Regala vestiti di lusso al compagno detenuto: scatta la sanzione disciplinare

Confermata la condanna per un uomo, beccato a passare costosi capi di abbigliamento ad un altro detenuto per fargli un regalo di compleanno.

Con la sentenza in esame, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità dell'imputato per l'inosservanza dell'articolo 77, comma 1, numero 16, d.P.R. 30 giugno 2000, numero 230, che vieta il passaggio di beni non consentiti a un compagno dello stesso gruppo di socialità. Nello specifico, il ricorrente lamenta che la violazione contestata non integrerebbe alcun illecito disciplinare, dal momento che lo scambio di oggetti tra detenuti appartenenti allo stesso gruppo di socialità sarebbe consentito dopo la sentenza della Corte Costituzionale numero 97/2020. Il ricorso è infondato. La Corte di Cassazione, infatti, afferma che, anche dopo la sentenza di accoglimento, resta consentito all'Amministrazione penitenziaria disciplinare le modalità di effettuazione degli scambi, nonché di predeterminare le condizioni per introdurre eventuali limitazioni, dovendo comunque risultare giustificate da precise esigenze, da motivare espressamente e sindacabili, in relazione al caso concreto, dal magistrato di sorveglianza. Pertanto, l'Amministrazione penitenziaria conserva un potere-dovere di controllare la natura dei beni consegnati, al fine di verificare, in concreto, «se nello scambio o comunque nella dazione gratuita possano celarsi operazioni che vadano oltre le modalità di ordinaria condivisione di oggetti di scarso valore o le manifestazioni di semplice solidarietà amicale tra reclusi». Nel caso di specie, tuttavia, il detenuto, in maniera occulta, aveva regalato dei capi di vestiario ad un altro soggetto recluso, e che il destinatario del regalo era un soggetto indicato come di «rilevante spessore criminale», con la conseguenza che «poteva ragionevolmente ritenersi che la dazione rientrasse, in realtà, nell'ambito delle relazioni, segnate da rigide gerarchie, che caratterizzano i contesti di criminalità organizzata». Per questi motivi, la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Presidente Bricchetti – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento in data 19 luglio 2018, il Consiglio di disciplina della Casa circondariale di […] ha applicato, nei confronti di A.U., la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attività in comune per la durata di 15 giorni, ritenendolo responsabile della violazione del D.P.R. numero 230 del 30 giugno 2000, articolo 77, comma 1, numero 16, per inosservanza della prescrizione che vieta il passaggio di beni non consentiti a un compagno dello stesso gruppo di socialità. 1.1. Con ordinanza del 12 maggio 2020, il Magistrato di sorveglianza di Novara ha respinto il reclamo proposto ex articolo 69 Ord. penumero , comma 6, lett. a , e L. numero 354 del 26 luglio 1975, articolo 35-bis, con cui A. lamentava l'illegittimità della procedura di applicazione della sanzione disciplinare, deducendo di essere stato convocato davanti al Consiglio di Disciplina senza la previa formale contestazione dell'addebito e, comunque, senza il rispetto dello iato temporale di dieci giorni tra la contestazione e l'audizione, in violazione del D.P.R. numero 230 del 2000, articolo 81, comma 4. Secondo il primo Giudice, infatti, la contestazione della violazione era stata effettuata il 19 luglio 2018, alla presenza del Comandante di reparto, dal Direttore dell'istituto penitenziario, il quale aveva convocato, per quello stesso giorno, il Consiglio di disciplina, davanti al quale A. aveva ribadito di avere consegnato gli oggetti rinvenuti nella disponibilità di altro detenuto per fargli un regalo di compleanno, venendo, all'esito, sanzionato nei termini ricordati. Smentita, pertanto, la circostanza che la violazione non fosse stata formalmente contestata al detenuto, il Magistrato di sorveglianza ha osservato, quanto al mancato rispetto del termine di dieci giorni tra la contestazione e l'applicazione della sanzione, che A. non aveva rappresentato, all'udienza disciplinare, di non avere potuto fruire di un maggior tempo per articolare le sue difese e che, anzi, egli aveva potuto esporre le sue giustificazioni sulla condotta di rilevanza disciplinare, senza alcun pregiudizio del diritto di difesa, dovendo comunque ritenersi che tra il momento della contestazione e quello dell'udienza disciplinare fosse intercorso, nel caso di specie, un ragionevole lasso temporale . 