Il giudice può acquisire elementi formati dopo l’ammissione del rito

Con la decisione in commento la Corte di Cassazione ha ribadito che, in tema di giudizio abbreviato, il potere di integrazione probatoria ex art. 441 comma 5 c.p.p. può avere ad oggetto qualunque elemento, anche formatosi dopo l’ordinanza con la quale viene ammesso il rito, purché sia ritenuto necessario ai fini del giudizio e faccia riferimento ad itinerari probatori ricavabili dallo stato degli atti. Tanto più che alla difesa resterebbe in ogni caso il diritto di interloquire sull’elemento acquisito e di chiedere eventualmente l’ammissione di prova contraria.

Nello stesso tempo si è ribadito che l'eventuale inutilizzabilità di una prova , ancorché acquisita ex art. 441 comma 5 c.p.p., di per sé non rende invalida la decisione , se non viene dimostrata alla luce delle motivazioni addotte la concreta utilizzazione del materiale inutilizzabile” ai fini decisori, a nulla rilevando che tale prova inutilizzabile” sia stata ritenuta precedentemente come assolutamente necessaria nella fase della sua ammissibilità. A fronte di tali presupposti la Corte ha così respinto o dichiarato inammissibili una serie di motivi di ricorso in cassazione, accogliendo peraltro quelli attinenti alla mancata motivazione relativa all'applicazione dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa, che va dimostrata” nella sua concreta sussistenza, e alle lagnanze protese ad una corretta denuncia del fatto che in caso di aumento della pena ex 597 comma 3 c.p.p. la pena per i reati satelliti già giudicato da altro giudice non può essere maggiore rispetto a quella originariamente disposta nel precedente procedimento, dato il principio della reformatio in peius operante in materia. Lette ed in sé considerate le motivazioni della sentenza in commento sono condivisibili e non paiono meritare particolari critiche, trattandosi di principi ormai consolidati e sui quali ancor oggi sussiste sostanziale condivisione in ambito giurisdizionale.

Presidente Verga – Relatore Pellegrino Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 25/05/2020, la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia resa in primo grado all'esito di giudizio abbreviato dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro in data 12/01/2018, appellata dagli imputati F.E., C.N., D.A. e P.P., rideterminava la pena inflitta al F. e al P. nella misura di anni cinque, mesi quattro di reclusione ed Euro 1.400 di multa ciascuno quella inflitta al D., previo riconoscimento del vincolo della continuazione con i reati oggetto della sentenza della Corte di appello di Catanzaro in data 07/07/2017, irrevocabile in data 13/07/2018, in complessivi anni quattordici di reclusione ed Euro 3.000 di multa confermava, infine, la condanna pronunciata in primo grado nei confronti del C., pari ad anni dieci, mesi quattro di reclusione ed Euro 2.200 di multa. 2. Il F., risulta essere stato condannato per il reato di cui al capo 1 art. 110 c.p. , art. 61 c.p. , n. 7, art. 628 c.p. , comma 3, n. 1 c.p., L. n. 203 del 1991 , art. 7 . Il C., per i reati di cui ai capi 12 art. 110 c.p. , art. 61 c.p. , n. 7, art. 628 c.p. , comma 3, n. 1, comma 3 quater, L. n. 203 del 1991 , art. 7 , 12 bis artt. 582 e 585 c.p. , art. 61 c.p. , n. 2, L. n. 203 del 1991, art. 7 e 13 L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14, L. n. 203 del 1991, art. 7 avvinti dal vincolo della continuazione. Il D., per i reati di cui ai capi 5 art. 110 c.p. , art. 628 c.p. , comma 3, n. 1 e 3, L. n. 203 del 1991, art. 7 e 6 artt. 110 e 81 cpv. c.p. , L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14, L. n. 203 del 1991, art. 7 , avvinti dal vincolo della continuazione. Il P., per il reato di cui al capo 12 art. 110 c.p. , art. 61 c.p. , n. 7, art. 628 c.p. , comma 3, n. 1, 3 quater, L. n. 203 del 1991, art. 7 . 3. Avverso detta sentenza, nell'interesse di C.N., P.P., D.A. ed F.E., sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione. 3. Ricorso nell'interesse di C.N Lamenta il ricorrente Primo motivo violazione di legge in relazione agli artt. 125 e 546 c.p.p. e mancanza di motivazione in ordine alle censure difensive proposte in atto di appello e motivi aggiunti, con travisamento della prova. Si è in presenza di sentenza illegittima per il conclamato travisamento della prova, reso evidente dalla incompatibilità tra le informazioni poste a base del provvedimento impugnato e quelle, sul medesimo punto, esistenti negli atti sentenza apparente, perché con essa la Corte territoriale ha eluso le articolate deduzioni difensive che scardinavano l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado, il cui argomentare è stato acriticamente richiamato dai giudici del gravame. La Corte, anziché prendere in considerazione le censure difensive formulate, ha optato per un completo ed indifferenziato rinvio alle determinazioni del primo giudice con un argomentare privo di completezza ed esaustività, affermando apoditticamente ed immotivatamente che non sussistono le asserite contraddizioni nel racconto del M. . Secondo motivo violazione di legge in relazione alla L. n. 203 del 1991, art. 7 ora 416 bis. 1 c.p. , 125 e 546 c.p.p., manifesta illogicità ed intima contraddittorietà della motivazione con riferimento alla predetta aggravante nella duplice componente del metodo mafioso e della agevolazione mafiosa. Quanto al metodo mafioso era stato lo stesso G.G. capo cosca ad escludere la dimensione associativa della rapina de qua dimostrando il suo disinteresse rispetto a tale delitto, con conseguente esclusione dell'aggravante speciale nella sua dimensione oggettiva e, con riferimento alla dimensione soggettiva, non si riscontra negli atti alcuna risultanza lato sensu dimostrativa della consapevolezza, in capo al C., di aver agito al fine di avvantaggiare un'associazione di tipo mafioso peraltro, nominativamente non individuata ovvero di avere agito nella consapevolezza che tale fine animasse eventuali correi. 4. Ricorso nell'interesse di P.P Lamenta il ricorrente Primo motivo mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il giudizio di colpevolezza a carico del P. è stato affermato esclusivamente sulla scorta di una chiamata in correità formulata dal collaboratore di giustizia M.U.E. ritenuta riscontrata dalla confessione stragiudiziale riportata da altro collaboratore, estraneo ai fatti, Ca.Pa. che su detta partecipazione si esprime in termini probabilistici. Invero, tra i parametri di valutazione a cui devono essere sottoposte le delazioni di un collaboratore ai fini del riconoscimento di un giudizio di credibilità v'e' senz'altro quello della coerenza logica, della costanza, della verosimiglianza, della precisione e della reiterazione senza contraddizioni rilevanti, requisiti che non si rinvengono nel passaggio dichiarativo del M Peraltro, nel momento in cui altri collaboratori hanno rilasciato dichiarazioni sullo specifico episodio tra cui G.G., C.B. ed T.A. non menzionano mai il P. tra i partecipanti alla rapina. La Corte territoriale, nell'affrontare il tema relativo alla credibilità del M., messa in discussione dalle divergenze ed incongruenze dichiarative rispetto a quanto riferito dagli altri collaboratori, richiama alcuni dati dichiarativi e documentali che confermerebbero l'attendibilità in generale del collaboratore in relazione, però, ad altre accuse, senza