Assegno di natalità, basta il permesso unico di soggiorno per motivi di lavoro

Per quanto concerne il settore della sicurezza sociale delle prestazioni familiari, i lavoratori di paesi terzi devono beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano.

Lo ha stabilito la Corte d'Appello di Palermo, con la sentenza n. 1893/2021. In particolare, la vicenda sottoposta all'esame della Corte riguarda una cittadina extracomunitaria, che si era vista negare dall'INPS l'erogazione dell' assegno di natalità , in quanto non in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, bensì di un permesso unico di soggiorno per motivi di lavoro. A riguardo, i Giudici chiariscono che i lavoratori di paesi terzi devono beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne il settore della sicurezza sociale delle prestazioni familiari, come definite dal Regolamento n. 883/2004 , ossia tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari . Tra queste rientra anche l'assegno di natalità, espressamente introdotto al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno , mediante l'erogazione di una prestazione in denaro per i primi tre anni di vita del figlio. Ciò posto, il Collegio sottolinea come l'art. 1, comma 125, della Legge di Stabilità contrasta con l'art. 12 della Direttiva 2011/98/UE, in quanto, richiedendo ai cittadini extraeuropei il possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo ai fini del riconoscimento dell'assegno di natalità, viola la parità di trattamento tra lavoratori nel settore della sicurezza sociale riconosciuta dal medesimo art. 12 senza distinzioni inerenti al tipo di permesso di soggiorno . Essendo la norma europea in questione di tipo c.d. self-executing , ovvero suscettibile di applicazione immediata nell'ordinamento interno dei singoli Paesi senza che sia necessaria un'attività integrativa di recepimento da parte dello Stato, il Tribunale ha correttamente disapplicato la norma nazionale nella parte in cui esige per il riconoscimento dell'assegno di natalità il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e a riconoscere il diritto della ricorrente a percepire l'assegno. Per questi motivi, la Corte d'Appello conferma il provvedimento impugnato e riconosce il diritto della ricorrente a percepire l'assegno.

