La S.C. sul gratuito patrocinio nel processo civile

«La finalità di tutela giurisdizionale sancita dall’articolo 24, comma 1, Cost. e la necessità di assicurare alle persone non abbienti i mezzi per difendersi ed agire davanti ad ogni giurisdizione, prevista dall’art 24, comma 3, Cost., non presuppongono che gli istituti siano modellati in termini sovrapponibili per tutti i tipi di azione e di giudizio […]».

Un avvocato chiedeva la liquidazione del compenso per l'attività svolta a favore di una sua assistita, ammessa al gratuito patrocinio, relativamente ad un giudizio di divorzio iniziato a partire dal 2017. Secondo il Tribunale di Milano, però, nel 2017 la parte non era ancora in possesso dei requisiti reddituali richiesti per accedere al patrocinio a spese dello Stato, pertanto riteneva che nulla fosse dovuto per le attività svolte durante quel periodo. Il giudice, quindi, liquidava, in riferimento alle attività successive, il compenso per la sola fase decisoria per l'importo di € 1383,50. L'avvocato si opponeva a tale provvedimento, ma il Tribunale respingeva l'opposizione. L'avvocato ricorre in Cassazione, denunciando, tra i vari motivi, violazione degli articolo 76, comma 2, e 92 d.p.r. numero 115/2002, 24 e 111 Cost., sollevando la questione di legittimità costituzionale delle norme in tema di gratuito patrocinio nel processo civile «nel punto in cui non graduano i limiti di reddito per accedere al beneficio in base alla composizione del nucleo familiare, come invece previsto per il processo penale». La doglianza è inammissibile. La Corte Costituzionale, infatti, ha già avuto modo di chiarire sul punto come il legislatore abbia sin dall'inizio differenziato il trattamento del patrocinio dei non abbienti, privilegiando le esigenze di tutela connesse all'esercizio della giurisdizione penale Corte Cost. numero 257/2014 . Considerando le peculiarità che caratterizzano il processo penale rispetto a quello civile, infatti, «può ritenersi del tutto coerente che il legislatore, proprio in considerazione delle particolari esigenze di difesa di chi subisce l'azione penale, abbia reputato necessario approntare un sistema di garanzie che ne assicurasse al meglio la effettività, anche sotto il profilo dei limiti di reddito per poter fruire del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti». La finalità di tutela giurisdizionale sancita dall'articolo 24, comma 1, Cost. e la necessità di assicurare alle persone non abbienti i mezzi per difendersi ed agire davanti ad ogni giurisdizione, prevista dall'art 24, comma 3, Cost., non presuppongono che gli istituti siano modellati in termini sovrapponibili per tutti i tipi di azione e di giudizio, potendo, invece, sembrare incoerente un sistema che, a risorse economiche limitate, «assegni lo stesso tipo di protezione, sul piano economico, all'imputato di un processo penale, che vede chiamato in causa il bene della libertà personale, rispetto alle parti di una controversia che coinvolga, o possa coinvolgere, beni o interessi di non equiparabile valore». Per questi motivi, la Suprema Corte dichiara inammissibile il motivo di ricorso.