affrontare la questione della credibilità del M. la Corte ritiene lo stesso attendibile sulla scorta di alcuni elementi che confermerebbero, però, la sua credibilità in relazione alle accuse coinvolgenti gli altri coimputati e non già quelle che coinvolgerebbero il P., atteso che gli elementi all'uopo richiamati in funzione confermativa sono tutti relativi alla fase preparatoria e comunque antecedente alla commissione del delitto, mentre il P., in base alle dichiarazioni del solo M., è chiamato a rispondere in forza di una partecipazione successiva al compimento della rapina segnatamente il recupero dei rapinatori, rispetto alla quale, invece, nulla è dato leggere in sentenza in punto di valorizzazione delle dichiarazioni contraddittorie del chiamante. Si è operata una sorta di efficacia traslativa interna dell'attendibilità intrinseca del dichiarante per cui, una volta che questo aveva superato il giudizio di credibilità relativamente a quanto riferito in ordine ad una parte di un determinato fatto ed alla responsabilità di alcuni autori, ha finito per assumere un credito fiduciario che si sarebbe esteso fino a ricomprendere tutti gli altri fatti da questi trattati e tutti gli altri soggetti accusati finendo così con il violare il principio di scindibilità delle dichiarazioni secondo cui il giudice di merito ben può ritenere veridica solo una parte di una confessione e di una successiva chiamata in correità e nel contempo disattenderne altre parti, prive di riscontri o tali da legittimare la messa in discussione della credibilità del dichiarante limitatamente a tale parte del narrato. Con riferimento poi a Ca.Pa., la sua estraneità ai fatti oggetto di contestazione avrebbe dovuto impegnare sotto il profilo motivazionale ancor di più i giudici di merito rispetto al chiamante in correità, sebbene al contrario sia stata riconosciuta una sorta di autosufficienza probatoria alla dichiarazione del collaboratore, non prevista nemmeno per i testimoni. Una narrazione si considera a buona attendibilità intrinseca quando è logica, coerente, circostanziata nel tempo e nello spazio, ricca di dettagli e così via. Al contrario, quanto riferito da Ca.Pa. è assolutamente generico in quanto privo di qualsivoglia specificazione, in ordine al tempo, al luogo e al contesto in cui si è svolto il fatto riferito, completamente decontestualizzato e privo dei dettagli minimi in grado di consentire la verifica di attendibilità. Secondo motivo violazione ed erronea applicazione dell' art. 192 c.p.p. , comma 3 e art. 546 c.p.p. , lett. e nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Va premesso che, in ordine alla sua personale conoscenza del fatto, Ca.Pa. riferisce che, in una imprecisata circostanza, tale R.O., rivolgendosi anche a P., gli chiese se ricordava della rapina a G.V. e che in quella occasione P. reagì mostrandosi compiaciuto ed esaltato per gli apprezzamenti fatti da R.O Si è eccepito come una simile dichiarazione, a prescindere dalla genericità che la connota, è del tutto evanescente sotto il profilo rappresentativo, non integrando i requisiti minimi per fungere da legittimo riscontro all'accusa formulata da M Il narrato, per come riportato dal collaboratore, è privo dei requisiti idonei ad integrare i presupposti di una confessione stragiudiziale mancando proprio la dichiarazione confessoria, espressa ed univoca, proveniente dall'imputato essa, invero, si sostanzia in una sorta di deduzione operata dal collaboratore sulla scorta di una sua personalissima valutazione sicuramente vietata dalla legge. Nessuna manifestazione verbale espressa vi è stata da parte del P. in ordine alla sua partecipazione al delitto, non potendosi dire che lo stesso abbia rilasciato una dichiarazione confessoria. La manifestazione del Ca. è poi assolutamente probabilistica dopo il colloquio con R.O. ho collegato le varie informazioni deducendo che entrambi, il M. e il P., potevano aver partecipato alla rapina in questione . Nel momento in cui si deve prendere atto che la dichiarazione di un collaboratore è connotata dal dubbio o dalla mera possibilità o da un giudizio probabilistico circa la partecipazione di un soggetto ad un determinato delitto, non solo la stessa non può ritenersi tecnicamente una chiamata accusatoria che certamente non può essere connotata dal dubbio ma, inoltre, non può nemmeno prestarsi a fungere da mero riscontro atteso che anche il riscontro fonda nella certezza la sua valenza confermativa quale simmetrica corrispondenza del dato accusatorio costituito da una chiamata, in correità o in reità, promanante da un collaboratore di giustizia secondo lo schema di cui all' art. 192 c.p.p. , comma 3 rimane la chiamata del solo M. che, a prescindere dalla sua attendibilità, risulta palesemente priva di validi riscontri e, come tale, inidonea a fondare l'affermazione del giudizio di colpevolezza. Terzo motivo erronea applicazione dell' art. 416 bis. 1 c.p. , mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. L'aggravante della mafiosità è stata ritenuta esclusivamente sotto il profilo soggettivo. Nel momento in cui in forza delle stesse dichiarazioni del M. oltre che di G.G. , si è accertato che i proventi della rapina sono stati suddivisi esclusivamente tra i partecipanti al delitto e, nel contempo, nemmeno una parte dell'ingiusto profitto è confluito nelle casse del clan, nella contemporanea estraneità al sodalizio dei concorrenti nel reato e, all'epoca dei fatti, anche dello stesso M., non pare dubitarsi dell'insussistenza dell'aggravante de qua. Inoltre manca qualsivoglia elemento che permetta di ritenere che il P. avesse la consapevolezza della dimensione associativa del delitto. 5. Ricorso nell'interesse di D.A Lamenta il ricorrente Motivo unico violazione di legge, nella specie dell' art. 81 c.p. , in relazione all'aumento di pena operato a titolo di continuazione con i fatti di cui alla sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 07/07/2017 n. 1986/2017 procedimento omissis , definitiva in data 13/07/2018 per i reati di concorso esterno in associazione mafiosa e ricettazione . Con la sentenza impugnata la Corte territoriale, previo riconoscimento del vincolo della continuazione tra fatti già giudicati, ha provveduto al cumulo giuridico tra le pene applicate per i reati di cui al procedimento omissis e quelle oggetto del presente procedimento. Considerando come più grave il fatto di cui al presente procedimento, la Corte territoriale, ha fissato la pena base in anni dieci di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa ed ha aggiunto in continuazione la pena di anni uno, mesi sei di reclusione ed Euro 500,00 di multa per la ricettazione e di anni due, mesi sei di reclusione ed Euro 500 per il concorso esterno in associazione mafiosa, giungendo così alla pena finale di anni quattordici di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa. Evidenzia la difesa come, nel procedimento omissis , la pena finale era stata determinata in anni nove di reclusione, così determinata pena base per il reato di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p., anni otto di reclusione, aumentata di anni uno di reclusione per il reato di cui all' art. 648 c.p. . La pena irrogata per la ricettazione nel procedimento omissis è stata di sei mesi inferiore rispetto a quella irrogata dalla Corte territoriale nella sentenza qui ricorsa tale differenza in termini di computo risulta illegittima alla luce dei principi fondanti l'istituto della continuazione, avendo numerose sentenze di questa Suprema Corte volte a specificare l'ambito di discrezionalità del giudice dell'esecuzione in tal sede equiparabile a quello della cognizione nell'ambito di procedimento diverso rispetto a quello inerente i reati da porsi in continuazione rispetto agli aumenti di pena ex art. 81 c.p. cfr., Sez. 1, n. 14879 dl 27/04/2020 . 