Ritorno in patria per la madre straniera se la figlia minorenne ha vissuto solo pochi anni in Italia

Respinta la richiesta avanzata dalla donna per l’ottenimento dell’autorizzazione a rimanere in Italia con la figlia. Fondamentale, innanzitutto, la mancanza di prove in merito a un possibile disagio per la minorenne in caso di rimpatrio. In questa ottica viene anche sottolineato che la ragazzina ha vissuto per otto anni in patria.

Quattro anni di vita in Italia non sono sufficienti per parlare di radicamento sociale della minorenne straniera sul territorio. Sacrosanto perciò negare alla madre l'autorizzazione per ragioni familiari alla permanenza in Italia . Concordi i giudici di merito va respinta la richiesta presentata da una donna, originaria dell'Albania, e mirata all'ottenimento della autorizzazione alla permanenza sul territorio dell'Italia. Irrilevante il riferimento fatto dalla straniera alla figlia , di neanche 14 anni . A questo proposito, i giudici osservano che la ragazzina è nata in Italia, non ha problemi di salute e, soprattutto, «non si è radicata in Italia, essendo vissuta nel proprio Paese di origine dalla nascita fino all'età di 8 anni», e ciò significa, sempre secondo i giudici, che «non vi è alcun pericolo che il suo ritorno in Albania possa determinare un danno grave alla sua crescita psicofisica». In aggiunta, poi, «non è stato documentato dalla donna l'esito della domanda di protezione internazionale avanzata dal padre della minore», il quale è risultato avere un ‘permesso di soggiorno' già scaduto nel gennaio 2020. Di conseguenza, «non si delinea neppure la possibilità del distacco della bambina da uno dei due genitori, dovendo entrambi far rientro in Albania», sanciscono i giudici di merito. Inutile e infruttuoso il ricorso proposto in Cassazione dalla cittadina albanese. Anche i Giudici di terzo grado, difatti, ritengono impossibile riconoscerle la possibilità di rimanere in Italia assieme alla figlia. Ciò perché la donna «non ha allegato uno specifico grave disagio psico-fisico per la figlia derivante dal rimpatrio, al di là di quello normale collegato all'allontanamento di un minore dal territorio nazionale insieme alla propria madre». Peraltro, in questo caso specifico, si è potuto escludere che «la ragazza subirà danni effettivi in caso di ritorno in patria», poiché «ella non può ritenersi radicata in Italia, dove é arrivata solo nel settembre del 2017, avendo vissuto dalla nascita e fino agli 8 anni in Albania», chiosano i magistrati.

Presidente Cristiano – Relatore Fidanzia Rilevato che La Corte d'Appello di Roma - sezione per i Minorenni - con decreto del 2.10.2020, ha rigettato il reclamo proposto da L.A. , cittadina albanese, avverso il Decreto dell'11.12.2019 con cui il Tribunale per i Minorenni di Roma aveva a sua volta rigettato la richiesta della reclamante di autorizzazione alla permanenza sul territorio italiano D.Lgs. numero 286 del 1998, ex articolo 31 . Il giudice del reclamo ha ritenuto che la minore Le.Ar. , figlia della ricorrente, nata in omissis , oltre a non avere problemi di salute, non si fosse radicata in Italia, essendo la stessa vissuta nel proprio paese natale dalla nascita fino all'età di otto anni, con la conseguenza che non vi era alcun pericolo che il suo ritorno nel paese d'origine potesse determinare un danno grave alla sua crescita psicofisica. Inoltre, la corte territoriale ha osservato che non era stato documentato dalla ricorrente l'esito della domanda di protezione internazionale avanzata dal padre della minore, il quale aveva un permesso di soggiorno già scaduto nel omissis , con la conseguenza che non si delineava neppure la possibilità di distacco della bambina da uno dei due genitori, dovendo entrambi far rientro in . L.A. ha proposto ricorso per la cassazione del predetto decreto, affidandolo a tre motivi. Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Roma non ha svolto difese. Considerato che 1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 31, comma 3. La ricorrente assume che la corte capitolina ha operato un'interpretazione fortemente restrittiva del requisito dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore , di cui alla norma sopra citata. Il collegio giudicante di merito non avrebbe considerato che la minore è in piena età scolare e si è perfettamente ambientata e radicata in Italia, nella realtà locale in cui vive, sicché il suo eventuale trasferimento in comporterebbe la necessità della stessa di doversi adattare ad un ambiente socio-culturale completamente diverso da quello cui è abituata. La ricorrente evidenzia ancora come questa Corte abbia più volte ribadito la necessità di valutare l'età pre-scolare come elemento positivo da tutelare ai fini della concessione del permesso di cui al D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 31, comma 3. 2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell'articolo 19 TUI e degli articolo 9 e segg. Convenzione sui Diritto del Fanciullo, ratificata con L. numero 176 del 1991 . La ricorrente lamenta che la corte del merito, nell'affermare che dal diniego dell'autorizzazione di cui alla legge cit., non deriverebbe il suo distacco dalla figlia, potendo quest'ultima seguirla fuori dal territorio italiano, abbia indirettamente deliberato una sorta di espulsione di fatto della minore, costringendola a seguire i genitori. 3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell'articolo 31 TUI e la carenza ed illogicità della motivazione. Ad avviso della ricorrente, il giudice di secondo grado non avrebbe effettuato il giudizio prognostico richiesto dalla norma in ordine alla sussistenza in prospettiva di un danno grave ed irreparabile allo sviluppo psico-fisico della minore non sarebbero state valutate le conseguenze derivanti dall'allontanamento improvviso della giovane Ar. dal contesto ambientale in cui è vissuta ed ha radicato significative relazioni sociali e l'omissione di tale indagine prognostica avrebbe determinato l'illegittimità del decreto impugnato per carenza della motivazione. 3. Il primo ed il terzo motivo, da esaminare unitariamente, avendo ad oggetto questioni strettamente connesse, sono inammissibili. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza numero 21799/2010, hanno ritenuto che i gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico del minore, di cui al D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 31, comma 3, non richiedono necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi, tuttavia, di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare. Anche più recentemente, questa Corte, con la sentenza numero 26710 del 10/11/2017, ha statuito che la parte richiedente ha l'onere di dedurre, in modo specifico, il grave disagio psico-fisico del minore, non essendo sufficiente la mera indicazione della necessità di entrambe le figure genitoriali, l'allegazione di un disagio in caso di rimpatrio insieme ai genitori o a causa dell'allontanamento di un genitore. Nel caso di specie la ricorrente non ha allegato uno specifico grave disagio psicofisico della figlia derivante dal suo rimpatrio, al di là di quello normale collegato all'allontanamento di un minore dal territorio nazionale insieme alla propria madre la corte d'appello, d'altro canto, ha escluso che la ragazza - che al momento della decisione aveva undici anni - subirà danni effettivi in caso di rimpatrio, evidenziando come la stessa non possa ritenersi radicata in Italia, dove è arrivata solo nel omissis , avendo vissuto dalla nascita e fino agli otto anni in . La decisione, fondata su un ben preciso accertamento in fatto, non è sindacabile in questa sede se non per vizio di motivazione costituzionalmente rilevante, secondo i parametri della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte numero 8053/2014, che non è stato neppure dedotto dalla ricorrente, la quale, non a caso, si è espressa genericamente in termini di carenza o “illogicità” della motivazione, ma senza illustrarne le ragioni. Resta assorbito il secondo motivo del ricorso. Non si liquidano le spese di lite, non avendo l'intimato svolto difese. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi i nominativi e gli altri dati identificativi delle parti e degli altri soggetti in esso menzionati.