1.2. Con ordinanza del 16 febbraio 2021, il Tribunale di sorveglianza di Torino ha respinto il reclamo proposto avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza, rilevando, ancora una volta, l'avvenuto rispetto di un termine ragionevole per appontare un'adeguata difesa, considerate la semplicità della violazione addebitata e la possibilità di una sua immediata comprensione, la mancata tempestiva eccezione circa il mancato rispetto di un termine congruo per la difesa, tale da integrare una vera e propria decadenza, il concreto esercizio delle facoltà difensive da parte del detenuto, di tal che il reclamo non è stato ritenuto idoneo a dimostrare il concreto vu/nus subito dalle stesse. 2. A.U. ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. omissis , deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 c.p.p., disp. att., la inosservanza o erronea applicazione del D.P.R. numero 230 del 2000, articolo 81, commi 2 e 4, e articolo 38, comma 1, Ord. penumero . Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b , che nella vicenda in esame, essendovi stata una sola udienza, nel corso della quale al detenuto erano stati contestati i fatti e gli era stato chiesto se avesse qualcosa da dichiarare davanti al Consiglio di disciplina, la contestazione davanti a quest'ultimo Organo non fosse stata preceduta da quella prevista dal comma 2 dell'articolo 81 ad opera del Direttore e che, in ogni caso, non fosse stato garantito un congruo lasso temporale tra la contestazione dell'addebito e l'udienza disciplinare, essendo entrambi avvenuti nello stesso giorno. In ogni caso, la violazione contestata non integrerebbe alcun illecito disciplinare dal momento che lo scambio di oggetti tra detenuti appartenenti allo stesso gruppo di socialità sarebbe ora consentito dopo la sentenza della Corte Costituzionale numero 97 del 5 maggio 2020, non essendosi al cospetto, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di sorveglianza, di capi di abbigliamento di lusso, posto che A. li aveva ricevuti con un pacco inviato dalla moglie e che, in caso contrario, gli stessi non sarebbero stati consegnati. In ultimo, la procedura sarebbe stata viziata non essendovi la prova dell'avvenuta comunicazione della convocazione davanti al Consiglio di disciplina si cita, in proposito, quanto statuito da Sez. 1, numero 43862 del 7/10/2019, Attanasio . 3. In data 5 gennaio 2022 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto. 2. Muovendo, secondo l'ordine logico, dalle censure di ordine procedurale, connesse al mancato rispetto delle cadenze del procedimento disciplinare in particolare per quanto concerne l'omessa fruizione di un adeguato spatium temporis tra la contestazione e l'udienza disciplinare , osserva il Collegio che le stesse sono infondate. Invero, giova premettere che in tema di provvedimenti disciplinari adottati dall'Amministrazione penitenziaria nei confronti dei detenuti, l'omissione della previa contestazione dell'addebito all'interessato nelle forme previste dalla normativa regolamentare ha effetti sulla validità del provvedimento adottato, dovendo intercorrere, tra il momento della contestazione e quello dell'udienza disciplinare, un ragionevole lasso temporale in modo da consentire all'incolpato di predisporre adeguata difesa Sez. 1, numero 16914 del 21/12/2017, dep. 2018, Palumbo, con la quale, in motivazione, è stato precisato che l'omissione non resta assorbita dalle comunicazioni eventualmente date in limine dell'udienza dal Consiglio di disciplina . Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare che eventuali eccezioni di nullità della procedura disciplinare debbano essere dedotte dall'interessato, a pena di decadenza, nella prima occasione utile e, dunque, qualora vi partecipi, al momento dell'apertura dell'udienza disciplinare, trovando applicazione le disposizioni in materia di nullità processuale, tra cui l'articolo 182 c.p.p., commi 2 e 3, Sez. 1, numero 13085 del 6/3/2020, Dell'aquila, Rv. 278894 -- 01 Sez. 1, numero 30038 del 22/9/2020, Corso, Rv. 279733 - 01 . In particolare, per quanto qui in rilievo, è stato affermato che è onere del detenuto eccepire, al momento della contestazione dell'addebito, l'inadeguatezza del termine intercorrente rispetto alla successiva udienza dinanzi al consiglio di disciplina, di tal che, in caso di mancata contestazione della relativa violazione, deve ritenersi che tale termine sia stato utile ad apprestare la necessaria difesa e l'insussistenza dell'interesse del detenuto a dedurre in sede di reclamo la violazione solo in astratto configurabile v. Sez. 1, numero 33145 del 18/4/2019, Pagano, Rv. 276722-01 . Nel caso di specie, tuttavia, come specificato nell'ordinanza impugnata, A. non soltanto non aveva dedotto le violazioni della procedura ora oggetto di ricorso, ivi compresa quella della omessa comunicazione della convocazione davanti al Consiglio di disciplina v. supra § 2 del ritenuto in fatto , ma aveva anche potuto esplicitare, diffusamente, le proprie considerazioni difensive, senza che sia stato chiarito in che modo i suoi diritti di difesa possano essere stati incisi. 3. Non possono nemmeno condividersi le censure articolate in relazione alla configurabilità della violazione disciplinare. La tesi difensiva, invero, si fonda sulla considerazione secondo cui, dopo la sentenza della Corte costituzionale numero 97 del 5 maggio 2020, lo scambio di oggetti tra detenuti appartenenti allo stesso gruppo di socialità sarebbe diventato un fatto lecito. Tale assunto non può, tuttavia, essere condiviso. Come la stessa Consulta ha precisato nella sentenza menzionata, anche dopo la sentenza di accoglimento, resterà consentito all'amministrazione penitenziaria di disciplinare le modalità di effettuazione degli scambi in esame, nonché di predeterminare le condizioni per introdurre eventuali limitazioni, dovendo comunque risultare giustificate da precise esigenze, da motivare espressamente e sindacabili, in relazione al caso concreto, dal magistrato di sorveglianza . Ne consegue che anche dopo la pronuncia richiamata, l'Amministrazione penitenziaria conservi un potere-dovere di controllare la natura dei beni consegnati, onde verificare, in concreto, se nello scambio o comunque nella dazione gratuita possano celarsi operazioni che vadano oltre le modalità di ordinaria condivisione di oggetti di scarso valore o le manifestazioni di semplice solidarietà amicale tra reclusi. Nel caso di specie, tuttavia, risulta che il detenuto, senza alcuna comunicazione e, anzi, in maniera occulta, aveva regalato dei capi di vestiario ad altro soggetto recluso che questi ultimi non erano affatto di modico valore che il destinatario del regalo era un soggetto indicato come di rilevante spessore criminale, di tal che poteva ragionevolmente ritenersi che la dazione rientrasse, in realtà, nell'ambito delle relazioni, segnate da rigide gerarchie, che caratterizzano i contesti di criminalità organizzata. Una ricostruzione, quella operata dai Giudici di merito, la quale, si ribadisce, non presenta profili di manifesta illogicità prospettabili in questa sede, ove, peraltro, la difesa si è limitata ad affermare che non gli oggetti fossero di modico valore, con una deduzione che appare, tuttavia, di carattere meramente fattuale, come tale non scrutinabile da parte del Giudice di legittimità. Ne consegue, pertanto, che anche il presente argomento difensivo non è meritevole di accoglimento. 4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.