6. Ricorso nell'interesse di F.E Lamenta il ricorrente Primo motivo inosservanza ed erronea applicazione dell' art. 438 c.p.p. , comma 4. All'udienza del 20/10/2017, il Giudice dell'udienza preliminare, all'esito del deposito dei risultati delle investigazioni difensive, ammetteva e disponeva il giudizio abbreviato. Il pubblico ministero non chiedeva termine ex art. 438 c.p.p. , comma 4, per lo svolgimento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa riservandosi, all'udienza del 06/04/2018, di depositare memoria scritta. Alla successiva udienza del 22/06/2018, il pubblico ministero rassegnava le proprie conclusioni quindi, all'udienza del 07/09/2018, la difesa del F. procedeva alla discussione finale il processo veniva quindi rinviato all'udienza del 24/09/2018 per la discussione dei rimanenti difensori. In detta sede, il pubblico ministero, in relazione alla posizione del F., chiedeva l'acquisizione di una annotazione di polizia giudiziaria datata 19/09/2018 con allegati al fine di chiarire il rapporto di dipendenza dello stesso con la società omissis e, in assenza di consenso alla produzione, chiedeva l'acquisizione a norma dell' art. 441 c.p.p. , comma 5 il giudice, ritenendo di non essere in grado di decidere in relazione al capo 1 senza la documentazione indicata dal pubblico ministero, disponeva l'acquisizione della citata annotazione di polizia giudiziaria con esclusione dei verbali di sommarie informazioni rese da D.M. e da L.M., le cui dichiarazioni avrebbero potuto transitare agli atti solo all'esito della loro audizione da parte del giudicante nelle forme di cui all' art. 422 c.p.p. , commi 2, 3 e 4. Con i motivi di appello, la difesa di F. eccepiva l'inutilizzabilità della documentazione avanzata dal pubblico ministero per la sua tardività non sanabile attraverso l'esercizio dei poteri di integrazione officiosi del giudice, ritenendo che l'acquisizione avesse di fatto aggirato la disposizione dell' art. 438 c.p.p. , comma 4 pregiudicando il diritto dell'imputato di revocare la scelta del rito deflattivo ed evidenziando che il pubblico ministero aveva svolto l'attività suppletiva in modo irrituale, addirittura dopo la discussione finale della difesa, con atti formatisi successivamente alla richiesta e all'ammissione dell'imputato al rito abbreviato. Diversamente opinando si potrebbero delineare profili di incostituzionalità dell' art. 441 c.p.p. , comma 5, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui non prevede, al pari dell' art. 438 c.p.p. , comma 4, il diritto dell'imputato di revoca della scelta del rito abbreviato. Secondo motivo inosservanza ed erronea applicazione dell' art. 191 c.p.p. e art. 438 c.p.p. , comma 4, in relazione all'utilizzo degli atti derivanti dall'attività di indagine svolta senza richiesta di termine da parte del pubblico ministero inosservanza ed erronea applicazione dell' art. 500 c.p.p. , comma 2 e art. 503 c.p.p. , comma 4 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. I verbali delle sommarie informazioni testimoniali rese alla polizia giudiziaria da D.M. e da L.M. non potevano essere utilizzati nemmeno per le contestazioni, alla luce della loro inutilizzabilità conseguente alla raccolta al di fuori dei casi consentiti dalla legge. In realtà, nel corso del giudizio abbreviato, sia il pubblico ministero che il giudice dell'udienza preliminare utilizzavano per le contestazioni al teste D. e per la conferma delle circostanze precedentemente riferite agli inquirenti, il verbale delle sommarie informazioni rese dal sunnominato nel corso delle indagini preliminari. Si finiva così per ricavare il giudizio di colpevolezza sulla base di prove illegittime atteso che venivano richiamate in motivazione atti investigativi inutilizzabili in quanto acquisiti fuori termine, nonché le succitate dichiarazioni contenute nei verbali di sommarie informazioni ed utilizzate per le contestazioni. La sentenza di appello, inoltre, utilizzava prove che tali non potevano considerarsi, giusta la previsione di cui all' art. 500 c.p.p. , comma 2, che limita l'utilizzo delle contestazioni ai soli fini della valutazione della credibilità del testimone. Terzo motivo mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, travisamento della prova. La decisione del giudice di primo grado di escutere i testi D. e L. è stata ritenuta necessaria ai fini del decidere successivamente all'acquisizione documentale, pure richiamata in sentenza, evidentemente ritenuta insufficiente. Se così e', è chiaro che il giudice non può fondare la propria decisione su tutt'altri elementi senza considerare quanto è stato oggetto della prova testimoniale precedentemente ritenuta necessaria ai fini del decidere. In pratica, il giudice, da una parte, da atto della necessità di ascoltare i testi dopo essere stata acquisita quella documentazione, dall'altra, afferma che comunque la responsabilità di F. emerge dai documenti prodotti dal pubblico ministero a prescindere dall'utilizzo delle contestazioni mosse in base ai verbali di sommarie informazioni testimoniali. Constatare che la Corte territoriale, nel confermare il giudizio di colpevolezza, ricorre nuovamente alle dichiarazioni orali precedentemente rese dal D. agli inquirenti ed utilizzate per le contestazioni, avvalora ancor di più le odierne lagnanze difensive in punto di vizio di motivazione. Si denuncia poi travisamento probatorio nella parte in cui la data di inizio della collaborazione lavorativa del F. con la omissis viene erroneamente indicata in quella del 10/04/2004 in luogo di quella esatta del 08/11/2004. La rilevanza della circostanza non è di poco conto se si considera che era in discussione proprio l'accertamento della data di inizio del rapporto di lavoro del F. presso la omissis avendo tale accertamento, ritenuto necessario ai fini del decidere, una ricaduta diretta in ordine al giudizio di credibilità dei collaboratori M. e G. fortemente messa in discussione dal fatto che all'epoca della rapina omissis il F. assunto da soli quattro giorni non poteva essere oggettivamente a conoscenza dei fatti riferiti dai predetti collaboratori laddove indicavano proprio il ricorrente quale basista che ebbe a riferire tutte le notizie utili per il buon andamento della rapina. La questione del travisamento della prova orale si pone, in questo caso, sotto il profilo della mancata presa in considerazione delle circostanze riferite dal teste D. non già in ordine alla tempistica dell'apprendistato su cui si è erroneamente concentrata l'attenzione dei giudici di merito ma, al contrario, in ordine alle circostanze che hanno connotato il primo periodo lavorativo del F. quale collaboratore del D., essendo evidentemente queste le sole in grado di sciogliere il nodo sotteso alle intraprese integrazioni istruttorie. Dalle dichiarazioni rese dal F. nel contraddittorio delle parti era comunque emerso chiaramente come il F. non potesse sapere, all'epoca della commissione del reato, quanto riferito dai collaboratori. 