Presidente Lombardo – Relatore Fortunato Ragioni in fatto in diritto della decisione 1. L'avv. G.C. ha chiesto la liquidazione del compenso per l'attività svolta in favore di S.S. , ammessa al gratuito patrocinio, con riferimento ad un giudizio di divorzio, svoltosi a partire dal 2017. Il Tribunale ha ritenuto che nulla fosse dovuto per le attività svolte nel 2017, dato che, in tale annualità, la parte superava i limiti reddituali per godere del beneficio, mentre, per quelle successive, ha liquidato il compenso per la sola fase decisoria, per l'importo di Euro 1383,50. Il provvedimento è stato oggetto di opposizione e all'esito il tribunale ha respinto l'opposizione, ritenendo che non fosse stata svolta alcuna attività istruttoria, precisando che nel 2017 la parte non era in possesso per i requisiti reddituali richiesti per accedere al patrocinio a spese dello Stato. La cassazione dell'ordinanza dall'avv. G.C. con ricorso in due motivi. Il Ministero della giustizia è rimasto intimato. Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in quanto manifestamente fondato, poteva esser definito ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c., in relazione all'articolo 375 c.p.c., comma 1, numero 5, il Presidente ha fissato l'adunanza in camera di consiglio. 2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'articolo 660 c.p.c., numero 3, del D.M. numero 55 del 2014, articolo 4 e L. numero 27 del 2012, articolo 9, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, sostenendo che, con il passaggio del giudizio di divorzio alla fase contenziosa, era stato incardinato un nuovo procedimento, per il quale andavano remunerate le attività di studio e introduttiva. Spettava inoltre il compenso per le attività istruttorie, dato che all'udienza presidenziale svoltasi nel 2018 era stata acquisita ed esaminata una relazione dei servizi sociali. Il motivo è parzialmente fondato. L'esame della pronuncia conduce a ritenere che il compenso per l'attività di introduzione e di studio era stato richiesto con riferimento alle attività svolte nel 2017, allorquando l'assistita non era risultata in possesso dei requisiti di reddito previsti dalla legge. Su tale presupposto il tribunale ha respinto la richiesta, rilevando che, in detta annualità, il reddito della richiedente andava sommato a quello del convivente e superava l'importo massimo previsto dalla disciplina. Il tema della spettanza di un importo autonomo, sempre per studio ed introduzione, relativamente ala sola fase contenziosa e quindi in aggiunta a quello riguardante la fase presidenziale non è stato oggetto di domanda nè di pronuncia ed è tema che non può avere ingresso in sede di legittimità, trattandosi di questione del tutto nuova e che inoltre esorbita dall'ambito oggettivo della domanda di pagamento. È invece fondata la censura riguardo alla spettanza del compenso per l'esame delle relazioni dei servizi sociali. La parte ha documentato che tale attività era stata svolta all'udienza presidenziale nel 2018 allorquando possedeva i requisiti reddituale per l'ammissione al beneficio e, sebbene il processo, transitato alla fase contenziosa, fosse stato rinviato immediatamente all'udienza di precisazione delle conclusioni, senza svolgimento di istruttoria, tuttavia ai sensi del D.M. numero 55 del 2014, articolo 4 anche l'esame della relazione era qualificabile come atto istruttorio, essendo assimilabile all'esame della c.t.u. o comunque alle attività difensive inerenti alle informazioni o atti istruttori compiuti d'ufficio. Difatti, l'articolo 4 dispone, con previsione non tassativa, che l'istruttoria comprende l'esame degli scritti o documenti delle altre parti o dei provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso e in funzione dell'istruzione, gli adempimenti o le prestazioni connesse ai suddetti provvedimenti giudiziali, le partecipazioni e assistenze relative ad attività istruttorie, gli atti necessari per la formazione della prova o del mezzo istruttorio anche quando disposto d'ufficio, l'esame delle corrispondenti attività e designazioni delle altre parti, l'esame delle deduzioni dei consulenti d'ufficio o delle altre parti. 3. Il secondo motivo denuncia la violazione del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 76, comma 2, e articolo 92, articolo 24 e 111 Cost, sollevando questione di legittimità costituzionale delle norme in tema di gratuito patrocinio nel processo civile nel punto in cui non graduano i limiti di reddito per accedere al beneficio in base alla composizione del nucleo familiare, come invece previsto per il processo penale. La questione è manifestamente inammissibile, avendo già trovato soluzione con la pronuncia della Corte costituzionale 257/2014. In quell'occasione il giudice delle leggi ha osservato come il legislatore abbia sin dall'inizio differenziato il trattamento del patrocinio dei non abbienti, mostrando di privilegiare le esigenze di tutela connesse all'esercizio della giurisdizione penale. Ciò alla luce delle peculiarità che caratterizzano il processo penale rispetto ai procedimenti civili o amministrativi, sicché può ritenersi del tutto coerente che il legislatore, proprio in considerazione delle particolari esigenze di difesa di chi subisce l'azione penale, abbia reputato necessario approntare un sistema di garanzie che ne assicurasse al meglio la effettività, anche sotto il profilo dei limiti di reddito per poter fruire del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti . La finalità di tutela giurisdizionale sancita dall'articolo 24 Cost., comma 1, ma, soprattutto, la necessità di assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, prevista dallo stesso articolo 24 Cost., comma 3, non presuppongono affatto che gli appositi istituti siano modellati in termini sovrapponibili per tutti i tipi di azione e di giudizio, potendo, al contrario, apparire sostanzialmente incoerente un sistema che - a risorse economiche limitate - assegni lo stesso tipo di protezione, sul piano economico, all'imputato di un processo penale, che vede chiamato in causa il bene della libertà personale, rispetto alle parti di una controversia che coinvolga, o possa coinvolgere, beni o interessi di non equiparabile valore. È quindi accolto, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, mentre è dichiarato inammissibile il secondo. L'ordinanza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa al tribunale di Milano, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità. P.Q.M. accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta il secondo, cassa l'ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa al Tribunale di Milano, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.