso interessi l'intera fu compagine sociale esistente al momento della cancellazione della società dal registro delle imprese. Va da sé che, de plano, ne derivi un litisconsorzio di natura processuale che si staglia allorquando non tutti i soci agiscano - quali attori ovvero convenuti - in rappresentanza della società estinta. Tale fattispecie coatta, difatti, sussiste prescindendo dalla eventuale circostanza che l'ex socio di società di capitali, in astratto risponda nei soli limiti della quota spettante, in quanto l'istituto processuale del litisconsorzio si configura come necessario proprio alla luce della non solidarietà tra la compagine sociale delle obbligazioni debitorie. A tal fine, infatti, la norma garantisce che l'intera pletora sociale sia titolare del diritto ad esser parte del giudizio sì da far valere le proprie ragioni, eccepire quanto di propria competenza ed - eventualmente - rispondere, iure successionis, nei limiti della propria quota di partecipazione. In estrema sintesi, sembra chiaro che, onde avvalorare quanto suesposto, nel caso di specie, la declaratoria di fallimento della società estinta sia effettivamente stata pronunciata in pendenza di un procedimento tributario già avviato dai soci, legittimamente, soggetti passivi destinatari di un accertamento già inerente a pendenze della persona giuridica estinta. Laddove, invece, la procedura di fallimento fosse occorsa in pendenza di un'analoga lite - stavolta promosso dalla società anteriormente alla di questi cancellazione - sarebbe correttamente occorsa una causa interruttiva ex lege del giudizio pendente e, solo in questo caso, l'Amministrazione Finanziaria sarebbe stata onerata di provvedere ad integrare il contraddittorio, chiamando in causa la totalità dei soci, talché costituendo un rapporto giuridico tributario concernente la persona giuridica cancellata, si sarebbe determinato un meccanismo successorio con conseguente ricaduta degli effetti sulla pletora sociale.
Presidente Virgilio – Relatore Triscari Fatti di causa Dall'esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che l'Agenzia delle entrate aveva notificato rispettivamente a s.r.l., titolare della quota del 90% della società omissis s.r.l., nonché ai due soci P.D. amministratore della s.r.l. e M.M.A., degli avvisi di accertamento con i quali aveva contestato il maggior reddito non dichiarato della società Agenzia omissis s.r.l., di cui gli stessi erano soci, in conseguenza della cancellazione della suddetta società dal registro delle imprese avverso l'atto impositivo P.D., in nome proprio e a nome della società, nonché M.M.A., avevano proposto separati ricorsi che, previa riunione, erano stati rigettati dalla Commissione tributaria provinciale di Padova avverso la decisione del giudice di primo grado avevano proposto appello P.D., in proprio e a nome della società, e M.M.A La Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l'appello, in particolare ha ritenuto che ai fini della decisione, dovevano essere considerate e definite separatamente le posizioni relative alla società s.r.l. rappresentata da P.D. rispetto a quella di M.M.A. con riferimento alla società, la circostanza che la società Agenzia omissis s.r.l. di cui la prima era socia , sebbene cancellata dal registro delle imprese, era stata dichiarata fallita entro l'anno dalla cancellazione, comportava che la sua rappresentanza doveva essere attribuita al curatore del fallimento, sicché l'Agenzia delle entrate avrebbe dovuto annullare l'avviso di accertamento notificato a s.r.l. e riemetterlo nei confronti del fallimento. L'Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a due motivi, cui ha resistito la controricorrente depositando controricorso, illustrato con successiva memoria. Con ordinanza del 14 maggio 2021 questa Corte ha disposto il rinvio a nuovo ruolo della causa per la trattazione alla pubblica udienza, per l'esame della questione della integrità del contraddittorio e degli effetti della dichiarazione di fallimento, avvenuta entro l'anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, ai sensi dell'articolo 10, legge fallimentare, ai fini della legittimità dell'avviso di accertamento fatto valere, iure successionis, nei confronti dei soci della società, in data antecedente alla dichiarazione di fallimento. Ragioni della decisione Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 , per violazione e falsa applicazione dell'articolo 2495 c.c., e del R.D. numero 267 del 1942, articolo 10, per avere ritenuto che, essendo stato dichiarato il fallimento della società Agenzia omissis s.r.l., sebbene già cancellata dal registro delle imprese, la stessa doveva essere considerata nuovamente esistente, sicché la pretesa doveva essere fatta valere nei confronti del curatore del fallimento, con conseguente illegittimità della pretesa fatta valere nei confronti dei soci. Il motivo è fondato. La questione di fondo del presente motivo di ricorso attiene alla sussistenza o meno della legittimazione passiva della società s.r.l., la quale, a seguito della cancellazione dal registro delle imprese della società Agenzia omissis s.r.l. in data 20 febbraio 2012, aveva ricevuto la notifica dell'avviso di