7. Motivi nuovi nell'interesse di F.E. e di P.P Lamentano i ricorrenti Motivo unico inosservanza ed erronea applicazione dell' art. 601 c.p.p. , commi 3 e 5, art. 178 c.p.p. , comma 1 lett. c e art. 179 c.p.p. inosservanza ed erronea applicazione del D.L. n. 11 del 2020, art. 2, comma 2, lett. g . Evidenziano i ricorrenti come all'udienza del 25/05/2020 in cui il processo d'appello era stato discusso e deciso, era stata eccepita in via preliminare l'intempestività della notifica dell'avviso di fissazione di detta udienza per violazione del termine di venti giorni di cui all' art. 601 c.p.p. , essendo stato l'avviso notificato solo in data 18/05/2020. La Corte territoriale aveva rigettato l'eccezione sostenendo che non si trattava della prima udienza di trattazione già fissata per l'11/03/2020 e differita d'ufficio e che conseguentemente nessun termine minimo doveva esser osservato. In realtà, i giudici di merito non avevano tenuto conto che, ancor prima dell'11/03/2020 erano entrati in vigore una serie di provvedimenti legislativi, tra cui il D.L. n. 11 del 2020 che, all'art. 2, comma 1, lett. g , stabiliva espressamente il rinvio d'ufficio delle udienze a data successiva al 31/05/2020 senza la partecipazione delle parti, con le eccezioni e i correlativi adempimenti notificatori ivi espressamente previsti ed ulteriormente specificati con il D.L. n. 18 del 2020 che, all'art. 83, stabiliva che le comunicazioni e le notificazioni degli avvisi e dei provvedimenti adottati fuori udienza venissero effettuate tramite sistema telematico ai difensori anche per gli imputati. Considerato in diritto 1. Il ricorso di D.A. è fondato con esclusivo riferimento al trattamento sanzionatorio che va rideterminato con nuovo giudizio davanti ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Il ricorso di P.P., a sua volta, è fondato con esclusivo riferimento all'aggravante dell'agevolazione mafiosa, con conseguente necessità di nuovo giudizio davanti ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro nel resto, il ricorso è inammissibile. Infine, i ricorsi di C.N. e di F.E. sono integralmente inammissibili. 2. Ricorso nell'interesse di C.N 2.1. Aspecifico e comunque manifestamente infondato è il primo motivo. La Corte territoriale ha basato la pronuncia di affermazione di penale responsabilità del C. non solo sul narrato del M. ma anche sulle dichiarazioni di G.G. e di Ca.Pa. che lo avevano indicato come autore materiale della rapina. Il C. insiste nella prospettazione proposta in sede di gravame di appello, incentrando le proprie censure sulle dichiarazioni di C.B. che la Corte territoriale ha ritenuto assumere una valenza marginale nel percorso motivazionale della sentenza di primo grado. Secondo la difesa, il C., dopo le iniziali dichiarazioni del 21/01/2013 avrebbe reso affermazioni difformi nell'interrogatorio del 31/03/2014, non confermando più la presenza del C. nella fase esecutiva del delitto. In realtà, i giudici di secondo grado hanno riconosciuto che il C. ha confermato punto per punto le dichiarazioni del M. discostandosene solo nella parte attinente alla sua partecipazione alla rapina che egli ha sempre negato . Ma non solo. Ulteriore riscontro alla partecipazione di C.N. alla contestata rapina di cui al capo 12 , proviene dagli esiti del sopralluogo effettuato dai militari intervenuti sul posto e dalle ulteriori investigazioni di polizia giudiziaria dalle quali si evince che la dinamica, il numero dei partecipi, la data ed il luogo dell'evento coincidono in maniera precisa ed inconfutabile con le dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia. A tal proposito . si significa che la documentazione acquisita comprende il referto del 118 che trasportava la vittima presso il Pronto Soccorso di omissis vi sono anche le sommarie informazioni rese dai proprietari dell'attività commerciale . che confermano quanto narrato dal M. e da C. in relazione al fatto che prima della rapina si recarono unitamente a B.M. presso il bar della vittima ove notavano la presenza in uno stanzino del G.V., del figlio e del dipendente A. dietro il bancone vi sono le immagini ricavate dai sistemi di video sorveglianza dalle quali si rileva . la presenza dell'auto . in uso al B. nei pressi del omissis parcata in modo tale da poter osservare il suddetto esercizio commerciale per come dichiarata dal M. . Non sussistono, pertanto, le asserite contraddizioni nel racconto del M., il quale . è capo del gruppo ed ha preso parte alle rapine, oggetto di causa. Egli fornisce una descrizione dettagliata delle varie fasi dell'azione delittuosa e del ruolo svolto da ciascun partecipe . . Gli elementi probatori che precedono permettono di ritenere pienamente attendibile il riscontrato narrato del M., di ricostruire appieno gli accadimenti riferiti e, nello stesso tempo, di escludere il denunciato - in termini di assoluta genericità - vizio di travisamento della prova. Con queste argomentate e non illogiche conclusioni, il ricorrente non si confronta, preferendo la strada , conducente all'inammissibilità, della sostanziale reiterazione del motivo di appello. 2.2. Inammissibile perché aspecifico è il secondo motivo di ricorso. Premessa la dimensione soggettiva dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa il ricorrente ne lamenta l'insussistenza sottolineando come nel pur poderoso incarto processuale non vi fosse alcuna risultanza dimostrativa della consapevolezza in capo al C. di avere agito al fine di avvantaggiare un'associazione di tipo mafioso, peraltro non individuata, ovvero di avere agito nella consapevolezza che tale fine animasse altri correi. La doglianza così come proposta si appalesa aspecifica per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione meramente assertiva del vizio denunciato. La Corte territoriale, nel richiamare espressamente la pronuncia di primo grado, sulla base di una valutazione complessiva delle dichiarazioni dei collaboratori sul ruolo del C. nella specifica vicenda e più in generale sui suoi rapporti con i coimputati o con altri soggetti intranei o comunque vicini alla cosca, ha ritenuto che non poteva sostenersi che il ricorrente, ancorché ovviamente mosso anche dall'intento di arricchirsi personalmente, non sapesse e dunque non volesse agevolare la cosca capeggiata dal G In proposito questa Corte Suprema ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di ricorso per Cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p. , comma 1, lett. c , all'inammissibilità del ricorso. 