L’ordine di demolizione ha natura amministrativa, non penale

In materia di reati concernenti violazioni edilizie, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo non è sottoposto alla disciplina della prescrizione stabilita dall'art. 173 c.p. per le sanzioni penali, avendo natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio, priva di finalità punitive e con effetti che ricadono sul soggetto che è in rapporto col bene, indipendentemente dal fatto che questi sia l'autore dell'abuso.

Lo ha ribadito la terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7631, depositata il 3 marzo 2022. Cos'è l'ordine di demolizione? Preliminarmente, occorre ricordare che l'ordine di demolizione è una sanzione amministrativa di natura ablatoria e giurisdizionale, la cui esecuzione compete all'autorità giudiziaria, non essendo ipotizzabile, né logicamente spiegabile, che l'esecuzione di un provvedimento, adottato dal giudice penale, venga affidato alla pubblica amministrazione. Peraltro, l'ordine di demolizione, pur avendo natura amministrativa, è atto giurisdizionale che deve essere disposto dal giudice con la sentenza di condanna. Ne consegue che, in caso di mancata statuizione in tal senso, il dispositivo della sentenza potrà essere integrato solo dal giudice di appello. Infatti, la procedura di cui all' art. 130 c.p.p. relativa alla correzione di errori materiali nel provvedimento emanato può essere applicata solo per porre rimedio ad errori od omissioni rilevabili dal contesto del provvedimento, e di natura tale da non modificare il contenuto essenziale dello stesso, mentre l'omissione in questione integra un vitium iudicando rettificabile solo in sede di impugnazione a seguito di rituale investitura del giudice di essa. Inoltre, l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di restitutio in integrum dello stato dei luoghi, e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo della originaria costruzione. L'ordine di demolizione di cui all'art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380/2001 è sanzione caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell'organo istituzionale al quale il relativo esercizio è attribuito, ma sostanzialmente amministrativa di tipo ablatorio, che il giudice deve disporre anche nella sentenza applicativa di pena concordata tra le parti ai sensi dell' art. 444 c.p.p. . A tale sentenza, sono ricollegabili tutti gli effetti di una sentenza di condanna, ad eccezione di quelli espressamente indicati dall' art. 445, comma 1, c.p.p. , fra i quali non è compresa la sanzione in oggetto non trattandosi di pena accessoria nè di misura di sicurezza . La natura amministrativa della sanzione demolitiva. Secondo il consolidato orientamento della Cassazione, in tema di violazioni urbanistiche, l'ordine di demolizione previsto dall'art. 31, ultimo comma, d.P.R. n. 380/2001, costituisce atto dovuto, espressivo di un potere autonomo e non meramente suppletivo del giudice penale. Esso pertanto, ferma restando l'esigenza di coordinamento in fase esecutiva, non si pone in rapporto alternativo con l'ordine omologo impartito dalla Pubblica Amministrazione. Non deve quindi meravigliare la possibilità di adottare da parte del giudice penale misure aventi natura di sanzione amministrativa si ritiene ormai superato il criterio che distingue tra sanzioni penali ed amministrative in base all'autorità competente ad adottarla, per cui è amministrativa la sanzione irrogata dall'autorità amministrativa, penale quella inflitta dalla relativa autorità giudiziaria. Del resto, in merito sembra fugare ogni dubbio la circostanza che il potere di ordinare la demolizione dell'opera abusiva da parte del giudice penale, non costituisce espressione di supplenza delle autorità amministrative, ma è manifestazione – come detto – di un potere autonomo anche se coordinabile con quello della Pubblica Amministrazione. Quindi, tale potere ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso, attraverso l'eliminazione delle conseguenze del reato, riconnettendosi all'interesse statuale sotteso all'esercizio della potestà penale. In altre parole, la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell' art. 31, comma 9, T.U. edilizia , qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso. Il precedente ed ormai superato orientamento di Cassazione. Secondo un isolato orientamento, l'ordine di demolizione emesso dal giudice penale avrebbe invece natura di pena accessoria ciò scaturirebbe da una serie di elementi, quali la sussistenza di un reato come presupposto di una sentenza di condanna del giudice nell'esercizio di un potere autonomo e non in sostituzione della Pubblica Amministrazione di garanzie del procedimento penale del carattere della non revocabilità salva l'ipotesi d'inesistenza del reato accertata negli altri gradi di giudizio ed inderogabilità della sentenza pronunciata. Ad ulteriore sostegno di tale prospettazione si fa rilevare che il contenuto dell'ordine di demolizione ha carattere riparatorio e ciò l'avvicinerebbe alle forme di obbligazioni civili nascenti dal reato in quanto illecito anche civile, come si desumerebbe dall' art. 18 l. n. 349/1986 , secondo cui in via generale e non solo nell'ambito della materia urbanistica il giudice nella sentenza di condanna ordina, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile .

