Tolleranza zero per gli sversamenti non autorizzati negli scarichi cittadini

In tema di sanzioni amministrative ove il Comune abbia affidato la gestione del servizio idrico ad un soggetto terzo, l’ente locale risponde, comunque, dello scarico non autorizzato delle acque poiché ad essere stata trasferita è la detta gestione, mentre la responsabilità dell’ente citato, titolare della rete, non viene meno agli obblighi di legge .

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso n. 7608/2022, proposto da N.A. quale Sindaco di un paese calabrese contro la sentenza della Corte d'Appello di Catanzaro, che aveva comminato una sanzione amministrativa , dopo avere accertato la scoperta di tre scarichi di acque reflue urbane non autorizzati . Il Sindaco ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di molteplici motivi di doglianza. Con il principale motivo, il ricorrente N.A. contestava la violazione e falsa applicazione di una legge regionale della Calabria, in quanto la Corte territoriale avrebbe errato nell'individuare nel Comune calabrese, l'organo amministrativo competente ad avanzare la richiesta di autorizzazione allo scarico, potere invece spettante solo al titolare dell'attività dalla quale si originava lo scarico stesso. Il ricorso viene rigettato. La Corte di Cassazione, ha infatti specificato che ove il Comune abbia affidato la gestione del servizio idrico ad un soggetto terzo, l'ente locale risponde, comunque, dello scarico non autorizzato delle acque poiché ad essere stata trasferita è la detta gestione, mentre la responsabilità dell'ente citato, titolare della rete, non viene meno agli obblighi di legge . Tale principio, secondo il Collegio, va applicato anche nell'ipotesi di s carico non autorizzato di acque reflue , che avvenga all'interno di un ambito territoriale ottimale, nel quale il servizio idrico integrato, sia stato assegnato ai soggetti individuati secondo la sopracitata legge regionale della Calabria. Nel caso di specie, poi era vietato direttamente lo scarico di acque in assenza di permesso , addossando perciò la responsabilità totale del ricorrente. Pertanto, il Collegio, rigetta il ricorso.

Presidente Bertuzzi - Relatore Cavallari Ragioni di fatto e di diritto della decisione A.N., in proprio e quale Sindaco del Comune di omissis , ha proposto, innanzi al Tribunale di Lamezia Terme, opposizione contro la sanzione di Euro 12.000,00 inflitta dalla Regione omissis al medesimo A., in quanto trasgressore, ed al Comune di omissis , soggetto solidalmente obbligato, per la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124, comma 1, accertata in seguito alla scoperta di tre scarichi di acque reflue urbane del detto Comune non autorizzati. In particolare, il ricorrente si è difeso prospettando - il proprio difetto di legittimazione passiva, non essendo più Sindaco di omissis alla data di scadenza del termine utile per la richiesta di autorizzazione - la prescrizione dell'illecito e, comunque, la sua insussistenza, essendo intervenuta in materia una legislazione emergenziale che aveva derogato alla normativa ambientale, sottraendo ogni competenza agli enti locali. La Regione omissis si è costituita e ha domandato il rigetto del ricorso. Il Tribunale di Lamezia Terme, con sentenza n. 1906 del 2016, ha rigettato l'opposizione. A.N. in proprio e nella qualità di Sindaco del Comune di omissis , ha proposto appello, rilevando che - il Tribunale di Lamezia Terme non aveva tenuto conto che gli scarichi in esame non erano di nuova attivazione, ma erano regolati dalla disciplina transitoria di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62 - la violazione in questione non aveva natura permanente, ma istantanea, con la conseguenza che era prescritta - l'illecito non sussisteva, in ragione della presenza di una legislazione emergenziale che aveva sottratto agli enti locali ogni competenza in materia e del fatto che questi ultimi non erano legittimati a chiedere le autorizzazioni degli scarichi preesistenti - la sanzione inflitta era eccessiva. La Regione omissis si è costituita e ha chiesto che l'appello fosse dichiarato inammissibile o respinto. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 1935 del 2017, ha respinto il gravame. A.N., in proprio e nella qualità di Sindaco del Comune di omissis , ha presentato ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. Parte intimata non ha svolto difese. A.N. , in proprio e nella qualità di Sindaco del Comune di omissis , ha depositato memorie. 1. Con il primo motivo A.N. lamenta la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 1, D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62, comma 11 e del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 124 e 133 . Egli rappresenta che, nella specie, venivano in rilievo degli scarichi regolarmente approvati ai sensi della previgente L. n. 319 del 1976 , la quale aveva previsto, all'art. 89, u.c., che gli scarichi di pubbliche fognature di cui era titolare lo stesso ente competente al rilascio dell'autorizzazione si intendevano autorizzati con l'approvazione dell'impianto . In seguito, il D.Lgs. n. 152 del 1999 , aveva introdotto la necessità di un'autorizzazione preventiva per l'apertura di scarichi nuovi e, all'art. 62, comma 11, aveva dettato le norme transitorie per quelli esistenti, stabilendo che Fatte salve le disposizioni specifiche previste dal presente decreto, i titolari degli scarichi esistenti devono adeguarsi alla nuova disciplina entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, anche nel caso di scarichi per i quali l'obbligo di autorizzazione è stato introdotto dalla presente normativa. I titolari degli