3. Ricorso nell'interesse di P.P 3.1. Aspecifici e comunque manifestamente infondati sono sia il primo che il secondo motivo, trattabili congiuntamente per i reciproci collegamenti. Si è in presenza di censure che omettono di indicare il profilo motivazionale inciso dal dedotto errore di valutazione e che tendono ad offrire alla Corte di legittimità una lettura alternativa delle emergenze processuali, notoriamente irricevibile. Come è noto, il vizio di motivazione, per superare il vaglio di ammissibilità, non deve essere diretto a censurare genericamente la valutazione di col pevolezza, ma deve invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione argomentativa quest'ultima, declinabile sia nella mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato. 3.1.1. E' noto, infatti, che il perimetro della giurisdizione di legittimità è limitato alla rilevazione delle illogicità manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi specifici del percorso argomentativo, che non possono dilatare l'area di competenza della Suprema Corte alla rivalutazione dell'interno compendio indiziario. Le discrasie logiche e le carenze motivazionali per essere rilevanti devono, inoltre, possedere il requisito della decisività, ovvero essere idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa. In questa prospettiva, il principio dell'oltre ragionevole dubbio , introdotto nell' art. 533 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006 , non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell'appello Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579 . 3.1.2. Nel caso di specie, come evidenziato in premessa, il ricorrente piuttosto che rilevare vizi decisivi della motivazione si limita ad offrire una interpretazione degli elementi di prova raccolti diversa da quella effettuata dai collegi di merito, in contrasto palese con le indicate linee interpretative. La Corte territoriale ha basato la pronuncia di affermazione di penale responsabilità del P. non solo sul narrato del M. ma anche sulle concordanti dichiarazioni di G.G., Ca.Pa. e Ca.Gi 3.1.3. Anche nei confronti del P., dagli atti relativi al sopralluogo effettuato dai militari intervenuti sul posto nonché dall'attività di polizia giudiziaria, si evince che la dinamica, il numero dei partecipi, la data ed il luogo dell'evento coincidono in maniera precisa ed inconfutabile con le dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia. La documentazione acquisita comprende il referto del 118 che trasportava la vittima presso il Pronto Soccorso di omissis vi sono anche le sommarie informazioni rese dai proprietari dell'attività commerciale . che confermano quanto narrato dal M. e da C. in relazione al fatto che prima della rapina si recarono unitamente a B.M. presso il bar della vittima ove notavano la presenza in uno stanzino del G.V., del figlio e del dipendente A. dietro il bancone vi sono le immagini ricavate dai sistemi di video sorveglianza dalle quali si rileva . la presenza dell'auto . in uso al B. nei pressi del omissis parcata in modo tale da poter osservare il suddetto esercizio commerciale per come dichiarata dal M. . Non sussistono, pertanto, le asserite contraddizioni nel racconto del M., il quale . è capo del gruppo ed ha preso parte alle rapine, oggetto di causa. Egli fornisce una descrizione dettagliata delle varie fasi dell'azione delittuosa e del ruolo svolto da ciascun partecipe . . Alle dichiarazioni del M. si aggiungono, come detto, quelle del Ca.Pa., che da un lato riferisce di aver appreso all'epoca dei fatti da T.A. del coinvolgimento del M., dall'altro, quanto al coinvolgimento del P., di ricordare come il P. si fosse dimostrato compiaciuto per gli apprezzamenti ricevuti da O.R. in relazione alla sua partecipazione alla rapina in esame. 3.1.4. La Corte territoriale ha riconosciuto che il riferito del Ca. su P., integri un'ipotesi di confessione stragiudiziale. Ritiene il Collegio che la natura extraprocedimentale delle dichiarazioni oggettivamente confessorie del ricorrente entrate a far parte del compendio probatorio grazie al narrato di Ca.Pa., estrae le stesse dall'area della dichiarazione processuale sicché, esse possono essere utilizzate a prescindere dal rispetto dello statuto processuale della prova dichiarativa, dovendo essere valutate in coerenza con le regole che governano l'utilizzabilità e la valutazione della prova che in concreto le veicola nel processo. Sul punto, non può che ribadirsi il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la confessione stragiudiziale dell'imputato assume valore probatorio secondo le regole del mezzo di prova che la immette nel processo e, ove si tratti di prova dichiarativa, con l'applicazione dei relativi criteri di valutazione cfr., Sez. 5, n. 11296 del 22/11/2019, dep. 2020, Vegini, Rv. 278923 Sez. 2, n. 38149 del 18/06/2015, Russo, Rv. 264972 Sez. 1, n. 17240 del 02/02/2011, Consolo, Rv. 249960 Sez. 5, n. 38252 del 15/07/2008, Auriemma, Rv. 241572 . Su queste premesse, corretta appare l'utilizzazione ed il conseguente regime valutativo delle dichiarazioni confessorie extragiudiziali rese dal P 3.1.5. Anche il P., con queste argomentate e non illogiche conclusioni, omette di confrontarsi, preferendo la strada , conducente all'inammissibilità, della sostanziale reiterazione del motivo di appello. 3.2. Fondato e', invece, il terzo motivo di ricorso. Lamenta il ricorrente che la decisione impugnata non ha indicato i presupposti previsti dalla legge ai fini dell'integrazione dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa evidenziando alcuni elementi che, ad avviso del denunciante, oggettivamente impedirebbero di affermare la sussistenza della predetta aggravante. Rileva come dalle stesse dichiarazioni dei collaboratori sarebbe emerso che i proventi della rapina sono stati suddivisi esclusivamente tra i partecipanti al delitto e nemmeno una parte dell'ingiusto profitto è confluito nelle casse dei clan. E' stato inoltre evidenziato l'estraneità al sodalizio dei concorrenti nel reato all'epoca dei fatti. Alla luce di tali doglianze, la Corte di appello di Catanzaro si sarebbe limitata ad affermare la ricorrenza dell'aggravante sul presupposto che il profitto era destinato sia pure indirettamente ad agevolare le attività delittuose della cosca G Viene sottolineato come a tale premessa non consegua una minima spiegazione sul come o su quali attività illecite della cosca, anche esterne all'associazione, ma a questa riconducibili, avrebbe prodotto vantaggi il delitto in argomento. Viene, inoltre, sottolineato come nel caso di concorso di persone nel reato, avendo l'aggravante in questione natura soggettiva, per come da ultimo affermato dalle sezioni unite, si doveva rinvenire e indicare specificatamente gli elementi in forza dei quali sostenere che P. fosse consapevole della finalizzazione dei proventi della rapina o di una parte di essi a vantaggio della consorteria mafiosa dei G. prima di poter affermare la sussistenza dell'aggravante anche per il P Rileva, infine, come sempre secondo l'interpretazione data dalle sezioni unite la corretta interpretazione della norma impone la prova che l'agevolazione rappresenti il momento esclusivo o anche solo dominante dell'azione. Poiché, nel caso di specie, da una parte vi è la dimostrazione che i proventi sono stati ripartiti esclusivamente tra i concorrenti del reato e, dall'altra, non viene indicato l'elemento dimostrativo della consapevolezza in capo al ricorrente della finalità agevolativa della sua condotta delle attività illecite riconducibili alla consorteria G., lamenta il ricorrente mancanza di motivazione e comunque mancanza dei presupposti legittimanti l'affermazione di sussistenza dell'aggravante. A fronte di tali specifiche contestazioni, la Corte territoriale si è limitata ad affermare la sussistenza dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa sul presupposto che il profitto era destinato sia pure indirettamente ad agevolare le attività delittuose della cosca G Sussiste pertanto la lamentata mancanza di motivazione con annullamento della sentenza impugnata in relazione all'aggravante in parola, con conseguente necessità di nuovo giudizio davanti ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. 