Presidente Rosi – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l'impugnata ordinanza, la Corte d'appello di Napoli, quale giudice dell'esecuzione, rigettava l'istanza avanzata nell'interesse di R.G. ad aggetto sospensione e/o la revoca dell'ordine di demolizione emesso dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Napoli in relazione alla sentenza della Corte di appello di Napoli del 29 ottobre 1997, irrevocabile il 23 aprile 1998, che confermava la condanna del R. per il reato edilizio e il conseguente ordine di demolizione delle opere abusive. 2. Avverso l'indicata ordinanza, R.G., per mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. 2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. b c ed e , non avendo la Corte di merito motivato in ordine all'incompetenza del Procuratore Generale ad eseguire la demolizione, essendo invece competente l'autorità amministrativa territorialmente competente. 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. b ed e , in relazione all' art. 173 c.p. , essendo decorso il termine massimo di prescrizione, avendo l'ordine di demolizione natura sanzionatoria, secondo i criteri enunciati dalla CEDU , con conseguente applicazione della disciplina prevista, appunto, dall' art. 173 c.p. . 2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. b ed e , in relazione alla L. n. 47 dl 1985, alla L. n. 724 del 1994 e alla L. n. 326 del 2003 , non avendo la Corte di merito correttamente valutato la sussistenza dei titoli autorizza torvi adottati dell'ente comunale, e considerando che l'immobile ha natura artigianale e non residenziale, sicché non trova applicazione il limite volumetrico di 750 mcomma 2.4. Con il quarto motivo si censura la violazione dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. b ed e , in relazione all' art. 32 Cost. e art. 8 CEDU . Nel richiamare la decisione della Corte EDU del 21/04/2016 nella vicenda Ivanova vs. Bulgaria, evidenzia il difensore che nel manufatto in esame abita la figlia del ricorrente, la quale si trova in condizioni economiche disastrose e, anche considerando il tempo trascorso dai fatti, il bilanciamento degli interessi in gioco osterebbe all'esecuzione della disposta demolizione. 2.5. Con quinto motivo si deduce la violazione dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. b ed e , con riferimento alla normativa nazionale adottata in sede di dichiarazione di stato di emergenza per la pandemia da COVID 19, ciò che, per il rispetto del principio di proporzionalità, avrebbe imposto la sospensione dell'ordine di demolizione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza di tutti motivi, che sono stati rigettati dalla Corte di appello con motivazione immune da violazioni di legge e da profili di illogicità, e con la quale il ricorrete omette di misurarsi criticamente. 2. In primo motivo è inammissibile. In disparte del fatto che non è chiaro, dalla lettura del ricorso, il motivo in relazione al quale sarebbe competente l'autorità amministrativa a disporre l'esecuzione dell'ordine di demolizione e che la Corte di appello, in risposta al motivo qui riproposto, ha escluso l'incompetenza della Procura Generale in quanto la direttiva indicata dalla difesa, che pare riferirsi alle esecuzioni fino al 28 novembre 1997, non è comunque applicabile alla vicenda in esame, essendo il passaggio in giudicato della sentenza avvenuto il 2 aprile 1998, in ogni caso è dirimente osservare che, come già affermato da questa Corte, spetta al pubblico ministero la competenza ad eseguire l'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna per violazione della normativa urbanistica, essendo vincolato nello svolgimento di tale attività solo al rispetto della legge e non all'osservanza di circolari interpretative del dato normativo emesse dalla pubblica amministrazione o di direttive adottate da uffici requirenti diversi da quello di appartenenza per disciplinare le modalità della sua azione Sez. 3, n. 28781 del 16/05/2018, dep. 21/06/2018, Milano, Rv. 273359 . 3. Il secondo motivo è parimenti inammissibile. 3.1. Invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità - con il quale il ricorrente omette di confrontarsi - l'ordine di demolizione ha natura amministrativa, configurandosi, appunto, quale sanzione accessoria oggettivamente amministrativa, sebbene soggettivamente giurisdizionale, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo al quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione ex multis, Sez. 3, n. 55295 del 22/09/2016 - dep. 30/12/2016, Fontana, Rv. 268844 Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, Russo, Rv. 258518 Sez. 3, n. 37906 del 22/5/2012, Mascia, non massimata Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino Rv. 198511 si veda anche Sez. U, n. 15 del 19/06/1996 - dep. 24/07/1996, P.M. in procomma Monterisi, Rv. 205336 . Stante la natura amministrativa dell'ordine di demolizione, si è coerentemente negata l'estinzione della sanzione per il decorso del tempo, ai sensi dell' art. 173 c.p. , la quale si riferisce alle sole pene principali, e comunque non alle sanzioni amministrative Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 -dep. 15/12/2015, P.M. in procomma Delorier, Rv. 265540 Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Formisano, Rv. 264736 Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670 ed altresì è stata negata l'estinzione per la prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative, stabilita dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 28, in quanto riguardante le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva, mentre l'ordine di demolizione integra una sanzione ripristinatoria , che configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015 - dep. 09/09/2015, Formisano, Rv. 264736 Sez. 3, Sentenza n. 16537 del 18/02/2003, Filippi, Rv. 227176 . Sulla scorta di tale ricostruzione, è stata perciò dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 117 Cost. , del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, per mancata previsione di un termine di prescrizione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, in quanto le caratteristiche di detta sanzione amministrativa - che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, configura un obbligo di fare per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso - non consentono di ritenerla pena nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e, pertanto, è da escludere sia la irragionevolezza della disciplina che la riguarda rispetto a quella delle sanzioni penali soggette a prescrizione, sia una violazione del parametro interposto di cui all' art. 117 Cost. Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016 - dep. 04/10/2016, Porcu, Rv. 267977 . 3.2. Nel caso in esame, la Corte di appello ha espressamente richiamato e applicato i principi poc'anzi richiamati, qui da ribadire, sicché l'ordinanza impugnata deve essere confermata. 4. Il terzo motivo è inammissibile. 4.1. Va ricordato che l'applicazione del condono dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, comma 25, conv. con modif. da L. 24 novembre 2003, n. 326 esige, tra l'altro, il concomitante rispetto di un duplice limite di cubatura 750 mc in relazione a ciascuna unità abitativa, e 3.000 mc in relazione all'intera costruzione. 4.2. Orbene, questa Corte ha sempre interpretato la L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 1, nel senso che ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono esser riferite a una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest'ultimo nella sua totalità. Ciò in quanto la ratio della norma è di non consentire l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell'intero complesso edificatorio ex multis, cfr. Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013 - dep. 17/03/2014, Cantiello, Rv. 259292 Sez. 3, n. 20161 del 19/04/2005, Merra, Rv. 231643 Sez. 3, n. 16550 del 19/02/2002, Zagaria, Rv. 223861 Sez. 4, n. 36794 del 24/01/2001, Murica, Rv. 220592 . 4.3. Dalle considerazioni che precedono, ne discende che non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione interamente abusiva, quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando invece le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica Sez. 3, n. 20420 del 08/04/2015 - dep. 18/05/2015, Esposito, Rv. 263639 . Il riferimento oggettivo all'unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce, perciò, che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti, altrimenti si eluderebbe la finalità della legge che era ed e' quella di sanare abusi modesti. Ancora di recente, si è affermato che in materia di condono edilizio disciplinato dalla L. 24 novembre 1994, n. 724 , ai fini dell'individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad un'unica concessione in sanatoria, onde evitare l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera. Qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016 - dep. 24/10/2016, Boccia, Rv. 269280 fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto inapplicabile il condono, essendo emerso che l'immobile era stato interamente realizzato ed era di proprietà di un unico soggetto . 4.4. Nel caso in esame, la Corte di appello si è attenuta ai principi ora richiamati, correttamente evidenziando come, con ordinanza del 17 luglio 2018, le cui statuizioni, non essendo stata impugnata, sono definitive, la medesima Corte, sempre in funzione di giudice dell'esecuzione, avesse ritenuto che la presentazione separata e non per l'intero immobile di tre distinte domande di condono tutte afferenti la medesima proprietà abbia consentito l'aggiramento del limite di 750 mc., e considerando che la destinazione non residenziale delle opere in oggetto non solo non è stata in alcun modo dimostrata, ma è contraddetta dalla successiva richiesta della difesa, la quale invoca il rispetto dei diritto sanciti dalla Costituzione e dalla CEDU , deducendo che una parte dei beni risultano abitati da R.A., a riconferma della destinazione residenziale del manufatto. 5. Il quarto e il quinto motivo, esaminabili congiuntamente essendo collegati, sono manifestamente infondati. 