Niente locale per il custode dello stabile: costruttore condannato a risarcire il Condominio

Necessario un nuovo processo in appello per quantificare il ristoro economico in favore del Condominio. Evidente, però, l’inadempimento contrattuale addebitabile alla società che ha costruito l’immobile e poi provveduto alla vendita dei singoli appartamenti.

Costruttore edile condannato a risarcire il Condominio se, nonostante quanto stabilito nel contratto, non ha messo a disposizione gratuitamente un locale destinato ad ospitare il custode dello stabile e i suoi familiari. A dare il “la” alla vicenda giudiziaria è l'azione proposta dal Condominio, che chiama in causa la società costruttrice del complesso edilizio e venditrice dei numerosi appartamenti e ne chiede la condanna all'esecuzione delle opere necessarie all'eliminazione dei vizi riscontrati nelle parti comuni dell'edificio e, in subordine, al risarcimento del corrispondente danno patrimoniale. In primo grado la richiesta è ritenuta «improcedibile per carenza di legittimazione attiva» poiché, secondo i giudici, «essa ha ad oggetto l'adempimento delle obbligazioni assunte dalla società in seno ai singoli contratti di compravendita delle porzioni immobiliari dell'edificio, sicché la legittimazione spetta ai singoli condomini acquirenti». Di diverso avviso sono invece i giudici di secondo grado, i quali accolgono il ricorso proposto dall'amministratore del condominio, legittimato ad adire le vie legali poiché «le domande proposte attengono, per la quasi totalità, a parti comuni del complesso residenziale». Di conseguenza, la società costruttrice del complesso immobiliare viene condannata a versare oltre 26mila euro al come «risarcimento del danno da inadempimento contrattuale». In Cassazione arriva poi un'ulteriore vittoria per il condominio, che può puntare a un più corposo ristoro economico. Su questo fronte, difatti, l'amministratore censura la pronuncia d'Appello che «dopo aver riconosciuto l'inadempimento della società costruttrice rispetto all'obbligo, contrattualmente assunto nei confronti del condominio, di adibire un'unità immobiliare di circa 50 metri quadrati ad alloggio del portiere, ha quantificato il danno derivante dalla messa a disposizione di un semplice gabbiotto di 11 metri quadrati, prendendo come riferimento il canone medio relativo a un immobile di 40 metri quadrati – canone quantificato in 500 euro – per un periodo di sei mesi, parametrato al preavviso con cui, sempre ai termini del menzionato accordo, la società costruttrice avrebbe potuto reclamare la restituzione dell'immobile». Secondo l'amministratore «tale quantificazione trascura arbitrariamente la previsione contrattuale secondo cui la società, nell'eventualità in cui avesse preteso indietro quel locale, avrebbe dovuto mettere a disposizione gratuitamente un altro locale per l'alloggio del custode». Queste considerazioni sono fondate, secondo i Giudici della Cassazione, i quali osservano che «il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale non può che essere parametrato all'utilità che il creditore avrebbe conseguito nell'ipotesi in cui il contratto fosse stato correttamente adempiuto». Applicando questa prospettiva alla vicenda presa in esame, quindi, «se si parte dal presupposto che il costruttore si era obbligato a consentire l'uso gratuito, da parte del Condominio, di una porzione immobiliare nella quale il custode potesse dimorare stabilmente con la propria famiglia –quella specificamente indicata dalle parti, ovvero, in caso di richiesta di restituzione, un'altra porzione immobiliare –, la limitazione dell'arco temporale di riferimento al solo periodo di sei mesi si mostra incoerente con l'entità del pregiudizio a cui ragguagliare la liquidazione equitativa» del risarcimento in favore del Condominio. Necessario quindi un secondo processo in Appello per fissare «una nuova quantificazione del danno» subito dal condominio alla luce dell'«inadempimento della specifica obbligazione contrattualmente assunta dalla società costruttrice».