4. Ricorso nell'interesse di D.A 4.1. Fondato è l'unico motivo proposto. Il giudice di primo grado, considerando come più grave il reato di cui al capo 5, ha fissato la pena base in anni dieci di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, aumentandola di anni quattro di reclusione e di Euro 700,00 di multa per l'aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7 e di ulteriori anni uno di reclusione ed Euro 300,00 di multa ex art. 81 cpv. c.p. per il capo 6. Sulla pena finale complessiva di anni quindici di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, ha quindi operato la diminuzione di un terzo per il rito abbreviato, giungendo alla pena finale di anni dieci di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa. Va evidenziato in premessa come, in tema di rapina aggravata, la modifica introdotta dalla L. n. 497 del 1974, art. 3 all' art. 628 c.p. , comma 3, all'epoca, u.c. della citata norma , secondo la giurisprudenza prevalente non ha tolto il carattere di autonomia alle singole ipotesi circostanziali ivi previste pertanto, quando concorrano le speciali circostanze aggravanti di cui alla citata norma, il giudice, ai sensi dell' art. 63 c.p. , comma 4, invece di considerarle assorbite nella pena autonomamente stabilità della legge, può procedere nell'esercizio del suo potere discrezionale, all'aumento fino ad un terzo della pena edittale. Con la sentenza impugnata la Corte territoriale, previo riconoscimento del vincolo della continuazione tra fatti già giudicati, ha provveduto al cumulo giuridico tra le pene applicate per i reati di cui al procedimento omissis e quelle oggetto del presente procedimento. Partendo dalla pena base del reato - ritenuto più grave - di cui al capo 5, indicata in anni dieci di reclusione ed Euro 2.000 ,00 di multa, la Corte territoriale ha aumentato la pena di anni uno, mesi sei di reclusione ed Euro 500,00 di multa per la già giudicata ricettazione e di anni due, mesi sei di reclusione ed Euro 500,00 di multa per il già giudicato concorso esterno in associazione, arrivando alla pena finale complessiva di anni quattordici di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa. Evidenzia il Collegio come, in realtà, il primo errore di calcolo non emendabile in questa sede, rilevabile d'ufficio, si colloca a monte e riguarda l'aumento di pena effettuato dal primo giudice e ripreso dal secondo, in relazione all'aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7. Detto aumento risulta operato in violazione dell' art. 63 c.p. , comma 4 invero, l'aumento massimo di pena un terzo , da calcolarsi sulla pena base di anni dieci di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, avrebbe dovuto determinare un incremento di pena massimo pari ad anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 667,00 di multa. L'effettuato maggior aumento di pena, a tale titolo, pari ad anni quattro di reclusione ed Euro 700,00 di multa, pertanto, è da ritenersi illegale. La pena di anni tredici, mesi quattro di reclusione ed Euro 2.667,00, si sarebbe dovuta aumentare ex art. 81 c.p. in relazione al capo 6 , di anni uno di reclusione ed Euro 300,00 di multa e fissarsi in complessivi anni quattordici, mesi quattro di reclusione ed Euro 2.967,00 di multa la successiva diminuzione di un terzo per il rito, avrebbe dovuto fissare la pena, per i soli fatti di cui al presente procedimento, in anni nove di reclusione ed Euro 1.978,00 di multa. Il secondo errore e', invece, quello puntualmente denunciato dal ricorrente. Secondo l'ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di applicazione della disciplina della continuazione, il giudice della cognizione, che individui il reato più grave - come nella fattispecie - in quello sottoposto al suo esame e i reati satellite in quelli già giudicati con sentenza irrevocabile, nella rideterminazione della pena, è vincolato al rispetto del divieto di reformatio in peius di cui all' art. 597 c.p.p. , comma 3, non potendo, pertanto, quantificare l'aumento della pena per detti reati satellite in misura superiore rispetto a quella originariamente disposta nella sentenza divenuta irrevocabile v., ex multis, Sez. 3, n. 13725 del 15/11/2018, dep. 2019, Ferrigno, Rv. 275187 . Attraverso l'aumento di pena per la giudicata ricettazione, operato dal successivo giudice in misura superiore rispetto alla sanzione irrogata dal giudice di quel processo la pena detentiva è passata da anni uno di reclusione ad anni uno e mesi sei di reclusione , si mostra in tutta evidenza la denunciata violazione di legge. Da qui l'annullamento della sentenza nei confronti del D. in punto di trattamento sanzionatorio che il giudice di rinvio dovrà rideterminare tenendo conto dei precetti di cui sopra. Alla pronuncia consegue la declaratoria di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità nei confronti del ricorrente. 5. Ricorso nell'interesse di F.E 5.1. Manifestamente infondato è il primo motivo. 5.1.1. Lo stesso non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, la quale, sulla scia della consolidata giurisprudenza di legittimità, ricorda che, in tema di giudizio abbreviato condizionato, il potere di integrazione probatoria ex officio attribuito al giudice dall' art. 441 c.p.p. , comma 5, è preordinato alla tutela dei valori costituzionali che devono presiedere, anche nei giudizi a prova contratta, all'esercizio della funzione giurisdizionale e risponde, pertanto, alle medesime finalità cui è preordinato il potere previsto dall' art. 507 c.p.p. in dibattimento cfr., Sez. 5, n. 2672 del 22/11/2018, dep. 2019, Velardita, Rv. 274594 Sez. 1, n. 42050 del 01/07/2014, Sorgato, Rv. 260514 Sez. 2, n. 40724 del 18/9/2013, Riccio, Rv. 256730 . Dal presupposto che il giudizio abbreviato non possa più configurarsi come negozio giuridico processuale bilaterale essendo venuta meno la necessità di ottenere il consenso del pubblico ministero ed essendosi, in questa prospettiva, valorizzata la manifestazione di volontà proveniente dal solo imputato, a dimostrazione di un negozio giuridico processuale unilaterale - con o senza condizione - con il quale l'imputato presta il consenso all'utilizzazione degli atti formati dall'accusa senza la sua partecipazione, ne deriva, come logico corollario, che la decisione conclusiva del giudizio abbreviato può tenere conto di tutti gli atti ritualmente acquisiti al corredo processuale, purché non affetti da vizi eccepiti dalle parti o rilevabili d'ufficio. 