5.1. Secondo il constante orientamento assunto da questa Sezione, qui da confermare, in tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto assoluto all'inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte EDU, tale da precludere l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l'ordine giuridico violato Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016 - dep. 06/05/2016, Contadini e altro, Rv. 267024 . In motivazione, la Corte ha osservato che dalla giurisprudenza CEDU si ricava, al contrario, l'opposto principio dell'interesse dell'ordinamento all'abbattimento - in luogo della confisca - delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche. Invero, nel noto caso Sud Fondi comma Italia del 20 gennaio 2009 la Corte EDU ha affermato che l'interesse dell'ordinamento è quello di abbattere l'immobile abusivamente realizzato, sottolineando i giudici Europei come sia sufficiente, per ripristinare la conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche dei lotti interessati, demolire le opere incompatibili con le disposizioni pertinenti , anziché procedere alla confisca dei medesimi. Proprio da tale inciso è quindi evidente come la stessa Corte Europea consideri del tutto legittimo il ricorso alla sanzione ripristinatoria della demolizione che, in quanto rivolta a ristabilire l'ordine giuridico violato, prevale sul diritto rectius, interesse di mero fatto all'abitazione dell'immobile abusivamente realizzato. 5.2. Nella stesso si colloca una decisione più recente, in cui si è affermato che l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 CEDU , posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto assoluto ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018 - dep. 04/06/2018, Ferrante, Rv. 273368 . 5.3. Invero, nell'ordinamento italiano l'ordine di demolizione non riveste una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, ma assolve a una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato. La ratio della previsione, dunque, non è quella di sanzionare ulteriormente rispetto alla pena irrogata l'autore dell'illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima, rimuovendo la lesione del territorio così verificatasi e ripristinando quell'equilibrio urbanistico-edilizio che i vari enti preposti - ciascuno per la propria competenza - hanno voluto stabilire. Al punto che tale ordine, quando imposto dall'autorità giudiziaria in uno con la sentenza di condanna, non si pone in rapporto alternativo con l'omologo ordine emesso dall'autorità amministrativa, ferma restando la necessità di un coordinamento tra le due disposizioni in sede esecutiva tra le molte, Sez. 3, n. 55295 del 22/9/2016, Fontana, Rv. 268844 . 5.4. In un caso del genere, le posizioni giuridiche soggettive trovano sì espressione nell'art. 8 CEDU a tenore del quale Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza , così come negli artt. 14 e 15 Cost. , ma esse non afferiscono al caso di specie, nel quale l'ordinamento intende non violare in astratto il diritto individuale di un soggetto a vivere nel proprio domicilio legittimo, bensì riaffermare in concreto il diritto collettivo a rimuovere la lesione di un bene del pari costituzionalmente tutelato, quale il territorio, eliminando le conseguenze dell'abuso riscontrato e così ripristinando quell'equilibrio già sopra richiamato. 5.5. Del pari, non può esser qui neppure invocata la sentenza della Corte EDU 21/4/2016, n. 46577/15 Ivanova e Cherkezov c/Bulgaria , secondo la quale il diritto all'abitazione di cui al citato art. 8 - tra cui dovrebbe annoverarsi, nella lettura del ricorrente, anche l'abitazione abusiva - richiede una valutazione di proporzionalità, da parte di un Tribunale imparziale, tra la misura della demolizione e l'interesse del singolo al rispetto del proprio domicilio. Va, al riguardo, osservato che la Corte EDU, nella decisione in esame, ha ribadito la legittimità convenzionale della demolizione, allorquando, valutandone la compatibilità con il diritto alla abitazione, il suo unico scopo sia quello di garantire l'effettiva attuazione delle disposizioni normative che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione, poiché la stessa può essere considerata come diretta a ristabilire lo stato di diritto, fatto salvo il rispetto della proporzionalità della misura con la situazione personale dell'interessato. Tenuto conto, in particolare, del fatto che il problema dell'edilizia abusiva è diffuso in Bulgaria, al fine di garantire l'efficace attuazione della regola per cui gli edifici non possono essere costruiti senza permesso, la Corte EDU ha affermato che l'ordine di demolizione costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria alla difesa dell'ordine e alla promozione del benessere economico del paese , ai sensi dell'art. 8. Tuttavia, per quanto riguarda la necessità di tale interferenza, la Corte EDU ha ritenuto i rimedi interni, previsti nell'ordinamento bulgaro, non garantiscono la verifica dei requisiti procedurali che impongono che ogni persona che sia esposta al rischio di perdere la propria abitazione - anche se non appartenente ad un gruppo vulnerabile - dovrebbe in linea di principio disporre della possibilità che la valutazione della proporzionalità di tale misura che comporta la perdita dell'abitazione sia effettuata