scarichi esistenti e autorizzati procedono alla richiesta di autorizzazione in conformità alla presente normativa allo scadere dell'autorizzazione e comunque non oltre quattro anni dall'entrata in vigore del presente decreto . Pertanto, con riferimento agli scarichi oggetto del contendere che, al momento dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 1999 , erano esistenti ed autorizzati, trovava applicazione, per la richiesta di autorizzazione in conformità alla presente normativa , il termine di quattro anni che, in seguito ad una proroga disposta dal D.Lgs. n. 147 del 2003, art. 10 bis, era scaduto il 31 dicembre 2004. Nel caso in esame, quindi, veniva in rilievo, eventualmente, un'ipotesi di mancata richiesta di autorizzazione secondo le norme transitorie dettate dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62 , per la quale non era prevista alcuna sanzione espressa. La Regione omissis , invece, aveva contestato la mancata richiesta di autorizzazione preventiva di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124 che, nella specie, non ricorreva, non potendo quest'ultima ipotesi, certamente punibile, essere equiparata, ai fini sanzionatori, alla mancata richiesta di autorizzazione secondo le norme transitorie dettate dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62 , alla luce del principio di legalità della L. n. 689 del 1981, ex art. 1 . La doglianza è infondata. Al riguardo, si osserva che l'invocato regime di proroga di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62, comma 11, attiene esclusivamente al materiale adeguamento degli impianti esistenti alla nuova normativa, mentre, per quanto riguarda il regime delle prescritte autorizzazioni, del citato D.Lgs. n. 152, art. 45, comma 7, stabilisce, con specifico riferimento agli impianti, come nella specie, già autorizzati, che L'autorizzazione è valida per quattro anni dal momento del rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve essere richiesto il rinnovo. Lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto in funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all'adozione di un nuovo provvedimento, se la domanda di rinnovo è stata tempestivamente presentata. Per gli scarichi contenenti sostanze pericolose di cui all'art. 34, il rinnovo deve essere concesso in modo espresso entro e non oltre sei mesi dalla data di scadenza trascorso inutilmente tale termine, lo scarico dovrà cessare immediatamente. La disciplina regionale di cui al comma 3 può prevedere per specifiche tipologie di scarichi di acque reflue domestiche, ove soggetti ad autorizzazione, forme di rinnovo tacito della medesima . Pertanto, è lo stesso D.Lgs. n. 152 del 1999 , a chiarire che gli scarichi in passato autorizzati possono essere utilizzati temporaneamente, nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all'adozione di un nuovo provvedimento purché la domanda di rinnovo sia stata tempestivamente presentata, il che, nel caso in discussione, non è avvenuto. La normativa invocata dal ricorrente, quindi, equipara in toto la situazione della mancanza originaria dell'autorizzazione a quella del suo venire meno per scadenza del termine di legge Sul punto, si veda Cass., Sez. 2, Sentenza n. 23067 del 30 ottobre 2009 . Una regolamentazione analoga contiene del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124, il quale stabilisce, al comma 8, che Salvo quanto previsto dal D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59 , l'autorizzazione è valida per quattro anni dal momento del rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve essere chiesto il rinnovo. Lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto in funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all'adozione di un nuovo provvedimento, se la domanda di rinnovo è stata tempestivamente presentata . Peraltro, il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2, sanziona Chiunque apra o comunque effettui scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, senza l'autorizzazione di cui all'art. 124, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata . Ne deriva, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, che il citato art. 133, comma 2, si riferisce pure all'ipotesi regolata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124, comma 8, che riguarda proprio la mancata istanza di rinnovo dell'autorizzazione prima della scadenza, e che, quindi, non può ipotizzarsi nessuna violazione del principio di legalità. 2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione della L. n. 689 del 1981, art. 1, D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62, comma 11, D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 124 e 133, perché la corte territoriale avrebbe errato nel considerare l'infrazione in esame, consistita nella mancata richiesta di autorizzazione nel termine del 31 dicembre 2004, un illecito permanente e non istantaneo, atteso che, invece, la violazione si era consumata, in via definitiva, l'ultimo giorno in cui l'autorizzazione de qua avrebbe dovuto essere domandata. Ne sarebbe derivato che, poiché egli non era più Sindaco del Comune di omissis il 31 dicembre 2004, non poteva essergli ascritta la condotta sanzionata. La doglianza è infondata. Come chiarito dalla giurisprudenza, l'illecito istantaneo con effetti permanenti è caratterizzato da un'azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando sussistere i suoi effetti al contrario, in ipotesi di illecito permanente, la verificazione dell'evento si protrae per la durata del danno e della condotta che lo produce, fino alla cessazione della detta condotta dannosa Cass., Sez. 3, n. 3314 dell'11 febbraio 2020 . Nella specie, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, la condotta punita non è, però, semplicemente l'omessa richiesta di autorizzazione allo scarico entro un dato termine il 31 dicembre 2004 , ma l'esercizio dello stesso in assenza del permesso de quo, che è continuato oltre il termine in esame, così continuando a ledere l'interesse giuridico protetto. Infatti, il ricorrente avrebbe potuto evitare la sanzione, benché non avesse domandato la menzionata autorizzazione, semplicemente cessando tempestivamente tale scarico. 