Presidente Di Virgilio – Relatore La Battaglia Motivi in fatto ed in diritto della decisione 1. Il condominio omissis sito in omissis conveniva in giudizio, presso il Tribunale di Messina, la società omissis s.r.l. costruttrice del complesso edilizio e venditrice degli appartamenti nei quali esso era stato suddiviso , domandandone la condanna all'esecuzione delle opere necessarie all'eliminazione dei vizi riscontrati nelle parti comuni dell'edificio e, in subordine, al risarcimento del corrispondente danno patrimoniale. Con sentenza numero 2340/2010, il Tribunale di Messina dichiarava la domanda improcedibile , per carenza di legittimazione attiva, ritenendo che avesse ad oggetto l'adempimento delle obbligazioni assunte dalla società convenuta in seno ai singoli contratti di compravendita delle porzioni immobiliari dell'edificio, sicché la legittimazione spettava ai singoli condomini acquirenti delle stesse. A seguito dell'impugnazione di tale sentenza da parte dell'amministratore del condominio, si costituiva in giudizio la omissis s.r.l. la quale, a far data dal 2002, aveva incorporato la omissis s.r.l. , eccependo la nullità dell'appello per errata identificazione del soggetto passivo della vocatio in ius, dal momento che l'atto di citazione di secondo grado era stato notificato alla omissis s.r.l., nonostante il condominio appellante fosse a conoscenza dell'avvenuta incorporazione di quest'ultima nella omissis s.r.l. avendolo dichiarato nell'atto di citazione introduttivo di un altro giudizio, intentato nei confronti di un'altra società collegata alla stessa omissis . Nel merito, contestava la domanda del condominio, osservando che i vizi lamentati non sussistevano, o comunque erano stati eliminati a propria cura e spese. La Corte d'Appello di Messina, con la sentenza in questa sede impugnata, in primo luogo rigettava l'eccezione di nullità dell'appello, ritenendo che lo stesso fosse stato correttamente notificato al procuratore costituito della società originariamente convenuta in primo grado e successivamente incorporata , in mancanza di conoscenza legale dell'evento dell'incorporazione conoscenza che non poteva ritenersi integrata sulla base del contenuto di un atto di altro processo, non pendente tra le stesse parti . Per quel che riguarda il merito della controversia, i giudici di secondo grado, rilevata la legittimazione attiva dell'amministratore del condominio atteso che le domande proposte, per la quasi totalità, attenevano, infatti, a parti comuni del complesso residenziale di cui si tratta , accoglievano in parte qua la domanda, condannando la società appellata al pagamento, in favore del condominio, della complessiva somma di Euro 26.266,70 a titolo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale . Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la omissis s.r.l. sulla base di un motivo. Il condominio omissis ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale sulla base di un motivo. 2. Il motivo del ricorso principale denuncia la violazione degli articolo 163,164 e 342 c.p.c., e articolo 2504 e 2504-bis c.c., evidenziando come l'avvenuta fusione per incorporazione della omissis s.r.l. nella omissis s.r.l. avesse determinato - alla stregua della disciplina anteriore alle modifiche operate dal D.Lgs. numero 6 del 2003, ratione temporis applicabile - l'estinzione della società incorporata, con conseguente necessità di notificare l'atto di appello alla società incorporante. Nè la costituzione in giudizio della omissis avvenuta allorquando era già decorso il termine lungo per l'impugnazione ex articolo 327 c.p.c. poteva ritenersi aver sanato il vizio dell'atto introduttivo, trovando applicazione l'articolo 164 c.p.c., nella formulazione anteriore alla riforma di cui alla L. numero 353 del 1990, che non prevedeva una sanatoria con efficacia ex tunc. Per quel che riguarda il profilo della conoscenza della fusione societaria, la ricorrente deduce l'inapplicabilità dei criteri applicabili all'evento interruttivo ex articolo 300 c.p.c., in funzione del decorso del termine per la riassunzione del processo, richiamando quello della conoscibilità secondo l'ordinaria diligenza di cui a Cass., S.U., numero 15783/2005 da considerarsi, a suo dire, senz'altro integrato nella specie, ove sussisteva financo la conoscenza dell'evento in discorso da parte dell'appellato . Il motivo è infondato. Va premesso che, secondo quanto chiarito da Cass., S.U., numero 6070/2013, l'impugnazione non diretta verso la giusta parte è da considerarsi non già nulla ex articolo 164 c.p.c., bensì inammissibile, dal momento che la nullità è contemplata dall'articolo 163 c.p.c., comma 3, numero 2 e articolo 164 c.p.c., comma 1, nel caso in cui la lettura di quell'atto evidenzi l'omissione o l'assoluta incertezza degli elementi che occorrono per la corretta identificazione delle parti , mentre, nel caso in questione, lungi dall'esservi incertezza sull'identità della parte, questa è ben chiara, ma accade che il giudizio sia stato promosso, oppure che in esso sia stata evocata, una parte la società estinta diversa da quella che quel giudizio avrebbero potuto promuovere, o che avrebbero dovuto esservi evocati . Con riferimento alla fusione per incorporazione, realizzatasi anteriormente all'entrata in