da un giudice indipendente. Di conseguenza, il rispetto del principio di proporzionalità impone che l'autorità giudiziaria valuti caso per caso se un determinato provvedimento possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell'abitazione ai sensi dell'art. 8 CEDU o di altro diritto fondamentale come il diritto alla salute che nel caso in esame rileva e l'interesse dello Stato ad impedire l'esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo, sicché deve essere il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se il provvedimento limitativo della libertà reale sia proporzionato rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte Edu, che la normativa edilizia intende perseguire. In altri termini, il rispetto del principio di proporzionalità implica, a carico dell'autorità giudiziaria, una valutazione, nel singolo caso concreto, se l'esecuzione dell'ordine di demolizione possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell'abitazione ai sensi dell'art. 8 CEDU e l'interesse dello Stato ad impedire l'esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo. Ciò comporta che sia il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se demolire la casa di abitazione abusivamente costruita sia proporzionato rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte EDU, che la normativa edilizia intende perseguire prevedendo la demolizione. Infine, va evidenziata l'affermazione della Corte EDU laddove esclude che l'ordine di demolizione contrasti con l'art. 1 del protocollo n. 1 protezione della proprietà . Sul punto, la Corte EDU p. 75 afferma, da un lato, che l'ordine di demolizione dell'immobile, emesso dopo un ragionevole lasso di tempo dopo la sua edificazione per un precedente, cfr. Hamer comma Belgio, del 27 novembre 2007, n. 21861/03 , ha l'obiettivo di garantire il ripristino dello status quo ante così ristabilendo l'ordine giuridico violato dal comportamento dell'autore dell'abuso edilizio dall'altro, che l'ordine di demolizione e la sua esecuzione servono anche per scoraggiare altri potenziali trasgressori il riferimento è al caso Saliba comma Malta, n. 4251/02, dell'8 novembre 2005 , ciò che non deve essere trascurato in vista della diffusività del problema delle costruzione abusive in Bulgaria. 5.6. Quest'orientamento è stato recentemente ribadito dalla Corte EDU con la sentenza del 4 agosto 2020, Kaminskas comma Lituania, la quale ha escluso la violazione del diritto all'abitazione tutelato dall'art. 8 CEDU nell'ipotesi in cui l'ordine di demolizione dell'abuso edilizio riguardi un immobile costituente l'unica abitazione del contravventore e quest'ultimo sia un soggetto in età avanzata e si trovi in precarie condizioni reddituali, qualora la situazione personale del destinatario dell'ordine demolitorio non assuma un peso determinante a fronte della consapevole realizzazione della costruzione edilizia in un'area vincolata paesaggisticamente, in assenza di qualsivoglia autorizzazione. La Corte EDU, in particolare, pur dimostrandosi consapevole della difficile situazione personale del ricorrente in considerazione della sua età avanzata, delle cattive condizioni di salute e del basso reddito, ha tuttavia evidenziato come i giudici lituani avessero congruamente comparato gli interessi del ricorrente con l'interesse pubblico generale per la conservazione delle foreste e dell'ambiente. Inoltre, e soprattutto, ha considerato che né l'età del ricorrente, né le altre circostanze personali potessero avere un peso determinante, in considerazione del fatto che egli aveva consapevolmente costruito l'abitazione in un'area protetta senza alcuna autorizzazione. Di conseguenza, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che le autorità nazionali avessero correttamente valutato tutte le circostanze pertinenti e affrontato adeguatamente gli argomenti prospettati dal ricorrente in merito alla sua situazione individuale. 5.7. Nel caso di specie, non solo la Corte d'appello ha correttamente richiamato i principi ora evocati, ma il motivo è del tutto generico. A ciò si aggiunge l'ulteriore considerazione che il ricorrente nemmeno ha dato prova di aver interpellato i servizi sociali per ottenere un'altra soluzione abitativa nell'ambito dell'edilizia residenziale pubblica, tenuto anche conto del fatto che l'ordine di demolizione è suscettibile di esecuzione sin dal 1998 e, nonostante ciò, il ricorrente è sempre stato totalmente inerte. 5.8. Le medesime considerazioni valgono con riferimento all'asserita violazione del principio di proporzionalità in conseguenza della normativa nazionale per contrastare la pandemia da Covid 19 non solo tale disciplina ha progressivamente allentato le misure restrittive per fronteggiare tale pandemia, ma, in ogni caso, risultano del tutto indimostrate le condizioni economiche disastrose in cui verserebbe la figlia del ricorrente, anche considerando, come si è detto, la totale inerzia mantenuta sin dal 1998 nel trovare soluzioni abitative nell'ambito dell'edilizia residenziale pubblica. 6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell' art. 616 c.p.p. , non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.