5.1.2. Ciò ricordato, giova subito chiarire che, pronunciata l'ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato, non matura affatto nell'imputato alcun diritto ad essere giudicato senza che il giudice, ricorrendone le condizioni, possa disporre, in qualsiasi momento della fase processuale, un'integrazione probatoria che si rendesse necessaria per acquisire gli elementi necessari ai fini della decisione, nell'ipotesi in cui non fosse appunto possibile, sia ex ante che ex post, decidere allo stato degli atti. In altri termini, la richiesta di giudizio abbreviato non neutralizza i poteri officiosi del giudice cristallizzando, una volta ammesso il rito, il materiale processuale in quello posto dal pubblico ministero a fondamento dell'azione penale od in quello acquisito dal giudice all'esito dell'integrazione probatoria cui l'imputato abbia, con successo, condizionato la richiesta di ammissione al rito speciale e così paralizzando, anche al cospetto di un'incompletezza di un'informazione probatoria risultante dagli atti processuali, i poteri integrativi officiosi del giudice. Il giudizio abbreviato non presuppone pìù come condizione per la sua ammissibilità la definizione del processo allo stato degli atti come, a torto, sembra ipotizzare il ricorrente e perciò neppure il consenso del pubblico ministero, con la conseguenza che l'accesso al rito non potrà mai essere rifiutato in presenza di carenze del quadro probatorio od istruttorio. Questo principio vale in assoluto nel caso in cui l'imputato richieda il giudizio abbreviato puro e vale anche nell'ipotesi di richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria quando questa risulti necessaria ai fini della decisone e compatibile con le finalità proprie del procedimento. Per questa ragione, la scelta unilaterale dell'imputato non può fondare alcuna aspettativa circa un preteso diritto ad essere giudicati sulla sola base degli atti disponibili al momento dell'ordinanza ammissiva del rito sia nell'ipotesi di richiesta di giudizio abbreviato secco o puro o non condizionato dall'imputato ad integrazioni probatorie e sia nell'ipotesi di richiesta, accolta dal giudice, di giudizio abbreviato condizionato dall'imputato ad integrazioni probatorie perché qualora il giudice, in qualsiasi momento, dovesse rendersi conto dell'incompletezza delle indagini e della conseguente impossibilità di possedere gli elementi necessari per la decisione - l'integrazione probatoria officiosa costituisce l'unica forma di bilanciamento rispetto alla inevitabilità del giudizio abbreviato, rimesso alla scelta unilaterale dell'imputato, ed essa non è condizionata alla sua complessità od alla lunghezza dei tempi dell'accertamento probatorio né è soggetta a limiti temporali e può dunque intervenire in qualsiasi momento e fase della procedura Sez. 6, n. 11558 del 23/01/2009, Trentadue, Rv. 243063 . 5.1.3. Va, inoltre, ricordato come la Corte costituzionale sent. 7 - 9 maggio 2001 n. 115 - nel ritenere infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata per la ritenuta lesione dei poteri attribuiti al pubblico ministero perché privato ex L. n. 479 del 1999 della possibilità di esprimere il consenso sulla scelta del rito anche quando la richiesta dell'imputato si fosse materializzata in procedimenti affetti da evidenti lacune probatorie - ebbe a precisare come la scelta del legislatore di eliminare la valutazione del Giudice sull'ammissibilità del giudizio abbreviato, salvo che nell'ipotesi di cui all' art. 438 c.p.p. , comma 5, si innestasse proprio nel solco della giurisprudenza costituzionale, la quale, in presenza delle condizioni per addivenire al giudizio abbreviato, riconobbe all'imputato, che ne avesse fatto richiesta, il diritto di ottenere la riduzione di un terzo della pena, dichiarando l'illegittimità costituzionale della disciplina che non prevedeva la motivazione del dissenso del pubblico ministero sent. n. 66 del 1990, n. 183 del 1990 e n. 81 del 1991 e il controllo giurisdizionale sull'ordinanza di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato sent. n. 23 del 1992 con la conseguenza che in entrambe le ipotesi il Giudice del dibattimento, ove avesse ritenuto ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, ovvero non fondato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari avesse dichiarato il procedimento non definibile allo stato degli atti, avrebbe dovuto applicare egli stesso la riduzione di un terzo della pena. Strettamente collegato a questi profili di illegittimità costituzionale era poi il problema dei parametri ai quali avrebbe dovuto attenersi il pubblico ministero nel motivare il proprio dissenso sulla richiesta di giudizio abbreviato. In assenza di una esplicita indicazione legislativa, la Corte individuò il parametro della definibilità del procedimento allo stato degli atti, cioè il criterio dettato per la valutazione di ammissibilità del rito che operava il Giudice per le indagini preliminari ai sensi dell'abrogato art. 440 c.p.p. , comma 1, sent. n. 81 del 1991 . E poiché, come rilevò la successiva sentenza n. 92 del 1992, era lo stesso pubblico ministero a decidere quali e quante indagini esperire in vista della richiesta di rinvio a giudizio, ne derivò. 5.1.4. Da qui la riaffermazione del principio di diritto secondo cui in tema di giudizio abbreviato, l'integrazione probatoria disposta dal giudice ai sensi dell' art. 441 c.p.p. , comma 5, può riguardare anche la ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilità all'imputato, atteso che gli unici limiti a cui è soggetto l'esercizio del relativo potere sono costituiti dalla necessità ai fini della decisione degli elementi di prova di cui viene ordinata l'assunzione e dal divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti . 5.1.5. Ciò considerato, venendo alla fattispecie in esame, non può in alcun modo ritenersi precluso al giudice dell'abbreviato acquisire, in via autonoma o su richiesta di parte, un'annotazione di polizia giudiziaria, venuta in essere dopo l'ammissione al rito abbreviato e la discussione del pubblico ministero e finalizzata a chiarire un tema decisivo della res judicanda. Su queste basi, appare del tutto assertiva la denunciata violazione del contraddittorio e dei diritti della difesa, dal momento che l'acquisizione è avvenuta in udienza, sicché nulla ha impedito all'imputato e alla sua difesa di esporre le proprie ragioni sull'irrilevanza dei contenuti dell'atto/documento, attraverso la semplice replica orale in discussione ovvero la richiesta di ammissione a prova contraria ex art. 495 c.p.p. , comma 2. 5.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo. La giurisprudenza di legittimità, con indirizzo unanime, riconosce valore probatorio alla conferma del testimone immemore, nel corso della deposizione dibattimentale ed a seguito di contestazione, delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari Sez. 1, n. 23012 del 14/05/2009, Marini, Rv. 244451 . E ciò sia quando il teste rimandi al più vivido ricordo dei fatti in occasione delle informazioni rese in fase di indagini, sia quando si limiti all'affermazione che quanto in precedenza dichiarato risponda al vero, giacché la risposta alla contestazione per difetto di ricordo veicola nel dibattimento quanto già dichiarato in precedenza cfr., Sez. 2, n. 31593 del 13/07/2011, Accardi, Rv. 250913 Sez. 2, n. 13927 del 04/03/2015, Amaddio, Rv. 264014 . Ritiene il Collegio che, allorché il testimone manifesti genuina difficoltà di elaborazione del ricordo, le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni debbono ritenersi confermate se lo stesso ne affermi la veridicità in varia guisa, anche mediante richiami atti a giustificare il deficit mnemonico, sicché le stesse possono essere recepite ed utilizzate come se rese direttamente in sede dibattimentale cfr., Sez. 2, 35428 del 08/05/2018, Caia, Rv. 273455 Sez. 2, n. 17089 del 28/02/2017, Lubine, Rv. 270091 Sez. 2, n. 10483 del 21/02/2012 Russo, Rv. 252707 Sez. 4, n. 18973 del 09/03/2009, Cacchiarelli, Rv. 244042 e - ove stimate attendibili - poste a fondamento del giudizio di penale responsabilità. Al contrario, in presenza di ritrattazione dei contenuti dichiarativi delle contestazioni, l'utilizzazione deve ritenersi preclusa, fatta salva l'ipotesi di recupero mediante la procedura ex art. 500 c.p.p. , comma 4, in ipotesi di violenza, minaccia o subornazione del teste. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha congruamente e correttamente scrutinato la doglianza difensiva sul punto, evidenziando come, da un lato, i testi avessero in ogni caso confermato, nel contraddittorio, circostanze già risultanti dalla documentazione acquisita ovvero il rapporto di lavoro del F. presso la omissis e, dall'altro, con specifico riferimento alle contestazioni al teste D., che del tutto corretta doveva ritenersi l'affermazione del giudice di primo grado secondo la quale il succitato teste avesse comunque confermato, anche a seguito delle formali contestazioni, le dichiarazioni rese in precedenza, rispondendo alle sollecitazioni del pubblico ministero, a distanza di due anni e mezzo dai fatti, con l'espressione, ampiamente giustificativa, del seguente tenore Confermo quanto dichiarato, ripeto, non ho l'immagine nitida ma se l'ho dichiarato questo e' . 5.3. Aspecifico e comunque manifestamente infondato è il terzo motivo. Si è in presenza di una deduzione difensiva circolare e tautologica che tende ad una rilettura in fatto, notoriamente non consentita in sede di legittimità. In realtà, i giudici di merito compiono una valutazione complessiva, completando con il testimoniale il compendio probatorio documentale. A fronte di detta pienamente legittima operazione ermeneutica, il ricorrente si è limitato ad una generica contestazione di inutilizzabilità di atti senza aver proceduto alla preliminare e necessaria verifica integrante la c.d. prova di resistenza , ineludibile presidio per dimostrare l'incidenza dell'eventuale eliminazione delle indicate dichiarazioni sul complessivo compendio probatorio fondante la pronuncia di responsabilità cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218 Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, Lucamarini, Rv. 279829, che afferma il principio in parola in relazione alla fattispecie, del tutto assimilabile, della dedotta inutilizzabilità della prova introdotta ex art. 507 c.p.p. dimostrazione che non può trovare eccezione neppure nel caso di prova introdotta dal giudice dai sensi dell' art. 441 c.p.p. , comma 5, perché, in tale evenienza, il decidente formula una mera prognosi di decisività della fonte di cui ordina l'acquisizione, decisività che, ai fini della ricordata prova di resistenza, deve poi trovare conferma nell'effettivo risultato derivato dall'assunzione della prova stessa. Da qui l'affermazione del principio di diritto Nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si deduca l'inutilizzabilità della prova introdotta ai sensi dell' art. 441 c.p.p. , comma 5, il motivo di impugnazione, a pena di inammissibilità per difetto di specificità, deve illustrare l'incidenza della sua eventuale eliminazione sul complessivo compendio probatorio, ai fini della cosiddetta prova di resistenza , atteso che, in sede di ammissione di nuove prove, il giudice formula una mera prognosi di decisività della fonte di cui ordina l'acquisizione, che deve trovare conferma nell'effettivo risultato derivato dalla assunzione della prova stessa . Va, infine, evidenziato come la stessa sentenza impugnata avesse invitato il ricorrente a procedere alla prova di resistenza, riconoscendo espressamente come l'utilizzo degli atti - ritenuti inutilizzabili dalla difesa - non modifica la decisione in punto di responsabilità penale, stante la documentazione in atti dalla quale risulta il contratto di lavoro del F. ed il periodo di apprendistato dal medesimo svolto prima dell'effettivo inizio dell'attività lavorativa sollecitazione che la parte non ha colto. 6. Motivi nuovi nell'interesse F.E. e di P.P Va osservato in premessa che, le deduzioni dei c.d. motivi aggiunti possono essere esaminate soltanto in quanto non costituenti motivo nuovo ciò in quanto la facoltà conferita all'appellante ed al ricorrente dall' art. 585 c.p.p. , comma 4, deve trovare necessario riferimento nei motivi principali e rappresentare soltanto uno sviluppo o una migliore e più dettagliata esposizione dei primi, anche per ragioni eventualmente non evidenziate in precedenza, ma sempre collegabili ai capi e punti già dedotti Sez. 1, n. 46950 del 02/11/2004, Sisic, Rv. 230181 . Ne consegue che motivi nuovi ammissibili sono soltanto quelli coi quali, a fondamento del petitum già proposto nei motivi principali d'impugnazione, si alleghino ragioni giuridiche diverse da quelle originarie, non potendo essere ammessa l'introduzione di censure nuove in deroga ai termini tassativi entro i quali il ricorso va presentato. I motivi nuovi proposti a sostegno dell'impugnazione devono, pertanto, avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di impugnazione a norma dell' art. 581 c.p.p. , comma 1, lett. a cfr., Sez. 6, n. 73 del 21/09/2011, dep. 2012, Aguì, Rv. 251780 Sez. 6, n. 27325 del 20/05/2008, D'Antino, Rv. 240367 . Da qui la necessità di ribadire cfr., Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, Platamone, Rv. 254301 il seguente principio di diritto In materia di termini per l'impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi o aggiunti incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, dei quali i motivi ulteriori devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma risultando sempre ricollegabili ai capi ed ai punti già dedotti ne consegue che sono ammissibili soltanto i motivi nuovi o aggiunti con i quali, a fondamento del petitum dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, non anche quelli con i quali si intenda allargare l'ambito del predetto petitum, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione . Tutto ciò considerato, evidenzia il Collegio come, in relazione ai motivi aggiunti di ricorso oggetto della memoria de qua, si sia in presenza di censure del tutto diverse e scollegate da quelle presentate nei ricorsi principali rispettivamente proposti da F.E. e P.P. in ogni caso, non denunciando una violazione di legge assoluta rilevabile d'ufficio, gli stessi - per le ragioni dinanzi esposte - non possono essere scrutinati nella presente sede di legittimità. 7. Ricapitolando -si dispone l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di D.A. limitatamente al trattamento sanzionatorio e nei confronti di P.P. limitatamente all'aggravante dell'agevolazione mafiosa, con rinvio per nuovo giudizio sui rispettivi punti ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro - si dichiara l'irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità di D.A. e l'inammissibilità nel resto del ricorso di P.P., con conseguente irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità anche nei confronti di quest'ultimo - si dichiara, infine, l'inammissibilità dei ricorsi di C.N. e di F.E.E., che vengono condannati, ex art. 616 c.p.p. , al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.A. limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità di D.A Annulla la sentenza impugnata nei confronti di P.P. limitatamente all'aggravante dell'agevolazione mafiosa con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di P.P. e irrevocabile l'affermazione di responsabilità. Dichiara inammissibili i ricorsi di C.N. e di F.E. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.