accertamento quale socia della suddetta società. La peculiarità della vicenda in esame deriva dal fatto che l'Agenzia delle entrate, essendo intervenuta in data 20 febbraio 2012 la cancellazione della società, aveva notificato in data 17 ottobre 2012, come detto, l'avviso di accertamento alla società s.r.l. nella sua qualità di socia, ma, in data 15 febbraio 2013, la società Agenzia omissis s.r.l. era stata dichiarata fallita. Pertanto, al momento in cui è stato notificato l'avviso di accertamento a s.r.l., la stessa era stata correttamente individuata quale soggetto passivo del debito tributario gravante sulla società Agenzia omissis s.r.l Tale considerazione muove dall'applicazione del consolidato orientamento di questa Corte in ordine alle conseguenze che derivano sui rapporti originariamente facenti capo alla società estinta a seguito della cancellazione dal registro, ai sensi dell'articolo 2495 c.c. nel testo, applicabile nel caso di specie ratione temporis, risultante dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. numero 6 del 2003 . In particolare, si è affermato il principio che, a seguito dell'estinzione della società, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l'obbligazione della società non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali Cass. Civ., 24 giugno 2021, numero 18260 Cass., Sez. U, 12 marzo 2013, numero 6070 e numero 6072 . A ciò va aggiunto, inoltre, che, in sede di accertamento, l'effettiva liquidazione e ripartizione dell'attivo e, prima ancora, ovviamente, la sua sussistenza, se costituisce fondamento sostanziale e misura, nonché limite, della responsabilità di ciascuno dei successori, non può però anche ritenersi presupposto della assunzione, in capo al socio, della qualità stessa di successore e, correlativamente, della legittimità della notifica nei confronti del medesimo dell'atto impositivo. Sul punto, deve seguirsi l'orientamento di questa Corte secondo cui i principi affermati dalle Sezioni Unite individuano sempre nei soci coloro che son destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all'esito della liquidazione, indipendentemente, dunque, dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione Cass. civ., 7 aprile 2017 numero 9094 . Ciò precisato, si pone, tuttavia, la questione se il successivo fallimento della suddetta società entro l'anno dalla estinzione , intervenuto prima della instaurazione del giudizio di primo grado, possa avere rilievo ai fini della valutazione del venire meno della soggettività passiva di s.r.l., profilo che implica l'esame del contenuto della previsione di cui all'articolo 10, legge fallimentare, secondo cui Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo . In realtà, l'esatta portata della previsione normativa in esame e, soprattutto, l'incidenza della stessa ai fini della considerazione dell'eventuale venire meno della legittimità della pretesa fatta valere nei confronti del socio, a titolo successorio, dopo la estinzione della società ma prima della dichiarazione di fallimento, risulta chiarita dalla pronuncia di questa Corte a Sez. Unumero 12 marzo 2013, numero 6070. In particolare, con la suddetta pronuncia è stato precisato che il venire meno della capacità di stare in giudizio della società estinta, con conseguente necessità di interruzione del processo e successiva riassunzione o prosecuzione, trova una peculiare eccezione nella previsione di cui all'articolo 10, legge fallimentare, come tale destinata ad operare sono nello stretto ambito in cui il legislatore la ha prevista - con riguardo alla disciplina del fallimento. La possibilità, espressamente contemplata dalla L. Fall., articolo 10, che una società sia dichiarata fallita entro l'anno dalla sua cancellazione dal registro comporta, necessariamente, che tanto il procedimento per dichiarazione di fallimento quanto le eventuali successive fasi impugnazione continuino a svolgersi nei confronti della società e per essa del suo legale rappresentante , ad onta della sua cancellazione dal registro ed è giocoforza ritenere che anche nel corso della conseguente procedura concorsuale la posizione processuale del fallito sia sempre impersonata dalla società e da chi legalmente la rappresentava si veda, in argomento, Cass. 5 novembre 2010, numero 22547 . E' una fictio iuris, che postula come esistente ai soli fini del procedimento concorsuale un soggetto ormai estinto come del resto accade anche per l'imprenditore persona fisica che venga dichiarato fallito entro l'anno dalla morte e dalla quale non si saprebbero trarre argomenti sistematici da utilizzare in ambiti processuali diversi . Sicché, la suddetta eccezione, che attribuisce, per fictio iuris, alla società estinta la legittimazione processuale, va considerata solo entro la specifica disciplina della procedura fallimentare, consentendo alla suddetta società di essere considerata parte processuale nel procedimento per dichiarazione di fallimento nonché nelle eventuali successive fasi impugnazione, senza che, tuttavia, da questo limitato ambito di applicazione possano derivare conseguenze anche in ambiti processuali diversi, qual è quello in esame. In sostanza, il limitato ambito di applicazione