vigore del nuovo articolo 2504-bis c.c. in merito alla nuova disciplina si veda invece, da ultimo, Cass., S.U., numero 21970/2021 , Cass., S.U., numero 19509/2010 affermò che l'impugnazione è validamente notificata al procuratore costituito di una società che, successivamente alla chiusura della discussione o alla scadenza del termine di deposito delle memorie di replica si sia estinta per incorporazione, se l'impugnante non abbia avuto notizia dell'evento modificatore della capacità giuridica mediante la notificazione di esso . Per quel che riguarda la fusione verificatasi sempre ante riforma in pendenza del processo di primo grado, si è espressa, invece, Cass., numero 28664/2013, alla cui stregua la parte non colpita dall'evento estintivo può notificare validamente l'atto di citazione in appello non solo nei confronti della società incorporante ma, nonostante la regolare pubblicazione nel registro delle imprese dell'atto di fusione, anche nei confronti della società incorporata, salvo che l'appellante sia stato edotto dell'estinzione di quest'ultima mediante qualsiasi atto idoneo a comunicare il fatto al destinatario in modo certo e documentalmente dimostrabile, anche se non necessariamente in via diretta attraverso una notificazione nel caso di specie, la S.C. ritenne corretta la declaratoria di inammissibilità dell'appello notificato nei confronti di una banca incorporata, sul presupposto dell'intervenuta comunicazione della fusione all'appellante mediante la relazione di notifica della sentenza di primo grado . Occorre, dunque, indagare - caso per caso - se l'evento in discorso sia stato comunicato alla parte attraverso un atto idoneo a portarlo nella sfera di conoscibilità del destinatario in maniera adeguata a garantirne la certezza e la dimostrazione documentale così la pronuncia appena citata, in motivazione . Da tale angolo visuale - e con specifico riferimento alla fattispecie in esame -, a fronte della mancata evidenza di un qualsivoglia atto di comunicazione formale dell'evento nei confronti dell'amministratore del condominio, deve ritenersi che la consapevolezza di quest'ultimo, ai fini di cui si discute, non potesse desumersi dal mero fatto che vi si fosse fatto riferimento nell'atto di citazione introduttivo di un diverso processo tra il condominio e un'altra società nel quale, peraltro, il condominio era difeso da altro procuratore . Tale conclusione si mostra coerente con l'orientamento di questa Corte, che ricollega l'idoneità della comunicazione avvenuta in altro processo ad assurgere a fonte di conoscenza legale dell'evento interruttivo alla medesimezza delle parti dei due processi Cass., numero 20744/2012 Cass., numero 13900/2017 . 3. Con l'unico motivo di ricorso incidentale, il condominio omissis denuncia la violazione degli articolo 1321,1362,1372 e 1223 c.c., censurando la sentenza di merito nella parte in cui, dopo aver riconosciuto l'inadempimento della società costruttrice all'obbligo contrattualmente assunto nei confronti del condominio di adibire un'unità immobiliare di circa 50 mq. ad alloggio del portiere, ha quantificato il danno derivante dalla messa a diposizione di un semplice gabbiotto di mq. 11, prendendo come riferimento il canone medio relativo a un immobile di mq. 40 individuato in Euro 500,00 per un periodo di sei mesi parametrato al preavviso con il quale, sempre ai termini del menzionato accordo, la società costruttrice avrebbe potuto reclamare la restituzione dell'immobile . Deduce il ricorrente incidentale che tale quantificazione arbitrariamente trascura la previsione contrattuale secondo cui, nell'eventualità in cui avesse preteso indietro quel locale, la società avrebbe dovuto mettere a disposizione gratuitamente un altro locale per l'alloggio del custode. Il motivo è fondato, tenuto conto che il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale e, in generale, da inadempimento di un'obbligazione, indipendentemente dalla fonte contrattuale di quest'ultima non può che essere parametrato all'utilità che il creditore avrebbe conseguito nell'ipotesi in cui il contratto fosse stato correttamente adempiuto. Se, dunque, nel caso di specie, si parte dal presupposto che il costruttore si era obbligato a consentire l'uso gratuito, da parte del condominio, di una porzione immobiliare nella quale il custode potesse dimorare stabilmente con la propria famiglia quella specificamente indicata dalle parti ovvero, in caso di richiesta di restituzione, un'altra , la limitazione dell'arco temporale di riferimento al solo periodo di sei mesi si mostra incoerente con l'entità del pregiudizio al quale ragguagliare la liquidazione equitativa. La sentenza impugnata dev'essere, quindi, cassata con rinvio, affinché il giudice del rinvio proceda a una nuova quantificazione del danno in discorso in ragione dell'inadempimento della specifica obbligazione contrattualmente assunta dalla ricorrente. 4. Poiché il ricorso principale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistonò le condizioni per' dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-bis. P.Q.M. Rigetta il ricorso principale accoglie il ricorso incidentale e, per l'effetto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Messina, in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.