Nessun ridimensionamento della condotta tenuta dall’uomo, il quale non ha raggiunto lo scopo solo a causa dell’opposizione della donna e dell’intervento di alcune persone. Impossibile considerare la consegna dell’orologio come un mero pegno.
Condannato per rapina il cliente della prostituta che prima le consegna un orologio come anticipo di pagamento per la prestazione sessuale e poi ne pretende con la violenza la restituzione. Ricostruito l'episodio, verificatosi nella provincia laziale, i giudici di merito condannano l'uomo sotto processo, ritenendolo colpevole di tentata rapina per «aver colpito con un bastone una prostituta» allo scopo di «procurarsi l'ingiusto profitto di una prestazione sessuale», già consumata, «senza pagarne il prezzo». Nello specifico, l'uomo ha consegnato, prima del rapporto, alla donna un orologio come pagamento, con la prospettiva di poter poi darle il denaro contante e riavere indietro l'oggetto, ma, una volta conclusa la prestazione sessuale, l'ha colpita con un bastone per riprendersi con la forza l'orologio. A bloccarlo, però, hanno provveduto la resistenza della “lucciola” e l'intervento di alcune persone presenti in zona in quei momenti. In Cassazione, però, il difensore dell'uomo prova a ridimensionare l'episodio, presentandolo come una semplice «lite fra una prostituta ed un cliente in ordine alla restituzione di un oggetto dato in pegno per il successivo pagamento». E ragionando in questa ottica il legale sostiene che manchi «il requisito della altruità della cosa» e che quindi non si possa parlare di rapina. Prima di prendere posizione, i Giudici di terzo grado richiamano i dettagli principali della vicenda, ossia «l'ottenimento, da parte dell'uomo, della prestazione di natura sessuale , prospettando una successiva dazione in contanti previa immediata consegna dell'orologio, da restituire solo qualora fosse poi stato consegnato il contante» e la violenza finalizzata a rientrare in possesso dell'orologio che l'uomo «aveva spontaneamente ceduto in conto alla “lucciola”, a garanzia del pagamento della prestazione illecita». Di conseguenza, è impossibile, secondo i Giudici, sostenere ci si trovi di fronte a «un pegno avente ad oggetto l'orologio a garanzia del pagamento della prestazione sessuale», anche tenendo presente «la peculiarità della vicenda e della contrattazione». Difatti, «sia l'uomo che la donna erano a conoscenza che il contesto in cui l'attività si svolgeva era assolutamente borderline ed erano entrambi incontestabilmente consapevoli che l'accordo, relativo a una prestazione sessuale concordata in strada e da fornirsi dietro un cespuglio, non corrispondeva ai canoni tipici di una pattuizione lecita, con la conseguenza che la collegata consegna dell'orologio risultava un anticipo in natura dell'adempimento di una obbligazione naturale». Non a caso, «dalle dichiarazioni di entrambi i protagonisti della vicenda» è emerso che «l'accordo comprendeva il fatto che la donna tratteneva l'orologio come corrispettivo della prestazione che forniva, pur accettando la possibilità di una successiva dazione di una somma in contanti». Ciò significa che «la dazione dell'orologio rilevava quale parte di una strutturata e impropria forma di pagamento per una prestazione contraria al buon costume». E in questa ottica, «anche a voler ritenere che l'uomo non avesse voluto cedere definitivamente la proprietà dell'orologio», «la violenza finalizzata a riottenere il possesso del bene atteneva a quanto dato in conto pagamento, la cui restituzione è però esclusa» dal Codice Civile. Tirando le somme, è assolutamente corretto catalogare come rapina la condotta tenuta dall'uomo.