3. Con il terzo motivo il ricorrente contesta la violazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62, comma 11, D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 124 e 133 e della L. n. 689 del 1981 , art. 28, affermando che la corte territoriale avrebbe errato nel non ritenere prescritto l'illecito, stante la sua natura istantanea. La doglianza non deve essere esaminata, alla luce del rigetto del secondo motivo. 4. Con il quarto motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione della L. n. 36 del 1994, artt. 8 e 9, D.Lgs. n. 152 del 1999 , art. 45 ed della L.R. Calabria n. 10 del 1997, art. 8, perché la corte territoriale avrebbe errato nell'individuare nel Comune di omissis l'organo amministrativo competente ad avanzare la richiesta di autorizzazione allo scarico quando, invece, tale potere spettava solo al titolare dell'attività dalla quale si originava lo scarico del D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 124 . In particolare, in seguito all'istituzione del Servizio Idrico Integrato, erano stati creati gli Ambiti territoriali ottimali ATO , ai quali era stata affidata la gestione unitaria dei citati servizi. In Calabria, la competenza in materia degli ATO era stata confermata dalla L.R. n. 10 del 1997. Ne conseguiva che il soggetto onerato della richiesta di autorizzazione era quello che si occupava della gestione in questione. La doglianza è priva di pregio. Innanzitutto, deve affermarsi il principio per il quale, in tema di sanzioni amministrative, ove il Comune abbia affidato la gestione del servizio idrico ad un soggetto terzo, l'ente locale risponde, comunque, dello scarico non autorizzato delle acque poiché ad essere stata trasferita è la detta gestione, mentre la responsabilità dell'ente citato, titolare della rete, non viene meno, essendo esso soggetto agli obblighi di legge. Tale principio va applicato pure all'ipotesi dello scarico non autorizzato di acque reflue urbane che avvenga all'interno di uh ambito territoriale ottimale ove il servizio idrico integrato, ovvero l'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, di cui alla L. n. 36 del 1994, art. 4, comma 1, lett. f , e del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 141, comma 2, sia stato assegnato ai soggetti gestori individuati ai sensi della normativa vigente nella specie, la L.R. Calabria n. 10 del 1997 . Nel caso de quo, inoltre, ad essere vietato era direttamente il citato scarico di acque in assenza di permesso ed è incontestato che la sua effettuazione avvenisse ad opera del Comune di omissis con la conseguenza che, pertanto, non può essere esclusa la responsabilità di parte ricorrente. 5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell' art. 112 c.p.c. e della L. n. 225 del 1992, art. 5, comma 2, e correlati DD.PP.CC.MM. ed OO.PP.CC.MM., e L. n. 689 del 1981, art. 4, comma 1, poiché la sentenza impugnata non si era pronunciata sul motivo di appello con il quale era stato dedotto che la normativa in materia ambientale era stata derogata dalle varie dichiarazioni di emergenza succedutesi nel tempo, che avevano devoluto tutte le competenze in tema di tutela delle acque pubbliche dall'inquinamento al Commissario delegato per il superamento dell'emergenza ambientale. In particolare, la regolamentazione nazionale sulle autorizzazioni in esame era da reputare sospesa fino al momento nel quale il menzionato Commissario non avesse realizzato gli impianti comunali di depurazione, mentre il Comune di omissis non poteva interrompere lo scarico oggetto del contendere perché, altrimenti, avrebbe privato i cittadini di un servizio pubblico essenziale. La doglianza è priva di pregio. Non ricorre la lamentata omessa pronuncia della Corte di appello di Catanzaro, in quanto la stessa ha implicitamente respinto la doglianza de qua, affermando, in generale, l'applicazione della normativa ordinaria in esame e la responsabilità del Comune per l'adempimento degli obblighi concernenti lo scarico delle acque reflue urbane, a prescindere dal soggetto competente a gestire il relativo servizio. Peraltro, si ribadisce che l'illecito contestato è incentrato fondamentalmente sull'esercizio dello scarico in assenza di autorizzazione e non sul fatto di non avere semplicemente chiesto tempestivamente il permesso di legge. Infine, si sottolinea l'irrilevanza della contestazione relativa all'impossibilità di negare ai cittadini un servizio pubblico essenziale, non giustificando l'inadempimento del Commissario delegato ai propri obblighi la violazione della legislazione vigente in materia ambientale. 6. Il ricorso è, quindi, respinto. Nessuna statuizione deve essere assunta in ordine alle spese di lite, non avendo parte intimata svolto difese. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dell'obbligo di versamento, a carico di parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 Cass., Sez. 6-3, n. 14515 del 10 luglio 2015 . P.Q.M. La Corte - rigetta il ricorso - nulla sulle spese - ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 , comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.