della previsione di cui all'articolo 10, legge fallimentare, non legittima la considerazione che il sopravvenuto fallimento della società estinta entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese comporti il venire meno della soggettività passiva del socio della società estinta e, correlativamente, della sua legittimazione processuale, essendo questo la giusta parte del processo instaurato avverso l'avviso di accertamento allo stesso correttamente notificato quale successore. La pronuncia censurata, quindi, non è conforme ai suddetti principi, avendo erroneamente ritenuto che la previsione di cui all'articolo 10, legge fallimentare, comporti una reviviscenza della società con effetti che andrebbero oltre il limitato ambito entro la quale la specifica previsione in esame, come visto, deve trovare applicazione, non potendosi ritenere che, invero, la medesima previsione abbia la finalità di ricostituire una legittimazione passiva tributaria della società, estinta e fallita entro l'anno, che, invero, in forza dell'articolo 2495 c.c., è configurabile solo nei confronti dei soci, a titolo successorio. Ne' può, per completezza, ritenersi che sia corretta la considerazione espressa dalla controricorrente nelle conclusioni scritte in ordine al difetto di integrità del contraddittorio sin dal primo grado di giudizio, per essere stato l'atto impositivo notificato alla sola società e non anche agli altri due soci. Occorre, invero, distinguere tra il potere impositivo che può essere esercitato dall'amministrazione finanziaria a seguito della cancellazione ed estinzione della società di capitali e l'eventuale sopravvenienza, in corso di giudizio, dell'effetto estintivo della società. Nel primo caso, cui è riconducibile la presente controversia, quel che si verifica è che, estintasi la società di capitali, s'instaura tra i soci medesimi, ai quali pertengono i diritti o i beni originariamente facenti capo alla società, un regime sostanziale di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa gestione seguirà il regime proprio della contitolarità o della comunione. In questo ambito, l'amministrazione finanziaria non è tenuta a notificare l'avviso di accertamento necessariamente nei confronti di tutti i soci, potendo la pretesa essere fatta valere nei confronti dell'uno o dell'altro socio, senza che si determini una questione di invalidità dell'avviso di accertamento ove lo stesso non sia stato notificato a tutti i soci, poiché ciascun socio è contitolare, anche sul piano degli obblighi tributari, della posizione giuridica passiva del rapporto obbligatorio facente prima capo alla società, sicché il creditore può far valere nei confronti di ciascuno l'adempimento della prestazione divisibile già gravante sulla società, sebbene entro i limiti di cui all'articolo 2495 c.c Problema diverso, invece, è quello in cui l'evento interruttivo si è verificato in corso di giudizio nel quale era parte la società, poiché è in questo caso soltanto che, invero, può porsi una questione di non integrità del contraddittorio ove non siano chiamati in giudizio tutti i soci della società estinta. Invero, questa Corte ha più volte precisato, in aderenza a quanto affermato dalla Corte a Sez. Unumero con la pronuncia sopra citata numero 6070/2013, che, qualora si tratti di un debito della società estinta, la successione interessa tutti i soci esistenti al momento della cancellazione della società dal registro delle imprese, posto che, per effetto dell'estinzione dell'ente senza che il debito sia stato definito in sede di liquidazione, essi sono tutti destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società. Ne consegue che sussiste un litisconsorzio di natura processuale che si delinea al momento in cui uno solo dei soci agisca per, ovvero sia convenuto in luogo della società estinta. E ciò senza che rilevi la circostanza che l'ex socio di società di capitali risponde solo entro i limiti della propria partecipazione. Invero il litisconsorzio sussiste proprio perché l'obbligazione di pagamento dei debiti sociali non è solidale, altrimenti non avrebbe ragion d'essere. Invece tutti soci debbono essere chiamati nel giudizio affinché possano interloquire, ciascuno quale successore della società estinta e ciascuno nei limiti della propria quota di partecipazione. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 4 , per violazione del D.Lgs. numero 546 del 1997, articolo 24, per non avere pronunciato sulla eccezione da essa proposta di inammissibilità del motivo di appello, per novità della questione, con il quale la società aveva censurato la decisione di primo grado che aveva rigettato il motivo di ricorso con il quale la società aveva contestato la legittimità dell'atto impugnato in quanto emesso nei confronti della società s.r.l. e non della società Agenzia omissis s.r.l. che, sebbene estinta, era stata dichiarata fallita. Le considerazioni espresse in relazione al primo motivo di ricorso hanno valore assorbente del presente motivo. In conclusione, è fondato il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche ai fini della liquidazione delle spese di lite del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.