Presidente Gallo – Relatore Tutinelli Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Roma ha confermato la condanna dell'odierno ricorrente già pronunciata dal Tribunale di Civitavecchia con sentenza 4 ottobre 2016 in relazione a fattispecie di rapina tentata per aver colpito con un bastone G. F. al fine di procurarsi l'ingiusto profitto di una prestazione sessuale senza pagarne il prezzo con pari danno della persona offesa, non riuscendo tuttavia nell'intento per cause indipendenti dalla propria volontà, a causa della resistenza opposta dalla p. o. e dall'intervento di terze persone . 2. Propone ricorso per cassazione l'imputato, F.P.G. , articolando i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dichiarata penale responsabilità. La Corte territoriale avrebbe ignorato i motivi di appello ratificando acriticamente la ricostruzione del giudice di primo grado. Difetterebbe nel caso di specie il requisito della altruità della cosa mobile e comunque l'intero episodio si esaurirebbe in una lite fra una prostituta ed un cliente in ordine alla restituzione di un oggetto dato in pegno per il successivo pagamento. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dichiarata penale responsabilità per le contestate lesioni aggravate. La Corte avrebbe erroneamente ritenuto inattendibili le dichiarazioni dell'imputato che invece avrebbe potuto avere una falsa percezione del numero delle persone venute in soccorso della donna. Inoltre, stante la presenza di una lite, risulterebbe inverosimile che la donna si sia solo difesa. 2.3. Violazione di legge vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al giudizio di valenza. Erroneamente la Corte avrebbe ritenuto la mancanza di elementi che giustificassero la concessione delle circostanze attenuanti generiche stante il contesto in cui i fatti sono avvenuti, le personalità delle parti contrapposte, il tipo di precedenti penali vantati dall'imputato che invece risulterebbe essere stato soltanto aggredito. 3. La trattazione del ricorso è avvenuta con le forme previste dal D.L. numero 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, numero 176 . 3.1. Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. M.G.F., ha chiesto l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato perché il fatto non sussiste in ordine alla contestata rapina e per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione in relazione alle rimanenti contestazioni. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Le doglianze riguardanti la ricostruzione dei fatti secondo motivo di ricorso risultano proposte al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità rimanendo al di fuori dei poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti Sez. 6, numero 27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, Rv. 234559 Sez. 6, numero 25255 del 14 febbraio 2012, Minervini, Rv. 253099 . Nel caso di specie, l'iter argomentativo del provvedimento impugnato appare esente da vizi perché fondato su di una compiuta e logica analisi critica degli elementi in atti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, non essendo presenti errori nell'applicazione delle regole della logica e nella articolazione del giudizio o omissioni decisive o illogicità manifeste. Risultano infatti adeguatamente valorizzate le deposizioni T. e la radicale inverosimiglianza della versione resa dall'imputato a fronte di una ricostruzione logica emergente dalle dichiarazioni della P.O., peraltro pienamente coerente con il contesto di tempo e di luogo in cui i fatti si sono svolti. 3. Quanto alle doglianze in punto qualificazione giuridica dei fatti, la vicenda risulta caratterizzata dai seguenti elementi fattuali l'ottenimento della prestazione di natura sessuale prospettando una successiva dazione in contanti previa immediata consegna dell'orologio, da restituire solo qualora fossero poi consegnati i contanti la violenza finalizzata a riprendersi l'orologio che il ricorrente aveva spontaneamente ceduto in conto e a garanzia del pagamento della prestazione illecita. 3.1. Il ricorrente esclude la presenza di una fattispecie di rapina affermando la mancanza di altruità della cosa. Al proposito, deve rilevarsi che il riferimento alla presenza di un pegno avente ad oggetto l'orologio a garanzia del pagamento della prestazione sessuale risulta del tutto improprio sia per mancanza dei requisiti formali sia in relazione alla peculiarità della vicenda e della contrattazione. Entrambe le parti ben erano a conoscenza che il contesto in cui l'attività si svolgeva era assolutamente borderline risultando entrambi incontestabilmente consapevoli che il proprio accordo, relativo a prestazione sessuale concordata in strada e da fornirsi dietro un cespuglio, non corrispondeva ai canoni tipici di una pattuizione lecita con la conseguenza che la collegata dazione - al netto della impropria evocata destinazione a garanzia - risultava un anticipo in natura dell'adempimento di una obbligazione naturale. Risulta infatti dalle dichiarazioni di entrambi i protagonisti della vicenda che l'accordo comprendeva il fatto che la donna tratteneva l'orologio come corrispettivo della prestazione che forniva pur accettando la possibilità di una successiva dazione di una somma in contanti. Ciò implica che la dazione dell'orologio rilevava piuttosto quale parte di una strutturata e impropria forma di pagamento per una prestazione contraria al buon costume. Di conseguenza, anche a voler ritenere che l'imputato non avesse voluto cedere definitivamente la proprietà dell'orologio, la violenza finalizzata a riottenerne il possesso atteneva a quanto dato in conto pagamento la cui restituzione era però esclusa dall'ordinamento articolo 2035 c.c. , norma dettata con specifico riferimento a fattispecie e contesti quali quelli oggetto del giudizio . Ne consegue, sotto questo aspetto, la correttezza della qualificazione giuridica offerta dai giudici del merito e comunque il difetto di interesse dell'imputato a prospettare la possibilità di riqualificare i fatti in termini di fatto corrispondenti a una estorsione laddove comunque residuerebbe la costrizione della donna a eseguire una restituzione non dovuta. 4. Quanto alle doglianze in punto trattamento sanzionatorio, deve rilevarsi la congruità della sussistente motivazione sia in relazione alla riconosciuta recidiva sia in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche. 4.1. La sussistenza della recidiva è stata ritenuta in considerazione della natura delle precedenti condanne, della indifferenza rispetto alle stesse, peraltro nemmeno particolarmente risalenti, logicamente desumendosi l'ingravescente stabilità della scelta criminosa e della correlata pericolosità. 4.2. Legittima e congrua appare anche la motivazione del diniego delle circostanze attenuanti generiche in conseguenza del comportamento processuale caratterizzato dalla negazione dell'evidenza. Rileva anche al medesimo fine la valorizzazione ex articolo 133 c.p. della gravità dei precedenti ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del ne bis in idem cfr. Sez. 2, Sent. numero 24995 del 14/05/2015 Rv. 264378 . 5. Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell' articolo 616 c.p.p. , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3000,00. L'inammissibilità del ricorso - in particolare dei motivi relativi alle contestate lesioni e al trattamento sanzionatorio - preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata Sez. Unumero , numero 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 5 2 in quanto imposto dalla legge/d'ufficio.