Presidente Relatore De Maria In fatto e in diritto Con sentenza del 13/02/2020 il Tribunale GL di Palermo ha dichiarato il carattere discriminatorio della condotta posta in essere dall'I.N.P.S. e per l'effetto ha ordinato a quest'ultimo di cessare la condotta discriminatoria , riconoscendo alla ricorrente omissis l'assegno di natalità con la decorrenza prevista dall' art. 1, comma 125, L. n. 190 del 2014 . Con ricorso al Tribunale di Palermo la ricorrente, omissis aveva chiesto accertarsi la natura discriminatoria del comportamento dell'I.N.P.S., che aveva respinto la sua domanda di riconoscimento dell'assegno di natalità di cui all' art. 1, comma 125, L. n. 190 del 2014 , in relazione alla nascita del figlio omissis , per il fatto che ella non era in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, bensì un permesso unico di soggiorno per motivi di lavoro e, conseguentemente, la sua cessazione, nonché la declaratoria del diritto a tale prestazione. Avverso tale decisione ha proposto appello l'Inps con ricorso depositato in Cancelleria il [ ], chiedendone la riforma. Ha resistito in giudizio la omissis , chiedendo il rigetto del gravame. Coll'unico articolato motivo l'Inps censura la sentenza del Tribunale sostenendo che nessun rimprovero può essergli mosso atteso che si è limitato a rispettare una previsione normativa, chiara e inequivoca, che subordina l'erogazione del beneficio al possesso, per quanto qui rileva, del permesso di lungo soggiorno per i cittadini extracomunitari. Rileva, poi, che la scelta del legislatore è conseguenza della discrezionalità rimessa dalla direttiva europea 2011/98 CE a ciascuno Stato membro nella estrinsecazione pratica dei rapporti tra diritto europeo e diritto interno, con la possibilità, quindi, di prevedere che alcune misure di carattere economico siano destinate solo a talune categorie di soggetti, senza che questo possa portare ad una disparità di trattamento. Sottolinea al riguardo la differenza intrinseca che corre tra l'assegno invocato, configurante misura di carattere assistenziale, ed il perimetro legale definito dalla Direttiva in parola che è finalizzato a regolare le prestazioni di carattere previdenziale. L'appello è infondato. Come già affermato da questa Corte di Appello in fattispecie analoghe, è necessaria una breve ricostruzione dei dati normativi rilevanti. L' art. 1, comma 125 L. n. 190 del 2014 prevede che al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il 1 Gennaio 2015 ed il 31 Dicembre 2017 è riconosciuto un assegno di importo pari a 960 Euro annui erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o di adozione. L'assegno è corrisposto fino al compimento del terzo anno di età ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell'adozione, per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea o di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno di cui all' articolo 9 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero , di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 , e successive modificazioni, residenti in Italia e a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l'assegno sia in una condizione economica corrispondente a un valore dell'indicatore della situazione economica equivalente ISEE non superiore a 25.000 euro annui . Il richiamato art. 9 del suddetto T.U. ha istituito il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, di cui è pacificamente priva l'appellata e in ragione della cui mancanza l'Inps ha rigettato la sua domanda di assegno di natalità. La direttiva 2011/98 CE, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro, poi, all'art. 1, lett. b stabilisce un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro, a prescindere dalle finalità dell'ingresso iniziale nel territorio dello Stato membro in questione, sulla base della parità di trattamento rispetto ai cittadini di quello Stato membro , e al successivo art. 12, comma 1 prevede che i lavoratori dei paesi terzi di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettere b e c i cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall'attività lavorativa a norma del diritto dell'Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento CE n. 1030/2002 e i cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell'Unione o nazionale, beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne e i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento CE n. 883/2004 . A sua volta tale fonte europea dispone che il presente regolamento si applica a tutte le legislazioni relative ai settori di sicurezza sociale riguardanti j le prestazioni familiari art. 3 , precisando che Ai fini del presente regolamento si intende per prestazione familiare , tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozione menzionati nell'allegato I art. 1 . Non può dubitarsi, pertanto, che la lettura coordinata delle richiamate norme europee conduce ad affermare che i lavoratori di paesi terzi come l' odierno appellato devono beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne il settore della sicurezza sociale delle prestazioni familiari, come definite dal regolamento n. 883/2004 , ossia tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari. E tra queste, a parere della Corte, rientra anche l'assegno di natalità di cui al citato art. 1, comma 125 L. n. 190 del 2014 , il quale è stato espressamente introdotto al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno , ossia, per usare i termini della norma europea, al fine di compensare i carichi familiari , mediante l'erogazione di una prestazione in denaro per i primi tre anni di vita del figlio. Giova precisare, per di più, che, avuto riguardo alla durata biennale del permesso di soggiorno dell' appellata, la fattispecie in esame non rientra tra quelle per le quali la direttiva 2011/98 consente agli Stati membri di limitare la parità di trattamento v. art. 12, comma 2, lett. b limitando i diritti conferiti ai lavoratori di paesi terzi ai sensi del paragrafo 1, lettera e , senza restringerli per i lavoratori di paesi terzi che svolgono o hanno svolto un'attività lavorativa per un periodo minimo di sei mesi e sono registrati come disoccupati. Inoltre, gli Stati membri possono decidere che il paragrafo 1, lettera e , per quanto concerne i sussidi familiari, non si applichi ai cittadini di paesi terzi che sono stati autorizzati a lavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo non superiore a sei mesi, ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi a scopo di studio o ai cittadini di paesi terzi cui è consentito lavorare in forza di un visto . Ne deriva in conclusione che, come condivisibilmente statuito dal primo giudice, l'art. 1 comma 125 in commento contrasta con l'art. 12 della direttiva 2011/98/UE, poiché, richiedendo ai cittadini extraeuropei il possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo ai fini del riconoscimento dell'assegno di natalità, viola la parità di trattamento tra lavoratori nel settore della sicurezza sociale riconosciuta dal medesimo art. 12 senza distinzioni inerenti al tipo di permesso di soggiorno. E poiché la norma europea in questione contiene sul punto precetti completi e ben individuati, suscettibili di applicazione immediata nell'ordinamento interno dei singoli Paesi senza che sia necessaria un'attività integrativa di recepimento da parte dello Stato c.d. self-executing , come tali vincolanti per le autorità interne che sono tenute ad applicare il diritto dell'Unione e a tutelare i diritti che quest'ultimo attribuisce ai singoli, anche disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno, bene ha fatto il Tribunale a disapplicare la norma nazionale in commento, nella parte in cui esige per il riconoscimento dell'assegno di natalità il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e a riconoscere il diritto dell'odierno appellato. Non ignora questa Corte di Appello che la Corte di Cassazione ordinanza n. 175/2019 ha dubitato della legittimità costituzionale della norma in commento sollevando la questione dinanzi alla Corte sotto il triplice profilo della violazione degli art. 3,31 e 117 della Costituzione e che la Corte Costituzionale , investita della questione , ha, da ultimo, ordinanza n. 182/2020 sospeso il sindacato di costituzionalità sottoponendo alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la valutazione pregiudiziale se il diritto dell'Unione art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea CDFUE e le disposizioni attuative di cui al Regolamento n. 883/2004 e alla Direttiva n. 2011/98/UE, debbano essere interpretati nel senso di non consentire una normativa nazionale che non estende agli stranieri titolari del permesso unico di cui alla medesima direttiva le provvidenze già concesse agli stranieri titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Tale dubbi si sono focalizzati in particolare sulla natura della prestazione e sulla riconducibilità della stessa alla categoria delle prestazioni familiari di cui all'art. 1 lett. j del Regolamento n. 883/2004 ovvero se in essa sia prevalente la finalità assistenziale di sostegno al reddito. E' infine intervenuta la suprema giurisdizione comunitaria CGUE Causa C - 350/20 del 2/9/2021 la quale ha offerto autorevole avallo alla su enunciata interpretazione stabilendo che tanto l'assegno di natalità che l'assegno di maternità rientrano nei settori della sicurezza sociale per i quali i cittadini di paesi terzi di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettere b e c , della direttiva 2011/98 beneficiano del diritto alla parità di trattamento previsto da detta direttiva. Il primo viene concesso automaticamente ai nuclei familiari che rispondono a determinati criteri oggettivi definiti ex lege, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali del richiedente. Si tratta di una prestazione in denaro destinata in particolare, mediante un contributo pubblico al bilancio familiare, ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento di un figlio appena nato o adottato. Esso costituisce, pertanto, una prestazione familiare, ai sensi dell' articolo 3, paragrafo 1, lettera j , del regolamento n. 883/2004 . Il provvedimento impugnato resiste quindi alle censure mosse e va confermato. La novità della questione e la soluzione del nodo ermeneutico sopravvenuta all'instaurazione del presente giudizio giustificano la compensazione integrale delle spese del grado di appello. P.Q.M. Definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, conferma la sentenza del Tribunale di Termini Imerese n. omissis del [ ]. Dichiara compensate tra le parti le spese del presente giudizio.